Gianluca Verlingieri – Shift (2008) per fisarmonica da concerto

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Chi è Gianluca Verlingieri?

Gianluca VerlingieriLa musica di Gianluca Verlingieri abbraccia i caleidoscopici interessi del suo autore, spaziando tra diversi contesti creativi, spesso volutamente sfumanti l’uno nell’altro: dalle composizioni da concerto per solisti e vari organici strumentali e vocali ai brani acusmatici o per strumenti ed elettronica dal vivo, dalle musiche di scena e dai lavori di teatro musicale alle sonorizzazioni per video e installazioni multimediali. Indicato fin dagli esordi da Radio Classica quale “giovane promessa della sua generazione”, in breve tempo Gianluca ha ricevuto crescente considerazione in ambito sia nazionale che internazionale, con esecuzioni di propri lavori in importanti sedi quali ad esempio l’Italian Academy della Columbia University di New York, la Staatsoper di Berlino, l’INA-GRM di Parigi, il Parco della Musica di Roma o il Lingotto di Torino, e in altri prestigiosi palcoscenici in Italia, Francia, Germania, Spagna, Inghilterra, Danimarca, Belgio, Grecia, Messico, Stati Uniti e Australia. Composizioni di Verlingieri sono state radiodiffuse da network quali, ad esempio, la National Public Radio degli Stati Uniti o Radio France – che ha parlato di “virtuosité” del suo comporre e di “talent exceptionnelle” – e incise dall’italiana Limen Music, la svedese BIS records ed altre case discografiche, nonché premiate, menzionate e selezionate quali finaliste in numerosi concorsi e call for scores in Europa e Nord America, tra cui il Banc d’Essai del Groupe de Recherches Musicales di Parigi, l’IBLA Grand Prix di New York, il Dorfman Memorial (Germania), il Cincinnati Camerata Contest (USA), il Beethoven Club International Competition di Memphis (USA) e, in Italia, più volte il premio Ciani di Siena, il Franco Evangelisti di Roma, l’ICOMS-Settembre Musica di Torino e altri, incluso, quando Gianluca era ancora studente, il Premio Nazionale delle Arti del Ministero dell’Università e ricerca. Assegnatario di un grant pluriennale De Sono dal 2008 al 2011, Verlingieri ha ricevuto riconoscimenti anche da Cambridge University Press, Atlantic Center for the Arts (associate composer in residence), MidAmerican Center for Contemporary Music (guest composer), Washington Composers Forum, Memphis Chamber Music Festival (guest composer), Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dei Beni Culturali, Giovani Artisti Italiani, Accademia Chigiana di Siena (Diploma d’Onore, diversi Diplomi di Merito e due premi Emma Contestabile), Festival internazionale d’Aix en Provence (compositore in residenza all’Atelier Opéra en Création) e altri. Musicisti del calibro di Håkon Austbø, Maurizio Ben Omar, Simone Beneventi, Monica Benvenuti, Mario Caroli, Gianluca Cascioli, Vittorio Ceccanti, Massimiliano Damerini, Rohan De Saram, Donato De Sena, Robert Dick, Nicholas Isherwood, Michele Lomuto, Marco Ortolani, Corrado Rojac, tra gli altri, e registi come Giancarlo Cauteruccio, Claudio Longhi e Rares Zaharia sono tra gli artisti che hanno collaborato con Verlingieri, oltre ad ensemble quali Algoritmo diretto da Marco Angius, L’Arsenale diretto da Filippo Perocco, Bit 20 Bergen diretto da Jonathan Stockhammer, Ciani, ConTempo, FontanaMix diretto da Francesco La Licata, Eutopia Ensemble diretto da Matteo Manzitti, Luna Nova (USA), Ned Ensemble, Novantiqua Vocalensemble, Quartetto di Cremona, Ensemble Les Surprises diretto da Louis-Noël Bestion de Camboulas, Torino Vocalensemble, Talea ensemble (New York) e altri. Gianluca Verlingieri è anche attivo come ricercatore: negli ultimi anni si è occupato dell’identificazione e catalogazione dell’archivio sonoro privato di Luciano Berio presso il Centro Tempo Reale di Firenze, su incarico di Talia Pecker Berio, e ha svolto ricerca, tra l’altro, sul teatro musicale di Mauricio Kagel col suo personale incoraggiamento e su nastri magnetici di John Cage in collaborazione con l’Archivio dell’Ex-Studio di Fonologia Musicale della RAI di Milano e la Edition Peters. (www.gianlucaverlingieri.com)

 

Come descriveresti il panorama della musica contemporanea del momento e il suo sviluppo negli ultimi decenni?

Tenterò una risposta all’insegna della… leggerezza, ad una domanda che – perdonami la sincerità – ha per un compositore densità pari a quella del centro della terra! Perché allora “leggerezza”? Poiché, da un punto di vista creativo, l’aspetto che mi colpisce di più nel panorama della musica contemporanea odierna e del suo recente cammino è, per dirla con l’amatissimo Calvino delle Lezioni americane, proprio una generale e progressiva “sottrazione di peso”.

Mi spiego: oggi è per certi versi più leggero comporre, viene meno il peso di doversi identificare con un senso di appartenenza quasi genetico ad una qualche scuola o tendenza – per tacer di una qualche tessera di partito – e ci si può forse scrollare di dosso pure il fardello di una teleologica ricerca del nuovo a tutti i costi. Oppure, al contrario, si può felicemente evitare di buttare il bambino con l’acqua sporca, negando la ricerca tout court – in qualunque direzione – e arroccandosi in antichi e pesantissimi fortini della tradizione, come se non fosse anch’essa una continua stratificazione del presente, rimodellata ad ogni istante quale eterno organismo vivente.

Inoltre è più leggero il tempo che viviamo, nella misura in cui è meno pesante lo spazio che attraversiamo, sia fisicamente (con la velocità degli odierni mezzi di trasporto) che virtualmente, grazie alle nuove tecnologie. Infatti, dimensione spaziale-geografica e temporale-storica della cultura quasi si annullano a vicenda nella possibilità di viaggiare istantaneamente in entrambe, modellando “liquidamente” (in senso Baumaniano) le nostre idee e conoscenze, e anche i nostri orizzonti estetici.

Pur con i limiti e i problemi di questa “epoca della riproducibilità virtuale” (ancor più che tecnica) dell’opera d’arte, la creatività artistica può raggiungere oggi la leggerezza di un software e la vaporosità di un cloud, una nuvola virtuale dove riporre o prelevare contenuti raggiungibili ovunque, da chiunque e in qualsiasi momento.

Ogni nuvola che si rispetti genera tuttavia la sua ombra, e lo stesso Calvino già negli anni Ottanta scriveva di leggerezza senza trascurarne i possibili effetti collaterali: il software non potrebbe esistere – avvertiva – senza un pesante hardware, e a quei tempi c’era da credergli anche fuor di metafora, pensando alla mole imponente dei primi personal computer.

Quale può essere invece oggi un pesante hardware simbolicamente in agguato dietro ad ogni possibile “leggerezza” creativa? Direi, soprattutto, il rischio di travisare la “sottrazione di peso” che avverto nel panorama contemporaneo, intendendola meramente come vuoto, come privazione di responsabilità, come ricercata banalità, magari a fini commerciali, anche e soprattutto nella composizione musicale.  Questa leggerezza fake, fasulla, può essere pesantissima, come lo è ad esempio una creatività sempre e totalmente priva di impegno sociale, in un’epoca dove la condizione umana è – quella sì – realmente pesante in determinati contesti, cui l’artista è sensibile, interrogandosi sulla funzione della sua arte di fronte a disagi, sofferenze, prevaricazioni umane. Ma è altrettanto pesante, all’estremo opposto, inquadrare obbligatoriamente l’arte tout court in un disegno fortemente politicizzato, dove l’impegno sociale sia l’esclusiva dimensione che legittimi l’atto compositivo, anche a scapito della validità e qualità delle idee strettamente musicali, come talvolta è accaduto nei decenni scorsi. È pesantissima, infine, un’arte compositiva che escluda sempre e totalmente le possibili interazioni con linguaggi musicali diversi, magari considerati “più bassi”, e anche con tutto ciò che sta oltre la musica, ignorando ad esempio la gigantesca lezione di Luciano Berio.

Ciò che ho inteso dire rispondendo alla tua domanda è che questo prezioso senso di maggior libertà che un compositore può avvertire oggi, e che può aiutare a ritrovare una preziosa “biodiversità” della cultura musicale, è certamente una ricchezza, ma come tale va saggiamente conservata attraverso una grande consapevolezza, ripe(n)sandola ogni giorno per non trasformarla paradossalmente nel suo contrario, ovvero una subdola prigionia dove ogni libertà inconsapevole può condurre. Tra questi due opposti vi è pertanto una soglia dinamica, un confine vivo, un vertiginoso precipizio sul cui ciglio il compositore si muove in equilibrio precario, ma con… leggerezza. E infinita curiosità.

Come vedi il tuo operato compositivo all’interno dello scenario contemporaneo?

Una piccola goccia ovviamente, ma m’è dolce il naufragare… inteso come il non volermi (o potermi) collocare in nessun flusso o corrente particolare (ammesso che ne sopravviva qualcuna al risucchio dalla vastità tendente all’infinito del panorama contemporaneo). Da qui la grande eterogeneità a tutt’oggi dei miei lavori, ognuno dei quali è un viaggio a parte, pur con lo stesso bagaglio appresso, incluso Shift per fisarmonica.

Puoi descrivercelo?

Penso possano introdurlo al meglio le parole che usai nel 2008 per la nota di sala della prima esecuzione assoluta, alla Sala Mozart a Bologna, durante la stagione concertistica della Regia Accademia Filarmonica.

«Penso ai modi maggiore e minore, agli affetti a loro antropologicamente connessi, la gioia, il dolore… Penso ai clown, alla loro capacità di alternare o confondere questi stati d’animo fino a ribaltarne il senso, come avviene anche in musica. Penso al Chaplin violinista del finale di Luci della ribalta, terminare in lacrime il suo motivetto in maggiore. Penso alle due principali tipologie di clown, il Bianco, mite e disciplinato, e l’Augusto, ribelle e imprevedibile: opposti apparentemente inconciliabili; facce mutevoli, in realtà, della stessa medaglia, come bene e male, triste e allegro, maggiore e minore. La loro riconciliazione, per dirla con Fellini, incarna un mito che è dentro ciascuno di noi: l’unicità dell’essere. Shift (mutamento, spostamento), scritto per la fisarmonica di Corrado Rojac, nasce come riflessione speculativa sulle strutture armoniche simmetriche generate dalla sovrapposizione di triadi maggiori e minori. Trama e ordito drammaturgici ne sono l’ambiguità armonica e l’illusionismo sonoro derivanti da un sottile gioco di transizioni, filtraggi, risonanze, mascheramenti e spazializzazioni che la presenza dei due manuali rende possibile».

Potresti illustrarci alcuni tratti “corghiani” o “fedeliani” presenti in Shift, se pensi ce ne siano?

Sicuramente ce ne sono, ma non esclusivamente nel senso di riproduzione di procedimenti stilistici o particolari tecniche direttamente ascrivibili all’uno o all’altro Maestro.

Ad esempio, il lungo e metodico – quasi chirurgico – processo di formalizzazione del brano e di tutti i suoi parametri compositivi è un tangibile frutto del sedimentarsi della lezione di Ivan Fedele nel mio modus operandi di quel periodo (Shift risale proprio agli anni del mio perfezionamento all’Accademia di Santa Cecilia di Roma), dunque un apporto complessivo alla mia scrittura dell’epoca, che va ben oltre il brano in questione. Tratto fedeliano specifico, invece, può esser considerato l’utilizzo sistematico di processi di “solve et coagula” variamente applicati al versante più materico del materiale musicale di Shift, in perenne transizione “alchemica” tra il disciogliersi (solve) e l’agglomerarsi (coagula) di figure, strutture e timbri.

Il “MaestrAzio”, come ho l’abitudine di apostrofare affettuosamente Azio Corghi, con cui ho un rapporto, al di là della stima reciproca e del lunghissimo rapporto didattico, quasi filiale (anche per la grandissima vicinanza emotiva che mi ha trasmesso in momenti non punto belli della mia vita, segnati da lutti e problemi di salute), permea Shift in maniera assai determinante. Mi riferisco sia alla “preoccupazione” costante trasmessami dal Maestro per la cura del dettaglio anche microscopico, sia al gusto per la sorpresa beethoveniana, per il coup de théâtre, per l’imprevedibile che sconvolge o capovolge la prospettiva tracciata fino ad un certo punto, sparigliando ad arte i piani prestabiliti.

In Shift questa rottura degli schemi ad ogni livello, sia micro che macrocompositivo, si richiama alla figura dell’Augusto ribelle della tradizione clownesca occidentale, che si contrappone al Bianco (suo alter ego preciso e severo nelle esibizioni circensi). Bianco e Augusto si dividono dialetticamente la scena di Shift, ma è il secondo a prevalere nella squinternata danza finale, del tutto inaspettata, nella quale lo strumento sembra smontarsi, perdere fisicamente i pezzi in un rigurgito in salsa popolaresca delle trame timbriche e armoniche tessute in precedenza, dissolvendosi nel dominio del rumore fino ad esalare gli ultimi sbuffi dalla valvola: un finale scomodo e non necessario, ma proprio per questo affascinante e potente come l’inutile.

Che ne pensi dello strumento fisarmonica?

Al di là del fascino, delle potenzialità tecniche ed espressive, della varietà timbrica, potrei dire che è uno strumento che merita un giusto spazio nella musica contemporanea, che non è ancora stato sufficientemente esplorato, però mi sembra un ritornello – anche se certamente condivisibile e sostenibile – un po’ trito… Intendiamoci, spero anch’io che la fisarmonica sia esplorata, figuriamoci, ma continuamente e progressivamente, e mai “sufficientemente” come se esistesse un limite del quale accontentarsi. Mi auguro anzi che non venga più trattata alla stregua di specie ancora da salvaguardare tramite “ripopolamento”, o magari con l’istituzione di una festa annuale per ricordarne l’esistenza, come si fa con le cose celebrate un giorno e dimenticate il resto dell’anno. Non ce n’è bisogno: la fisarmonica da concerto esiste eccome,  anche nel repertorio contemporaneo, dove vi sono pezzi a dir poco stupendi e interpreti d’eccellenza, così come – ma correggimi se sbaglio – vi è ormai una tradizione didattica consolidata anche nel nostro paese.

Spostandoci sul personale, purtroppo non so dirti bene cosa sia per me la fisarmonica, tante le immagini che evoca ogni volta: forse… “l’intorno timbrico di un respiro”. Ecco, la definirei così, semplicemente.

Ci sono altre tue composizioni legate allo strumento?

Dopo Shift confesso di essermi preso un non breve periodo di “decompressione” dalla fisarmonica, inevitabile dopo i diversi mesi di spasmodica e incessante – non mi vergogno a dire faticosa – ricerca condotta nell’universo tecnico ed espressivo dello strumento. Trovo fisiologico far decantare questo tipo di esperienze, per me assorbenti sotto ogni punto di vista, per il tempo necessario a renderne stimolante una ripetizione sotto nuove prospettive. In caso contrario non avrebbe probabilmente visto la luce Shift II, ambizioso progetto di “aumentazione” della partitura di Shift nel dominio dell’elettronica dal vivo e della spazializzazione multicanale, sviluppato alla Biennale di Venezia del 2011 in seno ad un workshop IRCAM condotto da Yan Maresz. In realtà Shift stesso aveva già, pur rimanendo un brano acustico, uno stretto legame con un pensiero compositivo frutto della mio lato “elettronico”, sia nella gestione di alcuni materiali musicali ad un livello simbolico di altezze e strutture armoniche, avvenuta tramite il software di composizione assistita al computer Open Music© dell’IRCAM, sia nell’applicazione allo strumento acustico di processi mutuati dal trattamento elettroacustico di segnali audio quali panning stereofonico ravvicinato (tra i due manuali della fisarmonica), comb filtering, time-stretching, delay con feedback.

Hai altri progetti legati alla fisarmonica?

Nel reparto “visioni sonore in cerca d’autore”, ovvero tra la tanta musica che mi risuona ciclicamente in testa in attesa di materializzarsi prima o poi su carta, computer e sotto forma di vibrazioni sonore nell’aria, c’è sicuramente un brano per fisarmonica concertante e orchestra d’archi, dove lo strumento solista possa districarsi e/o confondersi ambiguamente tra le pieghe di due storiche concezioni etimologiche della parola concerto: il conserere da un verso e il concertare dall’altro: una convoluzione tra queste situazioni, ecco cosa immagino.

Credo però che la tua domanda fosse rivolta a progetti già in cantiere o in procinto di esserlo a breve, e non a caso: possiamo infatti anticipare ai lettori che nell’estate del 2015 sarai nuovamente tu, Corrado, a battezzare un mio lavoro per fisarmonica sola, in questo caso scritto per  armonica a mantice, uno strumento storico che hai fatto ricostruire recentemente (e sul quale invito i lettori a riflettere visitando il tuo sito www.corradorojac.com).

Mi rende particolarmente felice, oltre al ritrovarti come interprete ideale, il fatto che la première di questo mio nuovo lavoro avverrà in Finlandia, una terra particolarmente legata alla fisarmonica sia da un punto di vista della tradizione popolare che degli esiti compositivi contemporanei. Tra questi ultimi cito gli interessanti lavori di Jukka Tiensuu, ma penso soprattutto al magnifico Jeux d’anches di Magnus Lindberg, che non smette ancora di sorprendermi dopo anni di riascolti. Chapeau!