Tony Allen, il padre dell’Afrobeat, torna con il nuovo disco “Film of life”

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Tony Allen drummerIl nuovo disco del padre dell’Afrobeat Tony Allen si intitola “Film of life”. È uscito recentemente prodotto da Jazz Village e nessun altro titolo poteva essere più rappresentativo del suo contenuto. Innanzitutto perché Allen ha settantacinque anni e tutto ciò che fa non può che emanare (anche solo) un sapore del suo intuito, del suo carisma, delle sue frenetiche intuizioni ritmiche e dello stile che lo ha reso famoso in tutto il mondo. E poi perché il disco è proprio come un film. Come un film in cui si susseguono – a velocità variabili ma sempre sostenute – immagini in fila, una dopo l’altra. Apparentemente in modo casuale. Ma man mano che si interagisce con il flusso e si entra in confidenza con il linguaggio (ancora una volta innovativo e differenziato), se ne comprende l’ordine, la linea concettuale. E si realizza che ogni immagine ha un ruolo nell’insieme e in relazione con tutti gli altri elementi che vuole descrivere. Prendiamo ad esempio “Go back”, il brano cantato dall’amico Damon Albarn: la sua presenza, il suo canto, il suo stile sono chiarissimi e ci restituiscono un’interpretazione ispirata del cantautore inglese. Ma ogni accordo, ogni passo del brano, è stretto dentro la struttura di Allen, battuta con un ritmo inarrestabile, che non lascia nessuno spazio a ciò che non può essere ricondotto dentro il suo suono, i suoi battiti, la sua marcia (c’è un’immagine pubblicata da The Guardian in cui Allen è seduto alla batteria, serio e concentrato, ed è da lì, sembra volerci dire, che può arrivare ovunque). I temi che “Film of life” tratta sono molti, come molti sono gli artisti che Allen ha voluto chiamare a interpretarli. Vale la pena ascoltare il disco anche solo per riflettere sulle sfumature delle voci e dei suoni di questi grandi artisti: da Manu Dibango ad Adunni & Nefretiti, fino a Kuku e i Jazzbastards, i quali hanno curato la produzione come sideband.