Giacomo Desiante: il ritmo come essenza della vita

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Giacomo DesianteGiacomo Desiante è un artista molto profondo, a 360 gradi, un fisarmonicista estremamente versatile, dall’inesauribile cultura musicale, frutto di numerose esperienze che gli hanno consentito di praticare brillantemente una pletora di generi. Attraverso questa intervista parla di sé e della sua intensa attività professionale.

L’inizio del tuo percorso musicale è legato alla banda del paese, un’autentica “palestra” per tutti i giovani musicisti. Questa esperienza ha rappresentato per te un trampolino di lancio?

Avevo circa cinque anni, quando mi sono esibito in pubblico per la prima volta accompagnando con il tamburo la banda del mio paese. Mio padre, appassionato musicista amatoriale, mi portava abitualmente ad ascoltare la banda che si esibiva in piazza, poiché all’epoca frequentare l’ambiente bandistico era l’unico modo, soprattutto per chi non aveva grosse possibilità economiche, di avvicinarsi al mondo della musica e imparare a suonare uno strumento. Più che un vero e proprio trampolino di lancio, l’esperienza in banda è stata nel mio caso una grande possibilità formativa.

Sei un acceso appassionato di musica popolare. Questo genere musicale ti influenza ancora oggi?

Non solo mi influenza ancora oggi, ma cerco costantemente nuovi progetti per continuare a praticarla in modo alternativo e con formazioni diverse. Da musicista sono sempre stato convinto che non si possa prescindere dalla conoscenza della musica nata dalla spontaneità della gente che cristallizza usi, costumi e convenzioni popolari, che è simbolo di credenze, ritualità, spiritualità, che in una sola parola rappresenta la vita. Fortunatamente la limitante gerarchia tra generi posta in essere dalla storica contrapposizione tra musica popolare e musica colta, ad oggi, sembra andar via via scomparendo, e in tanti cercano di far rinascere melodie e strumenti tradizionali.

Giacomo DesianteLa tua sete di curiosità e apprendimento ti hanno portato a studiare pianoforte, trombone, composizione e arrangiamento jazz. Quali sono i motivi principali di questa scelta?

Le motivazioni sono molteplici e, purtroppo, non tutte positive. Certamente non ho difficoltà ad ammettere che la curiosità verso tutti gli strumenti musicali esistenti, nessuno escluso, è stata spesso incurabile: sono attratto dal loro funzionamento, dalle possibilità tecniche ed espressive, dagli impasti sonori e dinamici che si possono ottenere combinandoli fra loro. Sicuramente l’aver compreso meccanismi di molti strumenti e imparato a suonarne diversi ha giovato anche al mio lavoro di arrangiatore, compositore e direttore. Adoro scrivere musica, soprattutto per orchestra. Mi piace giocare con ritmi e armonie, far dialogare gli strumenti, curare l’assegnazione delle parti, comporre e arrangiare pensando ai professori d’orchestra e alla loro esigenza di divertirsi nel suonare almeno quanto io mi diverta a dirigere. Ciononostante non posso negare, prima di tutto a me stesso, che il mio essere polistrumentista è stato anche, e purtroppo, una conseguenza della mancanza di una guida, di un punto di riferimento solido e carismatico, qualcuno in grado di indicarmi un’unica strada da seguire, evitando di perdere del tempo prezioso e risparmiandomi periodi di ansia legata alla continua ricerca di un’identità musicale.

Il tuo strumento principe è la fisarmonica. Perché hai deciso di dedicarti maggiormente ad essa?

Semplicemente perché la fisarmonica ha rappresentato per me la sintesi di tutti gli strumenti che ho studiato, poichè traduce egregiamente tutti i linguaggi praticati. È decisamente uno strumento che grazie alla sua complessità e completezza, a mio avviso, è in grado di parlare più lingue.

Jazz, latin jazz brasiliano, latin jazz afrocubano, blues e pop sono generi per i quali mostri una naturale inclinazione. C’è uno stilema in particolare, tra questi, che più ti rappresenta?

Non c’è uno stilema in particolare che mi rappresenta di più, piuttosto in tutti questi generi c’è un aspetto comune che mi attrae, ed è quello ritmico. Il ritmo è ordine, movimento, il ritmo è la successione di eventi, è periodicità, è proporzione, relazione, il ritmo è ciclicità, susseguirsi di secondi, minuti, ore, giorni, mesi, anni, il ritmo è la vita che scorre. Di tutti questi generi il ritmo è l’essenza, così come è essenza dell’esistenza stessa. Basti pensare che siamo in vita grazie al ritmo cardiaco, che non può fermarsi né concedersi aritmie. La mia ossessione per il ritmo? Probabilmente perché il tamburo è stato il primo strumento in assoluto che ho suonato e le bacchette per la batteria il primo regalo fortemente desiderato.

Hai collezionato una miriade di collaborazioni al fianco di musicisti blasonati a livello mondiale, ma è doveroso menzionare un artista, su tutti, con il quale hai avuto il privilegio e l’onore di condividere il palco: Richard Galliano. Cosa ha significato per te esibirti con uno tra i più grandi fisarmonicisti jazz degli ultimi 40 anni?

Suonare con Richard Galliano è stato prima di tutto un bellissimo sogno diventato realtà. Questa grande possibilità che mi è stata concessa da tutti coloro che sono stati impegnati nella realizzazione del progetto ha rappresentato una grossa occasione di crescita musicale e umana. Suonare con i grandi è paradossalmente più facile che suonare con tutti gli altri. Il maestro (Richard Galliano), in una serata, è riuscito a trasmettermi tutta la sua esperienza sul palco, come se in realtà mi avesse fatto un’iniezione di autostima così forte da farmi sentire sicuro in tutte le mie esibizioni. Richard Galliano è un grande uomo, prima ancora di essere un eccellente musicista. A lui devo la mia passione per la fisarmonica.

Giacomo DesianteTi sei brillantemente distinto in veste di compositore, arrangiatore e direttore d’orchestra in svariate occasioni. Cosa puoi raccontare al riguardo?

Sono vesti nelle quali mi sento me stesso fino in fondo, ogni volta che un progetto termina restano la speranza e la voglia di continuare a raccontare la mia storia.

Tra le numerose gratificazioni professionali vi è un concerto nel 2007 tenuto al Ministero della Pubblica Istruzione, in rappresentanza di tutti i conservatori di musica. Come si è presentata questa opportunità?

Nulla di trascendentale, sono stato semplicemente invitato da un carissimo collega che aveva già suonato per il Ministero e che mi segnalò per la realizzazione dell’evento. Conservo ancora il piacevole ricordo del grande calore con il quale il pubblico partecipò al concerto.

Sei molto attivo anche come didatta. In che modo vivi la “missione” di insegnante?

Sembrerà strano, ma sebbene abbia sempre insegnato, in realtà mi sono sempre concentrato più sul concertismo che sulla didattica. All’inizio, quando arrivò il mio primo incarico presso il conservatorio, ebbi la sensazione di essere fuori luogo. Successivamente, man mano che tenevo le lezioni e venivo gratificato dai risultati, ho scoperto il lato magico dell’insegnamento e quanto effettivamente insegnare fosse una delicata “missione” per la quale pazienza, tolleranza, comprensione, ma anche serietà, autorevolezza e convinzione non dovrebbero mai mancare. Certamente è sempre molto difficile saper dosare tutte queste componenti nel modo giusto, ma è la grande sfida che l’insegnamento ti lancia: trovare la chiave giusta per aprire il cuore e la mente dei tuoi allievi, per arrivare pian piano a conquistare la loro fiducia.

Hai in cantiere nuovi lavori discografici?

Per adesso sto lavorando ad alcuni progetti che con tutta probabilità diventeranno anche discografici.