“Vivere la musica: casi di studio e nuove prospettive di ricerca”

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WamaliDal 30 gennaio al 1 febbraio 2014 si terrà alla Fondazione Cini di Venezia il XIX Seminario Internazionale di Etnomusicologia, che avrà per titolo “Living music: case studies and new research prospects (Vivere la musica: casi di studio e nuove prospettive di ricerca)”. Come gli addetti ai lavori avranno già verificato, il seminario affronta i temi su cui si è riflettuto nell’edizione dell’anno scorso – della uale si era data notizia in questa rubrica – dal titolo “Perspectives on a XXI century comparative musicology: ethnomusicology or transcultural musicology? (Prospettive di una musicologia comparata nel XXI secolo: etnomusicologia o musicologia transculturale?)”.

Riportiamo qui di seguito una parte del documento di presentazione dell’incontro, scritto dall’etnomusicologo Francesco Giannattasio.

“Nella scorsa edizione furono affrontate varie questioni e, in primo luogo, ci si interrogò sulla necessità di abbandonare definitivamente quella visione “etnologica” del mondo che, per ragioni più che legittime di pari dignità delle culture e delle musiche, le scienze umane hanno nel secolo scorso diffuso dappertutto a piene mani, creando anche, purtroppo, una metacultura delle “alterità” alla quale credono ormai soltanto gli operatori turistici, il popolo dei consumatori, gli estremisti etnici, i musicisti del neo folk revival e di certa cosiddetta world music. La realtà attuale è molto più complessa, anche se non meno interessante: i più diversi stili, repertori e modi di realizzazione del musicale ormai consuonano tutti, pancronicamente, in una nuova dinamica interculturale e intersoggettiva. Di fronte a una così profonda trasformazione dell’oggetto di studio, nelle forme, nei comportamenti e nelle connotazioni sociali, ci si deve domandare in che cosa consista, oggi, la specificità dell’etnomusicologia. Nonostante sia stato spesso sottolineato come la disciplina dovesse costituirsi più per il metodo che non per l’oggetto delle ricerche, e che in teoria qualsiasi musica potesse essere affrontata con uno sguardo etnomusicologico, è un dato di fatto che ci si è soprattutto caratterizzati, sia al nostro interno che rispetto alle discipline confinanti, per il fatto di occuparsi di “certe” musiche. Fino a che punto, dunque, la trasformazione di tali musiche, il progressivo venir meno della separazione socio-culturale e dell’alterità, si ripercuote sull’identità della disciplina? Ad esempio, è ancora giustificato un ruolo degli etnomusicologi come promotori, garanti e protettori delle “altre” musiche? E con quali motivazioni? La questione chiama in causa l’attuale statuto di oggetti e di ambiti che, ormai più per convenzione che per convinzione, chiamiamo ancora musica colta, musica popolare, musica di tradizione orale, musica elettronica e così via, o anche etnomusicologia, musicologia d’arte, musicologia contemporanea, popular musicology ecc. Certamente le loro estensioni e i loro confini sono da rivedere, dato che i percorsi storici e le mappe geo-antropiche, sociologiche e stilistiche cui facevano riferimento sono radicalmente cambiati, con una velocità che ormai supera i nostri tempi di reazione e le nostre capacità di adattamento. La necessità più urgente sembra dunque quella di liberare l’etnomusicologia dal peso dei suoi miti di fondazione e da un ormai inammissibile attardamento nei canoni ideologici della rivoluzione antropologica compiutasi nel secolo ormai trascorso, ampiamente superati dalla realtà attuale; ferma restando, naturalmente, la possibilità di uno studio storico delle diverse culture musicali, oggi anzi accresciuta grazie ai documenti raccolti in oltre un secolo di studi etnomusicologici. A tale fine è certamente utile anche la riconsiderazione di una serie di slittamenti semantici di termini che ne hanno caratterizzato le vicende, a cominciare dalla denominazione stessa della disciplina e di tutti i termini caratterizzati dal prefisso ‘etno-‘ (o dall’aggettivo ‘etnico’), che assumono oggi un suono sinistro e una connotazione larvatamente razzista; ma altrettanto da rivedere sono nozioni ormai abusate e pericolose come “musica tradizionale” (e quale non lo è?) o “identità” (culturale, musicale, etnica ecc.). La stessa dicotomia oralità/scrittura ha ormai perso, nell’attuale quadro di trasformazioni, buona parte delle sue potenzialità euristiche; o, per lo meno, va ripensata in base alle condizioni di nuova oralità e nuova scrittura mediatiche, primarie e secondarie, soprattutto determinate dalla diffusione universale dei mezzi informatici di comunicazione di massa. L’attuale predominanza dei modi di fruizione degli eventi culturali sui loro contenuti e sulla loro specifica forma espressiva (in linea con la ben nota premonizione “il medium è il messaggio” di Marshall McLuhan) meritano in questo senso un’approfondita e meditata riflessione. Ecco perché, ci si deve domandare in cosa consista oggi, in questo nuovo Media Evo, la specificità dell’etnomusicologia, dato che, comunque la si voglia denominare, è di una musicologia transculturale che ci si dovrà d’ora in poi occupare. Nel Seminario 2014 tale discussione, così importante per il nostro settore di studi, proseguirà a partire da specifici casi di studio, che forniranno esempi particolarmente significativi dei concreti processi musicali (culturali, sociali) contemporanei.”

 

Tra i vari interventi previsti, ricordiamo i seguenti:

Steven Feld (University of New Mexico),

“Acoustemology: Toward a Posthumanist, Transpecies, and Cyborg Sound Studies”, giovedì 30 gennaio in apertura dei lavori;

Jocelyne Guilbault (University of California, Berkeley):

“The Politics of Musical Bonding: New Prospects for Cosmopolitan Music Studies”, dalle ore 14.00 alle 16.00;

Maurizio Agamennone (Università di Firenze) e Flavia Gervasi (Université de Montréal): “Attuali ricerche in area salentina”, venerdì 31 dalle ore 14.00 alle 16.00;

Jean-Loup Amselle (EHESS, Paris):

“Métissage, branchements et triangulation des cultures”, sabato 1 febbraio alle 9.30.

 

Il programma completo si può consultare qui.