Combattere può essere una festa (seconda parte)

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“COMBATTERE PUÒ ESSERE UNA FESTA”

Borges, il tango, Buenos Aires

(seconda parte)

 

La stesura della biografia di Evaristo Carriego (1930)[1] è, per Borges, anche l’occasione per enunciare la propria tesi circa le origini del tango. Borges rifiuta la versione più diffusa, che definisce “sentimentale”, secondo la quale il tango sarebbe nato nelle periferie di Buenos Aires, per poi essere «adottato» dalla buona società. Escluse le divergenze circa la topografia e la geografia, tutte le sue fonti concordano sull’individuazione dei lupanari come luogo di nascita del tango, tra il 1880 e il 1890 circa:02 Combattere può essere una festa (orchestra con bandoneon) “L’originaria composizione delle orchestre – pianoforte, flauto, violino, più tardi bandoneón – è prova del fatto che il tango non poté nascere nella periferia, che si accontentò sempre, nessuno lo ignora, delle sei corde della chitarra”[2]. Ulteriori indizi, secondo Borges, confermerebbero questa ipotesi: “la lascivia delle figurazioni, l’evidente doppio senso di certi titoli […], il fatto, che potei osservare io stesso da bambino in Palermo[3] e anni più tardi alla Chacarita e in Boedo[4], che lo ballassero per le strade soltanto delle coppie di uomini, perché le donne del popolo non volevano compromettersi in un ballo da puttane”[5].03 Combattere può essere una festa (coppie di uomini) È questo il tango che Borges ama e che mitizzerà, il tango delle origini, la musica che dai bordelli si diffonde per la orilla (margine, riva), uno spazio dai confini imprecisati, una frontiera sfumata tra la città e la campagna, fatta di sobborghi dimenticati[6]. È il territorio del compadre, sorta di archetipo dell’argentino autentico (criollo) in contrapposizione agli immigrati, in particolar modo gli italiani, 04 Combattere può essere una festa (gaucho)responsabili, secondo Borges, dello snaturamento del tango, dell’introduzione in esso dei temi – che guardano ancora oltreoceano – della malinconia e della tristezza, della vendetta e del risentimento. “È ai criollos che voglio parlare: agli uomini che in questa terra si sentono vivere e morire, non a quelli che credono che il sole e la luna si trovano in Europa. […] Voglio conversare con […] i ragazzi attaccati a questa terra […] che non sminuiscono la realtà di questo paese[7]. […] Ormai Buenos Aires, più che una città, è una nazione e bisogna trovare la poesia e la musica e la pittura e la religione e la metafisica adatte alla sua grandezza. È questa la misura della mia speranza”[8].

Il compadre ostenta sempre coraggio e virilità e raffigura tutto ciò che si presenta come autentico, gioioso e degno di ammirazione. Il valore in cui crede di più, e per il quale è disposto a sacrificare la vita, è quello dell’amicizia. Potrebbe essere definito la versione urbana del gaucho, eroe della pampa argentina, col quale condivide l’amore per la libertà e l’insofferenza verso le regole imposte, che in città assumono carattere di ancor più spiccata ribellione contro l’autorità costituita e che lo portano, di frequente, ad essere un fuorilegge[9]. Compadre diventa anche un aggettivo, attribuito al tango e cantato nel tango stesso:

“Tango come quello dei vecchi tempi,

un po’ semplice,

un po’ compadre”[10].

Nella cultura popolare argentina, si profila anche la figura del compadrito. Secondo alcuni, il compadrito sarebbe il frutto della mescolanza tra il criollo e l’immigrato, i figli del quale avrebbero tentato di integrarsi nella realtà dei sobborghi di Buenos Aires, adottando atteggiamenti e stile di vita del compadre. Questo non è il punto di vista di Borges, il quale ritiene che compadrito sia solamente una delle definizioni dell’abitante dei suburbi della capitale, solo successivamente accresciuta di nuove attribuzioni, frutto di colore locale, che egli disprezza. Nella sua letteratura i due termini si equivalgono in quanto a significato, sebbene egli preferisca utilizzare la variante compadrito [11]. Già immortalato attraverso la poesia e il teatro popolari o per mezzo di tanghi e di milonghe, il mito di questa figura sarà diffuso proprio da Borges.05 Combattere può essere una festa (tango)  Ironico, scaltro, esibizionista, abile ballerino, il compadrito fa sfoggio della propria eleganza eccessiva che prevede, nei casi più estremi, addirittura il vezzo di infilare gli anelli sopra i guanti[12]. Non teme la morte, la sua unica arma è il coltello, compagno inseparabile. Con esso cancella le offese e conquista le donne, sfidando gli avversari e combattendo duelli che assumono le cadenze di una danza, che prelude al tango. Il senso della vendetta gli è estraneo, come estranei gli sono i valori e i mutamenti della civiltà moderna. Per Borges, il compadrito vive per sempre in un luogo e in un tempo immobili e immutabili, come si addice, appunto, ad un archetipo, ad un’idea platonica: la Buenos Aires a cavallo tra ’800 e ’900. La città, allora, non aveva ancora conosciuto i grandi flussi immigratori che ne avrebbero modificato la natura gioiosa.06 Combattere può essere una festa (sbarco di migranti a Buenos Aires) I suoi sobborghi, Palermo in particolare, così caro a Borges, si presentavano con una fisionomia del tutto diversa da quella che avrebbero assunto di lì a pochi anni: “L’altroieri di Palermo non era proprio identico al suo oggi. […] Il quartiere era battagliero in quell’altroieri: lo riempiva d’orgoglio che lo chiamassero Terra del Fuoco e il rosso mitologico del Palermo di San Benito viveva ancora nei coltelli dei guappi. 07 Combattere può essere una festa (Carlos Gardel)C’erano i compadritos, allora: uomini sboccati che passavano il tempo a fischiare o a fumare e i cui tratti caratteristici erano i capelli schiacciati e il fazzoletto di seta e le scarpe rialzate e l’andatura curva e lo sguardo travolgente. […] Il coraggio o la simulazione del coraggio era una felicità”[13]. Questo «brodo primordiale», in cui si sviluppa il tango, conosce una frattura dovuta, secondo Borges, ai massicci flussi migratori (soprattutto dall’Italia) e alla nascita, nel 1917, del tango-canzone sentimentale con l’incisione di Mi noche triste di Carlos Gardel. Versi e musiche si fanno «piagnucoloni», il ritmo è rallentato, e il compadrito comincia a perdere di virilità sotto i colpi dei nuovi temi del tango: amore e dolore, perdono e nostalgia[14]. “Oggi è normale supporre che l’inappetenza vitale e il timoroso lamento tristanzuolo siano il tratto essenziale della periferia. Io non la penso così. Non basta qualche stiracchiamento di bandoneón per convincermi, o qualche miserabile sventura di malviventi sentimentali e di prostitute più o meno pentite.08 Combattere può essere una festa (Ángel Villoldo) Una cosa è il tango attuale, fatto a forza di tratti pittoreschi e di completo gergo lunfardo[15], altra i vecchi tanghi, che erano fatti di pura sfacciataggine, di pura spudoratezza, di pura felicità del coraggio. Questi furono la voce genuina del compadrito; gli altri (musica e parole) sono la finzione dei miscredenti dello spirito guappo, di coloro che lo mettono in discussione e lo demoliscono”[16]. I tanghi che Borges preferisce sono El porteñito e El choclo, entrambi di Ángel Villoldo ed entrambi con evidenti allusioni oscene. E poi El caburé, El cuzquito, El flete, El apache argentino, Una noche de garufa, Hotel Victoria, Don Juan, El taita del barrio, che testimoniano la spavalderia dei sobborghi:

“Nel tango son così temerario

Che quando faccio un doble corte,

si sparge la voce nel Nord

se sto ballando nel Sud”[17].

Ma anche il compadrito di Borges mostra, almeno in un caso, qualche debolezza. E Borges stesso, nella lingua scelta per raccontarne la storia, cede il passo al lunfardo e ad arcaismi che ha sempre osteggiato fino ad allora e che riprenderà ad osteggiare in seguito.09 Combattere può essere una festa (la casa rosa) La novella Uomo della casa rosa, contenuta nella raccolta Storia universale dell’infamia[18] (1935), narra le vicende di Rosendo Juárez il Picchiatore, “uno dei guappi più temuti di Villa Santa Rita, uomo abile nel coltello”, che “usava arrivare al bordello elegantissimo, con un cavallo oscuro, coi ciondoli d’argento alla cintura; uomini e cani lo rispettavano e anche le donne; nessuno ignorava che egli aveva due morti sulla coscienza; […] Noi ragazzi gli copiavamo persino il modo di sputare”[19]. Ma una notte, la spavalderia di Rosendo lascia spazio alla sua natura più profonda. È una notte in cui, dice il narratore, “il tango faceva la sua volontà: ci trascinava e ci smarriva, ci dava ordini e ci ritrovava. Eravamo presi da questi piaceri, come in un sogno […]”. In questo locale fa il proprio ingresso Francisco Real, compadrito di un’altra zona della città e altrettanto temuto e rispettato. Real sfida a duello Rosendo che, inaspettatamente, rifiuta di battersi. La sua donna, la Lujanera, (“a vederla si restava senza parole”[20]) lo guarda con odio e, al secondo rifiuto, lo abbandona e passa tra le braccia di Francisco.10 Combattere può essere una festa (Borges) “Francisco Real restò un momento perplesso e poi la abbracciò come per sempre; gridò ai musicanti di suonare tango e milonga, e agli altri spettatori di ballare. La milonga passò come fuoco da una parte all’altra. […] Mentre la nuova coppia lascia il locale (“uscirono avvinti, come nella mareggiata del tango, come se il tango li perdesse”[21]), Rosendo lascia il quartiere, solo. Sarà il narratore ad uccidere Real, per vendicare l’onore del quartiere. E, come fosse un bottino di guerra, conquisterà la Lujanera. Molti anni più tardi, in uno dei racconti de Il manoscritto di Brodie (1970), Borges racconterà la vicenda dal punto di vista di Rosendo[22]: “Ciò che mi capitò quella notte veniva da lontano. […] In quel guappo provocatore mi vidi come in uno specchio e mi vergognai. Non provai paura; forse se l’avessi provata, sarei riuscito a battermi. […] Per levarmi da quella vita, me ne andai in Uruguay, dove mi misi a fare il carrettiere”[23]. Rosendo aveva ripensato alla propria vita e se n’era voluto liberare. La morale dell’onore, così come il giudizio degli altri, si erano trasformati in una gabbia troppo stretta anche per un compadrito come lui, Rosendo Juárez detto il Picchiatore [24].

 

NOTE

[1] Jorge Luis Borges, Evaristo Carriego, in Tutte le opere, Milano, Mondadori, 1986, vol. I, pp 181-284.
[2] Ibidem, p. 264.
[3] N.d.R. Palermo, quartiere periferico di Buenos Aires in cui Borges visse durante l’infanzia e la gioventù. Cfr. la I parte di questo articolo.
[4] Altri quartieri periferici di Buenos Aires.
[5] J. L. Borges, Evaristo Carriego, in op. cit., p. 264.
[6] Monica Maria Fumagalli, Jorge Luis Borges e il Tango, Stuttgart, Abrazos, 2013.
[7] J. L. Borges, La misura della mia speranza, Milano, Adelphi, 2007, p. 15.
[8] Ibidem, pp.17-18.
[9] Ibidem.
[10] Sencillo y compadre, tango di Carlos Bahr.
[11] J. L. Borges, Silvina Bullrich, El compadrito, Buenos Aires, Compañía General Fabril Editora, 1963.
[12] José Sebastián Tallón, El tango en sus etapas de música prohibida, Buenos Aires, Instituto Amigos del Libro Argentino, 1964.
[13] J. L. Borges, “Carriego e il sentimento della periferia”, in La misura della mia speranza, Milano, Adelphi, 2007, pp. 29-30.
[14] Dimitri Papanikas, La morte del tango, Bologna, Utorpheus, 2013.
[15] Il lunfardo è un argot (o slang) utilizzato a Buenos Aires e a Montevideo. Originariamente, fu usato dai detenuti per non farsi comprendere dalle guardie.
[16] J. L. Borges, “Carriego e il sentimento della periferia”, op. cit., pp. 31-32.
[17] Dal tango Don Juan, el taita del barrio.
[18] J. L. Borges, Storia universale dell’infamia, in Tutte le opere, op. cit., pp. 439-515.
[19] Ibidem, p. 494.
[20] Ibidem, p. 495.
[21] Ibidem, p. 498.
[22] J. L. Borges, Storia di Rosendo Juárez, in Tutte le opere op. cit., pp. 385-391.
[23] Ibidem, pp. 390-391.
[24] Monica Maria Fumagalli, op. cit.

 

PER APPROFONDIRE

BIBLIOGRAFIA

BORGES, Jorge Luis, Il prisma e lo specchio, Milano, Adelphi, 2009.

BORGES, Jorge Luis, El idioma de los argentinos, Madrid, Alianza Editorial, 1998.

BIOY CASARES, Adolfo, Memoria sobre la pampa e lo gauchos, Buenos Aires, Editorial Sur, 1970.

CARRETERO, Andres M., El compadrito y el tango, Buenos Aires, Ediciones Pampa y cielo, 1964.

FERRARI, Osvaldo, Conversazioni con Jorge Luis Borges, Milano, Bompiani, 1993.

GUIBERT, Fernando, El compadrito y su alma, Buenos Aires, Editorial Perrot, 1957.

LAO, Meri, T come tango, Roma, Melusina Editore, 1996.

SALAS, Horacio, Il tango, Milano, Garzanti, 1992.

 

LINK AUDIOVISIVI

https://www.youtube.com/watch?v=HrlUr-QgJsc