Le aziende costruttrici: Strumenti&Musica intervista Castagnari

196

Massimo CastagnariProseguiamo il nostro percorso tra le eccellenze artigiane e intervistiamo un’azienda storica di Recanati: la “Castagnari”, che produce organetti dal 1914. Veri e propri artigiani, come amano definirsi i titolari, che vivono il laboratorio come la bottega di un tempo.

Signor Massimo, ci troviamo nel laboratorio “Castagnari”, quante persone lavorano nella vostra “bottega”?

Siamo in quindici, la maggioranza della famiglia. Basti pensare che siamo cinque soci tra fratelli e cugini. Quattro delle nostre mogli sono impiegate qui, quattro dei nostri figli lavorano in laboratorio, due sono in stage e un’altra dipendente è la cognata di un socio.

È chiaro che la dimensione familiare è una delle peculiarità della vostra azienda: state già formando la quarta generazione della “Castagnari”?

Sì certo! Pensi, nel 2014 festeggeremo i 100 anni dalla nascita della ditta. Quello che vede appena dietro di lei (n.d.r. indica un’antica foto appesa alla parete alle mie spalle), è il diploma di mio nonno in cui campeggia la scritta: “Padrone di bottega dal 1914”. Mentre, la foto accanto, piccolina, ritrae la persona che ha insegnato il mestiere a mio nonno, andato “a garzone” all’età di 11 anni nella bottega di questo distinto signore e storico liutaio che, pensi, è il nonno di mia madre, Filippo Guzzini. La sua fabbrica si trovava a poco più di 100 metri da dove siamo noi ora. Questo accanto, è invece mio padre, il quale ha avuto quattro figli maschi, mentre mio zio, altro socio ne ha avuti due ed ora siamo tutti qui a lavorare per la nostra “bottega”.

Come accade spesso prima di un’intervista, sfoglio il sito di chi incontrerò. Scorrendo il vostro, ho letto una frase che mi ha colpito molto “…qualcuno chiama l’organetto scatola del vento o soffio dell’anima”, una definizione poetica che esprime un concetto profondo. Può spiegarcene il significato?

Certo, con piacere. L’organetto, come la fisarmonica, è uno strumento aerofono, quindi, ha a che vedere con il vento che soffia attraverso il mantice. Lo stesso, mentre si muove, è a contatto con il cuore del musicista sia fisicamente, per la posizione in cui si trova, che metaforicamente per le vibrazioni che crea, tutto ciò rappresenta l’anima di chi esprime la musica che nasce: è per questo che l’organetto essendo, in parole povere, una scatola piena di bottoni e di musica, prende vita e comunica attraverso l’anima di chi lo suona. Ogni melodia, ogni esecuzione è diversa dall’altra a seconda dell’esecutore, in quanto, l’anima di ciascuno è differente.

Quando abbiamo iniziato la nostra chiacchierata, lei ha accennato ad un particolare che mi ha incuriosito molto: l’importanza dell’odore nello strumento…

Premetto, mi rendo conto che possiamo apparire un po’ sui generis! Però ci piace pensare di poter migliorare questo strumento in tutte le sue forme. Quando immaginiamo il nostro lavoro, quello che facciamo, lo pensiamo in funzione di chi lo userà e del piacere che dovrà provare nell’utilizzarlo. Certamente, uno dei piaceri di un musicista è suonare uno strumento maneggevole, con un controllo dinamico, un timbro sonoro e un’espressione particolari. Lo stesso piacere dovrà, però, provare nell’olfatto. Il musicista ha cinque sensi, come ogni essere umano! Quindi, lo strumento oltre ad essere gradevole, dovrà catturarlo nell’odore: particolare, questo, non sempre tenuto in considerazione. Per questo, nel mettere a punto ogni aspetto dei nostri organetti, abbiamo pensato anche al loro odore. Quando l’organetto è pronto e viene adagiato nella custodia, lo copriamo con una stoffa che ha assorbito un’essenza particolare fatta di tabacco, miele e cera d’api, creata naturalmente da un erborista della nostra zona e che rappresenta l’anima di quello strumento. Questa è un’idea che mi venne in mente tanti anni fa parlando con il musicista e attore Georges Moustaki (n.d.r. artista egiziano nato da genitori ebrei italo-greci che collaborò anche con Edith Piaf scrivendo la celebre canzone Milord), tu sei troppo giovane per ricordarlo! Moustaki è stato un artista molto conosciuto nell’Italia degli anni ‘60. Un giorno venne a farci visita in bottega e mi disse una cosa che mi colpì molto: “Massimo, tu non immagini il piacere che provo nell’accarezzare lo strumento e sentirne l’odore”. Da quel momento ho compreso quanto questo fosse importante. Un altro aspetto da non trascurare è quello tattile. Ad esempio, non sempre una superficie perfettamente liscia, lucida e brillante dà una sensazione bella e piacevole. Tanti sono gli aspetti importanti nel lavoro artigianale che servono a creare uno strumento vivo, che trasmetta all’artista quelle emozioni che lui sarà in grado, a sua volta, di donare al pubblico.

La “Castagnari” vanta un lunga tradizione e una grande attenzione verso tutto il processo realizzativo dell’organetto: ogni strumento nasce da un monolite.

Sì, esatto, ogni strumento nasce da un unico blocco di legno. Ciascun pezzo è unico e perfetto, come unico e perfetto è il blocco da cui deriva. Questa caratteristica si perderebbe usando delle lastre tagliate da diversi blocchi ed unite a formare lo strumento, mentre, in questo modo si preservano l’unicità, il colore e l’armonia che si trovano in natura.

Come si realizza un organetto di qualità? Quali sono le caratteristiche fondamentali che fanno la differenza?

(n.d.r. Sorride!) Quanto tempo abbiamo? Sai, un organetto è composto da una miriade di piccoli pezzi che ci stancheremmo di contare. Se, ad esempio, calcolassimo quanto prendiamo in mano un tasto, prima che diventi tasto, ci accorgeremmo che per fare tutti i passaggi di cui necessita, ripetiamo quest’operazione decine di volte. Questo, forse, riesce a far comprendere quanto non sia né facile né tanto meno breve raccontare il procedimento di costruzione di uno strumento. Posso dire, tuttavia, una cosa. Dovendo mettere il meglio nel prodotto che realizziamo, è fondamentale partire da una materia prima di qualità: il legno. Noi scegliamo dei legni provenienti da regioni del mondo in cui questi vengono trasportati lungo il letto del fiume. Perché questa scelta? Perché il fluire sull’acqua consente un lavaggio particolare. Il legno è materia vivente e come tale, viaggiando nell’acqua, subisce una sorta di pulitura dalla linfa vitale. Si tratta di una resina che in caso contrario rimane al suo interno anche quando il legno si essicca. Il fatto di tagliarlo e lasciarlo, immediatamente dopo, scivolare nell’acqua, consente di lavare via la resina e una volta asciugato all’aria aperta, nella struttura interna del legno rimangono delle microcanalizzazioni vuote che conferiscono un’acustica particolare allo strumento che nascerà.

Quale tipologia di legno si utilizza per la fabbricazione di un organetto?

Noi utilizziamo legni provenienti da diverse regioni degli Stati Uniti, ad esempio da Dakota. Di solito usiamo il ciliegio o la noce americana. Adoperiamo anche legni africani ed esotici. Queste tipologie nascono nelle paludi e crescono immersi nell’acqua. Facendo degli studi sull’acustica, abbiamo scoperto che molti strumenti ancestrali sono stati realizzati con legni d’acqua: i popoli antichi avevano già compreso l’importanza di questa caratteristica.

Tre caratteristiche per scegliere uno strumento di qualità.

Non è facile parlare di caratteristiche dal momento che questo è un aspetto molto soggettivo per chi suona. Comunque, sostanzialmente uno strumento musicale di qualità deve avere un buon suono, deve essere confortevole dal punto di vista tattile e della maneggevolezza e in particolare uno strumento come il nostro, a mantice, deve avere una dinamica sonora, nel senso che deve avere una buona reattività data dal tempo che intercorre tra il tocco sul tasto e la fuoriuscita del suono in funzione di quel tocco, in conclusione deve andare da piano a forte e da forte a piano in maniera estremamente reattiva.

L’organetto è stato riscoperto dai ragazzi anche grazie alla musica etnica. Qual è il rapporto di questo strumento con i giovani?

La nostra azienda si è distinta rispetto agli altri costruttori per essere stata una delle prime ad avvicinarsi al mondo dell’organetto diatonico e il nostro approccio fondamentale è stato quello di non averlo mai considerato “parente povero” della fisarmonica. L’organetto, in realtà, è venuto prima della fisarmonica per poi andare in disuso con il suo arrivo. Quindi, pian piano è diventato uno strumento per anziani che si dilettavano nella musica folk. Già negli anni ’70 c’è stato, però, un ritorno e soprattutto una ricerca verso la musica tradizionale da parte dei giovani. I migliori di questi ricercatori hanno poi iniziato a sviluppare un gusto e una personalità musicale propri, tanto da diventare a loro volta compositori. Per cui, l’organetto diatonico ha iniziato ad essere utilizzato per suonare musica nuova di ispirazione tradizionale. Questi suoni hanno iniziato a viaggiare e a piacere anche a musicisti appartenenti a generi differenti. Per fare un esempio, lo scorso Luglio abbiamo realizzato un organetto per il cantante Sting. L’album uscito nel 2009 dal titolo “If On A Winter’s Night” interamente dedicato ai celebri brani della tradizione anglosassone, è stato realizzato con la collaborazione di importanti musicisti, tra cui Giulian Sutton che suona i nostri organetti. Sting si è letteralmente innamorato di questo strumento, tanto da voler imparare a suonarlo e richiederci di realizzarne uno tutto per lui. Abbiamo avuto, inoltre, il piacere di incontrare musicisti di altri generi musicali come Dee Dee Bridgewate per il Jazz, una cantante di levatura internazionale accompagnata da un musicista che ha scelto una fisarmonica che suonasse “bene come i vostri organetti”, fatta di legno “da non farmi sentire in imbarazzo di fronte a un violino”. Inoltre, alcuni registi del Cinema, quello con la C maiuscola, hanno deciso di utilizzare colonne sonore realizzate con i nostri organetti: il primo che ricordo, è un film del 1984 dal titolo “Una domenica in campagna”, diretto da Bertrand Tavernier, che vinse il “National Board of Review Awards 1984” come miglior film straniero. Siamo stati presenti anche su telefilm americani, quali CSI Las Vegas, in una puntata in cui si indagava su un omicidio compiuto durante uno spettacolo del Circ du Soleil, che utilizza abitualmente il nostro strumento per le sue esibizioni.

Mi accennava che l’azienda “Castagnari” è stata la prima a realizzare un organetto del tutto speciale. Mi piacerebbe lo raccontasse ai nostri lettori…

Certo, volentieri. Qualche anno fa, ci siamo dedicati per primi al progetto di costruire uno strumento facilitato, dedicato a persone disabili.

Quali sono le caratteristiche?

Si tratta di un diatonico con pochi bottoni e molto grandi, che ha la capacità di suonare anche da solo, mi spiego meglio. Gli insegnanti possono fare in modo che uno o più tasti rimangano premuti, consentendo di emettere suoni con il solo movimento del mantice. Quindi, quello che per noi potrebbe essere un semplice movimento del corpo, genera un suono. C’è un primo importante aspetto educativo: la persona che utilizza lo strumento percepisce subito che un suo movimento può generare un suono e che lui stesso può determinare un cambiamento in questo.

Molto interessante. Come è nata questa idea?

Una decina di anni fa sono entrato in contatto con una dottoressa dell’Università di Porto Gruaro, a capo di un gruppo di ricerca universitario che si occupava dello studio e della certificazione di strumenti utili al miglioramento della comunicazione in soggetti con disabilità relazionali. Così, durante il nostro incontro, ho individuato alcune caratteristiche tipiche dell’organetto che avevo intuito potessero adattarsi bene a questo scopo. Così, dopo alcune prove, ho realizzato questo strumento. Alcuni anni più tardi, per caso, ho incontrato un musicista, marchigiano tra l’altro, impiegato in un istituto per ragazzi disabili nella zona di Fano. Gli ho parlato dello strumento che avevo realizzato, gliel’ho fatto vedere e gliene ho regalato uno. Dopo alcuni mesi ci siamo risentiti e lui era entusiasta. Mi ha detto: “Tu non puoi immaginare che grandi risultati abbiamo ottenuto con i ragazzi”. “Pensa”, diceva, “avevamo pazienti che non reagivano a nessuno stimolo e dopo l’utilizzo di questo strumento hanno iniziato a fare grandi progressi”, tanto da realizzare anche un evento dal titolo “Il festival della musica impossibile”, al quale poi sono stato anche invitato. È stata per me una grande emozione. Ai loro ringraziamenti ho risposto che in realtà non avevo fatto nulla di più rispetto a ciò che facevo da sempre, avevo realizzato uno strumento che non era molto distante da quello che costruiamo da ormai quasi 100 anni! Alla fine della serata, un attore che era lì per recitare delle poesie, mi ha fermato e mi ha detto: “Forse non ti rendi conto della grande cosa che hai fatto: hai consentito a tanti ragazzi disabili di esprimersi, per alcuni di loro il suono che producono con lo strumento è l’unico modo di farlo. Poi, la gratitudine dei genitori è stata per me una cosa sconvolgente. Quando si va in teatro ad ascoltare un concerto si pensa ad una musica melodica e di qualità. Non avevo mai immaginato però, che dietro a questo potesse, invece, celarsi tanto altro: rendermi conto di ciò mi ha fatto venire la pelle d’oca, sì, mi ha sconvolto e quando si comprende la grandezza di tutto questo, non si può fare a meno di dedicarvisi, sapendo di dare a qualcuno una nuova opportunità per esprimersi.