Flaviano Braga: positività ed emozioni da donare al pubblico

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Flaviano BragaFlaviano Braga è un fisarmonicista estremamente sincero, virtuoso e profondamente comunicativo. In questa intervista racconta alcuni spaccati della sua vita.

Hai iniziato a studiare musica a 6 anni, imbracciando la fisarmonica. Quali sono gli aspetti che ti affascinano maggiormente di questo strumento?

La versatilità, poter spaziare in moltissimi generi musicali, dalla musica popolare a quella colta, potersi muovere facilmente con lo strumento, poterlo suonare praticamente ovunque senza tralasciare il fatto di avere molte possibilità timbriche.

Eugenia Marini, grande fisarmonicista, ha ricoperto un ruolo fondamentale nella tua vita artistica. Cosa e quanto hai imparato da lei?

Ho imparato moltissimo da lei. Oltre a essere una bravissima concertista è una validissima insegnante. Con lei ho cambiato il mio modo di usare lo strumento, dedicando più attenzione all’interpretazione e curando tutte le sfumature, oltre a studiare la tecnica a bassi sciolti con il bajan. Le devo molto.

Spazi con naturalezza dalla musica tradizionale a quella contemporanea. Come scaturisce questa tua poliedricità?

Mi viene naturale. Forse il fatto che mi piace spaziare suonando generi molto diversi mi ha aiutato in questo, senza avere la pretesa di saper suonare tutto alla perfezione.

Nel 1992 hai intrapreso una nuova e proficua collaborazione con uno tra i maggiori esponenti internazionali della chitarra flamenca: Livio Gianola. Come è nato questo sodalizio musicale?

Per caso, come succede spesso. Livio stava per registrare dei brani di sua composizione e voleva inserire la fisarmonica. Mio fratello studiava batteria con Pietro Stefanoni, il batterista e percussionista del gruppo di Gianola dell’epoca. Così, tramite mio fratello, ho iniziato un’esperienza meravigliosa che continua ancora oggi. Livio Gianola è un musicista straordinario.

Da fisarmonicista, quali sono le difficoltà strettamente tecniche legate a un genere musicale come il flamenco?

Sono molte. Nel flamenco tradizionale non esiste la fisarmonica. Gianola ha modernizzato molto questo tipo di linguaggio. All’inizio le difficoltà sono maggiormente ritmiche. Suonare una bulerias non è semplice: un 12/8 dove non si accenta mai l’uno, bensì il 12, cioè l’ultima divisione ritmica, si parte dal 12, poi 3, 7, 8, 10 e 12 e così via. Capire come interpretare gli obbligati, mettendo i giusti accenti e il fraseggio nelle improvvisazioni. È un genere affascinante, ma allo stesso tempo molto complesso. Anche in questo caso Gianola è stato un aiuto fondamentale.

Nell’arco della tua lunga e brillante carriera hai calcato il palco al fianco di svariati e prestigiosi musicisti, tra i quali: Eugenio Finardi, Stefano Bagnoli, Max De Aloe, Marco Detto, Marco Ricci, Giovanni Giorgi, Francesco D’Auria, Oscar de Los Reyes, Antonio Canales e molti altri ancora. Chi fra tutti questi ha arricchito di più, realmente, il tuo bagaglio artistico e umano?

Ogni musicista con cui collabori ti arricchisce in qualcosa, ti lascia qualcosa. Il nome è sempre lo stesso: Livio Gianola. Con lui ho fatto numerosi tour sia in Italia che all’estero, ho registrato quattro dischi, calcato palchi molto importanti e visto posto che non avrei mai pensato di vedere, tipo il Giappone. Due tournée con la compagnia Alborea Mara Terzi, senza però dimenticare tanti altri musicisti che mi hanno insegnato tanto e che ringrazio. Spero di aver lasciato a mia volta anche solo un pensiero o un aneddoto sui quali sorridere.

Hai avuto l’opportunità di esibirti in numerose nazioni come Svizzera, Francia, Spagna, Germania, Repubblica Ceca, Giappone, solo per citarne alcune. Qual è il ricordo più prezioso che custodisci gelosamente dopo aver vissuto queste esperienze?

Le amicizie che nascono. Sono amico di persone in Giappone nonostante siano passati quindici anni. Poi lo scorso anno in Turchia. Eravamo lì (con Livio Gianola) per suonare al Festival Flamenco di Ankara. Il mattino del concerto ci fu un attentato a un corteo pacifista che causò il rinvio del live. Bastò uno sguardo fra noi musicisti. Allora proponemmo di suonare a porte chiuse nella scuola Flamenco di Ankara, che era l’ente organizzatore dell’intero festival. Così, suonammo a porte chiuse per venti ragazzi amanti della musica. Terminò in lacrime di commozione e abbracci, in un’atmosfera che come si può immaginare era veramente pesante. Un’esperienza unica.

Che tipo di riscontro ottieni quando suoni dal vivo in Italia?

Sempre molto positivo. Nonostante il periodo poco favorevole, ci sono ancora moltissime persone appassionate di musica. Io guardo a quelle.

Tenere concerti in Italia o all’estero suscita in te le stesse emozioni?

Sì, il pubblico va rispettato sempre. Italiano o no, non fa differenza. Si suona sempre con il massimo impegno e con l’obiettivo di comunicare qualcosa di positivo, di trasmettere emozioni che possano toccare tutti indistintamente. Alcune volte si ha la percezione che all’estero ci sia una maggiore considerazione per chi fa il musicista e talvolta non è solo una percezione, ma è la realtà, anche se suonare in un teatro italiano o straniero mi regala le stesse emozioni positive.

Sei concentrato nella realizzazione di nuovi progetti discografici?

Sì. A breve uscirà un disco in duo, io e Simone Mauri, un clarinettista basso di una bravura immensa. Un CD molto interessante secondo me, con molti brani originali composti da Mauri. Nel nuovo anno registrerò il primo album a mio nome. Un lavoro tutto mio con due compagni di viaggio d’eccezione: Max De Aloe all’armonica cromatica e Roberto Olzer al pianoforte. Ci saranno anche mie composizioni. Questa è un’esperienza nuova per me, ma molto stimolante. Non anticipo altro.