Le aziende costruttrici: Strumenti&Musica intervista Pigini

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Francesca PiginiNata il 6 giugno 1946, quando Filippo Pigini iscrisse alla Camera di commercio di Ancona la ditta “F.lli Pigini di Filippo”, Pigini è oggi una delle aziende di fisarmonica più importanti e conosciute sia in Italia che all’estero. Provare a raccontarne i trascorsi e gli sviluppi futuri non è stata impresa facile, vuoi perché 64 anni di storia non sono semplici da sintetizzare senza correre il rischio di lasciare per strada aspetti fondamentali, vuoi perché in fondo la storia della fisarmonica a Castelfidardo è indissolubilmente legata a quella degli uomini e delle donne che in questo mondo lavorano da sempre. Quello che mi ha colpito è stata la grande disponibilità di Massimo Pigini, che in un giorno lavorativo come tanti altri, pieno di impegni e di telefoni che squillano continuamente, si è seduto davanti a me e ha risposto volentieri (così almeno mi è sembrato) alle mie curiosità. Quello che leggerete di seguito è il frutto di una piacevole conversazione. Buona lettura!

Quali sono ad oggi le prospettive di una produzione che, nonostante i grandi numeri, è rimasta sostanzialmente artigianale?

Noi abbiamo in azienda un’età media che è di 40 anni. Il responsabile di produzione ne ha 32 e un paio di capo reparti ne hanno addirittura 28. Quindi per nostra fortuna l’età media è buona, anche se il 31 marzo scorso si è pensionata una signora che ha lavorato da noi per 40 anni. Abbiamo premiato 15 persone che hanno più di 35 anni di attività. Poi ci sono ragazzi giovani e quello che è certo è che bisogna investire in azienda. L’artigianato non è un mestiere che si può insegnare. Lo si impara confrontandosi ogni giorno con le problematiche e con chi già lo fa da anni. Qui il trasferimento di conoscenza è giornaliero.

Quindi questo è un investimento che voi fate come azienda sul personale attraverso la formazione.

Quasi sempre abbiamo ragazzi sotto i 20 anni e ovviamente questo è un lavoro che non può essere portato avanti se non c’è un talento. Ci sono molti ragazzi che dopo un periodo di prova lasciano. Abbiamo delle tecnologie in azienda che sono necessarie per affrontare le nuove leggi relative alla sicurezza sul lavoro, perché alcune lavorazioni non si possono più fare come una volta. Ma nelle scelte dei materiali, gli assemblaggi, il tocco, l’apporto umano è assolutamente determinante. Nella produzione di fisarmoniche non ci sono tempi e metodi. Ci si possono impiegare 20 minuti o 40 minuti, non è possibile standardizzare. Tutto viene trasferito ed insegnato attraverso la partecipazione. È un lavoro strettamente artigianale.

C’è a Castelfidardo un consorzio di costruttori. Attraverso questo viene effettuato un lavoro di ricerca? 

Dal punto di vista dell’imprenditoria le Marche è una regione un po’ particolare, dove ci sono molte eccellenze straordinarie che però lavorano in un orto. Ed è stato difficile fino ad oggi trovare un punto di incontro. Il consorzio esiste da 25 anni ma ancora non è stato in grado di dare i frutti che dovrebbe dare. Allo stesso tempo devo dire che credo sia importante che esista, perché in passato è stato utile anche quale momento di confronto tra tutti noi.

In un mercato sempre più globalizzato, il fatto che la produzione della fisarmonica sia legata all’apporto umano in maniera così determinante diventa inevitabilmente anche il tratto distintivo per una realtà come Castelfidardo?

La differenza di qualità non è data solo dal fatto che l’ora di lavoro in Cina costa 3 e da noi 30. Il fatto vero è che noi impieghiamo 30 ore per produrre uno strumento e loro ne impiegano 3. L’interesse ad avere un certo tipo di prodotto in Cina è basso: contano di più i numeri e i tempi di consegna. Per noi non contano solo i numeri. È molto importante avere la sicurezza che il prodotto dato al cliente sia in miglioramento nel tempo. Il prodotto di artigianato artistico, quindi di alta qualità, nel tempo migliora, mentre quello di bassa qualità nello stesso lasso di tempo peggiora. Questo vale per tutto l’artigianato artistico, non solo per la fisarmonica. Anche il prodotto elettronico d’avanguardia ha un fattore di staticità e di regressione, perché ben difficilmente questo tipo di strumento in 5 anni migliorerà. La differenza che c’è tra un prodotto e un altro alla fine è questa qua.

L’azienda Pigini esiste dal 1946. In oltre 60 anni di attività i cambiamenti del mercato hanno influito e in che misura nelle logiche di produzione e nella filosofia aziendale?

Certamente il cambiamento c’è stato, perché in questi 64 anni il mercato ha vissuto di tutto. Questa è un’azienda che ha iniziato con 10 persone, poi siamo arrivati a 40-50 dipendenti. Poi c’è stata una crisi terribile alla fine degli anni ‘70 dove tutti abbiamo registrato una riduzione del personale vivendo un ripensamento generale. Prima le aziende erano portate a produrre in attesa degli acquisti. Agli inizi degli anni ‘80 non era più così facile, perché bisognava produrre e cercare l’acquirente. Ci siamo trasformati da semplici produttori a produttori capaci di promuovere il prodotto, cosa che prima non si faceva. Poi negli anni ‘80 c’è stata una grandissima concorrenza, sia per il personale che per quanto riguarda le vendita. L’arrivo del computer ha portato via interesse per quello che c’era prima, quindi abbiamo tutti avuto difficoltà a trovare personale e mercato. Si pensava che la fisarmonica non avesse futuro. I cambiamenti sono stati sia dal punto di vista macro economico, sia dal punto di vista musicale. Alla fine degli anni ‘70 c’era la musica che era migliore degli strumenti e così siamo partiti con degli studi per migliorare lo strumento. Ora non possiamo più dire che musica e artisti siano molto più avanti dello strumento. È necessario adattarsi alle richieste e per fortuna sembra che si sia fermata la complessità dello strumento. Oggi abbiamo raggiunto dei limiti fisici su cui tutti sono d’accordo. Trenta anni fa noi non sapevamo qual’era lo strumento da concerto. Oggi è evidente che lo strumento da concerto ha una forma caratteristica, un’estensione caratteristica. Credo che questo sia stato un grande passo avanti.

Oltre alla formazione c’è anche un lavoro che riguarda la ricerca e l’innovazione?

Il nostro lavoro non è mai stato, a parte gli exploit ciclici, figlio di cambiamenti epocali. Ci sono  sempre dei passaggi caratterizzati da delle piccole svolte. Non abbiamo nessuna difficoltà a dire che la nostra base di miglioramento dipende anche dai musicisti che lavorano con noi allo studio di nuove tipologie di strumenti.

In questo percorso il digitale come si inserisce e come viene vissuto?

Qui è complicato per me perché sono nato acustico, meccanico e di elettronica capisco poco a parte quello che mi serve per comprenderla. Credo comunque che ci sia spazio anche per l’elettronica. Allo stesso tempo, e questo vale anche per altri strumenti, tutto quello che c’era prima è comunque rimasto. L’elettronica ha il vantaggio che è meno costosa, che può essere meno pesante o più facile da suonare. L’elettronica non è arrestabile, fa la sua strada e la farà sempre, ma resto convinto che ci sia spazio per tutti. Il digitale può aumentare la nostra visibilità perché ci permette di entrare in ambienti con cui altrimenti non avremmo contatti. È chiaro che qualche perturbazione al mercato la porta, ma sono perturbazioni normali che non vanno contestate.

Quanto influisce la produzione cinese sul mercato della fisarmonica?

Per noi la produzione cinese di fisarmoniche è un bene perché abbassa il gradino di ingresso. Se una nonna deve regalare lo strumento al nipotino non regala certo una Pigini. Ma piuttosto che regalare un cellulare acquista la fisarmonica cinese. Per appassionarsi, per amare lo strumento serve certamente un bravo insegnate. Però per noi questo aspetto è importante perché facilita l’avvicinamento dei più giovani. Allo stesso tempo l’artigianato artistico necessita di tradizione e passione, di cultura musicale. Non si può improvvisare e non si può far nascere dal nulla. Se i cinesi inizieranno questo percorso, ammesso che lo facciano, forse ci riusciranno fra 10 o 20 anni. È la produzione artigianale che ci caratterizza. Un competitor per crescere ha bisogno di molto tempo. Un altro modo non c’è.

Ho un’ultima curiosità da soddisfare. CIA e CMA sono un po’ i riferimenti del mondo fisarmonicistico. Svolgono attività analoghe e che hanno all’interno cariche che, a volte, riguardano le stesse persone. Può essere auspicabile una sintesi tra le due organizzazioni o è preferibile mantenere la presenza di più concorsi o occasioni di selezione per i giovani talentuosi?

Noi siamo principalmente produttori, il nostro compito è ascoltare l’esigenza degli artisti, dei formatori, così come quelle dei venditori e cercare di fornire loro un prodotto migliore. CIA, CMA sono cose che ci toccano perché è il nostro mondo, però allo stesso tempo sono aspetti che non dobbiamo cercare di governare, perché appartengono a un mondo diverso. Noi sappiamo come scegliere un legno, come trattare la celluloide, sappiamo se una voce è fatta bene o è fatta male, ma non è il nostro compito decidere se è meglio far sopravvivere un’associazione o una organizzazione. Quindi cerchiamo di rimanere equidistanti dalle varie posizioni. Detto questo la mia opinione personale è che comunque ci sono tante persone che con passione, spesso con i propri soldi, portano avanti un discorso che è quello della fisarmonica, in luoghi diversi e dandosi da fare, investendo soprattutto il proprio tempo. Io dico che queste persone sono brave perché danno un contributo di spinta a questo mondo. Non vedo una necessità di scegliere. Ma ripeto è una questione molto personale.