Franco Cerri: l’autodidatta insegna, anzi… racconta!

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Franco CerriSono riuscito ad avere un appuntamento con il maestro Franco Cerri ed è stata la cosa più semplice del mondo. È bastata una telefonata e da subito la sua voce calma e suadente ha creato il feeling. Dopo, durante l’intervista, capii perché era stato così facile: “Grazie…” disse “Voi giornalisti mi coccolate ancora, nonostante la mia età”. Sono emersi il rispetto, la classe e la sensibilità dell’artista.

Maestro mi parla della sua scuola di jazz?

Non sono d’accordo con il termine insegnare. Insegnare qualcosa a qualcuno mi da tristezza. Ai ragazzi della scuola parlo delle mie esperienze, racconto quello che mi è successo e come mi è successo. Come sono riuscito a essere quello che sono da autodidatta. Agli inizi della mia grande passione musicale, non ho avuto alcun maestro, perché non c’erano soldi. Papà mi ha regalò una chitarra e mi disse: “Questa è la chitarra, non c’è una lira per un maestro, vedi tu”.

Gli allievi alla fine del Corso avranno un riconoscimento parificato?

Fino ad oggi non ancora, ma siamo in attesa da un momento all’altro della regolare formalizzazione del riconoscimento. Enrico Intra, Maurizio Franco ed io, siamo i fondatori della Milano Civica Scuola di Musica, nella quale sono organizzati Corsi di Jazz. È stato approntato un piano di studio nella formula universitaria del biennio e del triennio. Il programma prevede lo studio dello strumento con quello della teoria, perfettamente integrati, lo studio dell’armonia e quello dell’analisi per rendere comprensibile la musica jazz in tutti gli aspetti. L’attività, oltre alla formazione, comprende quella di produzione che fonde progetti musicali, di elevato livello, condivisi fra docenti e studenti. I Corsi al loro interno hanno costituito importanti gruppi stabili. La fusione, nella composizione dei gruppi fra studenti e docenti, permette attività concertistiche di alto livello nella rassegna Orchestra Senza Confini del Piccolo Teatro di Milano. L’importante valenza didattica è anche caratterizzata attraverso la regolare collaborazione con celebri artisti italiani, europei e americani, che spesso consentono produzioni discografiche.

Un’opinione sulle produzioni di oggi della musica italiana?

Parto subito con una cosa che mi sta sul gozzo: Nel nostro paese non è mai esistita un’educazione musicale. Non s’insegna dalle scuole dell’obbligo in avanti, in modo serio e continuo. Il pubblico, sotto quest’aspetto non è cresciuto. I politici, in generale, non fanno crescere i nostri giovani, lavorano meglio sulla nostra pelle. Nel nostro piccolo, la nostra parte la stiamo facendo. In questo momento faccio anche musica d’insieme. Gli allievi sanno benissimo che io non ho mai assistito a una lezione di musica e che il mio percorso ha anche al suo attivo collaborazioni esecutive con molti dei grandi musicisti a livello internazionale: il violinista jazz Stephane Grappelli, Wes Montgomery, Chet Baker, Gerry Mulligan, Lee Konitz, Dizzy Gillespie e molti altri. Qualche anno fa, all’inizio, la televisione, veicolo straordinario d’informazione e divulgazione, era molto più sensibile alla musica di qualità e agli spettacoli musicali attraenti. Adesso il nulla, si lascia spazio a futili dibattiti e spettacolini sterili, tralasciando la cultura musicale e quello che è peggio, dissuadono i giovani nell’intraprendere attività connesse alla musica, non offrendo occasioni di lavoro nel settore.

Fra i miti della musica jazz con i quali ha collaborato, chi ha particolarmente creato nuovi orizzonti nella sua carriera artistica?

Come ho detto prima, il grande privilegio di collaborare con i grandi del jazz mi ha dato sicurezza e forza, ma anche nell’ambito nazionale sono riuscito a collaborare con quelli che sono ancora oggi i fondatori di uno stile musicale e di vita: Gorni Kramer, che mi ha sempre infuso coraggio. Mi ricordo che quando mi sentì suonare mi disse: “ Non ti preoccupare se non sai la musica, hai la paletta” (l’orecchio). Il Quartetto Cetra, i cui componenti usavano le loro voci in modo così armonico che avrebbero potuto cantare senza musica perché riuscivano a crearla con la grande sintonia vocale.

Come definirebbe il jazz.

In generale la musica viene da cose scritte. Nel jazz invece qualcuno cominciò a fare cose senza la musica. Forse per dono di natura, improvvisava mixando delle armonie, oppure con gli accordi.

Si decide cosa suonare. Facciamo un blues in si bemolle. Suona uno, secondo un tema e poi l’improvvisazione e magari un’ora a fare quel pezzo con le sue variazioni intuitive e interpretative. C’è però uno che si stacca e il contrabbasso che non si ferma mai. Uno dei componenti il gruppo stacca e l’altro lo segue e ripete fino a quando si crea un altro movimento. Si tratta di qualcosa che non ha una nascita, non è definito, è solo indicato. Attorno variazioni che ognuno interpreta. Il jazz ha sempre rappresentato una sorta di libertà. Suoniamo quello che abbiamo voglia. Senza obbligo. C’è una linea armonica da seguire e il resto viene da solo. Certo la forma personale è importante, com’è importante l’atmosfera che ci circonda. Il musicista durante i concerti ha bisogno di stimoli di partecipazione e di calore.

Chi è stato il suo modello?

Ho sempre avuto una grande curiosità. Per me tutto poteva essere musica, anche se non l’avevo studiata. Avevo un grande desiderio: scrivere. Non conoscevo neanche le note. Una notte mi svegliai di soprassalto e trovai la soluzione che era quella di procurarmi partiture di brani che io conoscevo e che suonavo già. Osservavo com’erano scritti e imparai che c’erano una quartina e poi una croma. Piano, con grande pazienza, cominciai a scrivere. All’inizio feci vedere a Kramer le cose che avevo scritto e lui: “ Non ci credo neanche se ti metti in ginocchio”. Raccontava agli altri: “Questo qua ha la paletta, ma esagera”. Avevo il grande desiderio, il bisogno di fare qualcosa di mio e così sono andato avanti. Ho rubato sfumature, ho osservato atteggiamenti, suoni, emozioni, finché la bellezza della musica mi abbracciò possedendomi. Ho appreso da molti tante cose, ma quello che ritengo abbia formato il mio carattere musicale, è stato Django Reinhardt con cui suonai per due settimane al night milanese Astoria, in trio con il violinista Stephane Grappelli. Da quel momento capii la forza dell’interpretazione nell’esecuzione jazzistica.