Admir Shkurtaj: la fisarmonica come una fabbrica di suoni

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Admir ShkurtajMusicista albanese, ma italiano d’adozione e d’azione, Admir Shkurtay è un fisarmonicista profondamente creativo e particolarmente interessante. Dal suo peculiare playing emerge un’accurata ricerca sonora e uno stile improvvisativo trasudante di brillanti divagazioni free e fascinose contaminazioni che strizzano l’occhio alla musica balcanica, al folk e alla dodecafonia. Attraverso questa intervista racconta le sue esperienze umane e professionali più significative.

Quando e come è nato il tuo fortunato incontro con la musica?

Avevo 6 anni circa, quando ascoltai mio zio non vedente suonare la fisarmonica. Mi chiedevo da dove uscissero tutti quei suoni e da come fossero armonizzati: una magia.

Perché hai deciso di dedicare la tua vita artistica alla fisarmonica?

Sin dal primo incontro con questo strumento ho deciso, senza pormi troppe domande, di diventare un fisarmonicista. Poi iniziai a studiare a circa 12 anni. Nella vita, certe decisioni, si prendono senza dubbi. Sono scelte che testimoniano una vera necessità.

Qual è la tua formazione riguardante lo studio di questo strumento?

Inizialmente da autodidatta. Ricordo di aver eseguito a due mani il valzer del Danubio solo vedendolo suonare. Successivamente ho seguito i corsi preaccademici per accedere al liceo artistico di Tirana. Gli studi della fisarmonica si sono conclusi con la maturità e dopo mi sono dedicato alla composizione.

Quali sono gli aspetti tecnici più interessanti della fisarmonica?

Per me è una fabbrica di suoni che bisogna tirare fuori. Dunque, ho un’idea decisamente lontana dalla fisarmonica passionale, sensuale e melodica.

Dal tuo erudito playing si percepiscono svariate influenze riconducibili all’Albania, la tua splendida terra d’origine, che si coniugano sapientemente con il jazz. Come e perché è nato questo stimolante sincretismo stilistico?

È nato con il tempo. Il primo incontro con il jazz è stato scioccante. Ricordo un concerto di David Perez che mi fece perdere la parola per qualche giorno. Da lì, il percorso di formazione jazzistica, poi gli anni della world music (1997-2000) e il ripristino della musica balcanica (da me accantonata). In seguito ho sperimentato la fusione dei vari linguaggi. Inoltre mi sono cimentato con le sonorità contemporanee. In sostanza, strade separate che poi si uniscono dopo un lungo percorso fatto di dubbi e sofferenze.

Sei un fisarmonicista e compositore particolarmente cerebrale. Qual è il tuo approccio alla composizione?

La composizione è cerebrale, non può essere altrimenti. Ha bisogno della meditazione extramusicale, che comporta un necessario utilizzo del lato cerebrale. Il mio è un approccio da compositore classico/contemporaneo, oltre che da strumentista improvvisatore. Probabilmente questo rende le mie composizioni più accessibili.

Ti sei trasferito dall’Albania in Italia. Questa scelta di vita ha inciso pesantemente sulla tua carriera artistica?

Assolutamente sì! Su tutti i piani. Musicali, emotivi e del linguaggio. Devo molto all’Italia.

Quali sono le analogie e le differenze musicali più significative tra il tuo Paese e l’Italia?

Non ci sono assolutamente, almeno fino agli anni 90’, quando vivevo lì. Il mare ha diviso tanto e la storia dei due paesi è stato molto diversa. Assomigliamo di più all’Est Europa e al Medio Oriente per cultura e storia. Certo, oggi le culture cambiano.

Ad oggi, chi è il musicista albanese più rappresentativo?

Non saprei…

Hai in mente nuovi progetti discografici?

Sì, tanti. Vorrei lavorare per costruire realtà che si occupino di linguaggi contemporanei nel Salento, perché credo che ci sia tanto bisogno di questo.