I due volti del musicista/imprenditore Mirco Patarini – 1° parte

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Mirco Patarini in concerto al Teatro del Cremlino

Virtuoso fisarmonicista e imprenditore allo stesso tempo. Mirco Patarini ci racconta la sua carriera di musicista sin dai primi passi nell’infanzia, quando la fisarmonica non era ancora uno strumento diffuso nella musica classica. E poi, in età adulta, la scelta di acquistare uno dei marchi più prestigiosi di fisarmoniche…

Inizi a studiare giovanissimo presso una scuola privata, per poi partecipare e vincere numerosissimi concorsi nazionali e internazionali. Uno di questi, forse, segnerà indelebilmente il tuo destino, ma ne parleremo dopo… Tanto per iniziare, perché proprio la fisarmonica?

“Ho uno zio, Franco, che suonava da sempre la fisarmonica, da autodidatta. I miei genitori sarebbero stati contenti che io e mio fratello Moreno avessimo studiato musica, parallelamente alla scuola normale, e fu questo zio che ci presentò un giovane insegnante di fisarmonica di Spoleto, Renzo Tomassetti. Una persona piena di entusiasmo e un grande motivatore, ed i progressi furono molto veloci per entrambi, come anche per qualche altro allievo. Ci appassionammo da subito, anche per la partecipazione a tanti concorsi che ci portavano in giro per l’Italia e ci permettevano di conoscere tanti nuovi amici e musicisti.”

Trovi delle analogie tra le metodologie e i repertori che hai sperimentato nel tuo processo formativo e i programmi attuali adottati dai vari docenti di conservatorio?

“Senza dubbio molto è cambiato; alla fine degli anni ‘70 la fisarmonica in Italia seguiva programmi didattici che si basavano soprattutto sulla tecnica pianistica, e infatti la fisarmonica a pianoforte era molto più diffusa di quella a bottoni. Si sperimentava molto, l’uso del mantice era ancora per certi versi approssimativo, i bassi sciolti, o manuali a note singole che dir si voglia, erano già esistenti ma agli albori a livello didattico. Si sentiva parlare di altre scuole, nel nord dell’Europa e nell’URSS, ma stiamo parlando di un tempo senza internet, senza fax, quando non si viaggiava con facilità, quando i ragazzi studiavano inglese molto superficialmente, e queste realtà sembravano lontane, quasi fiabesche… Gli insegnanti sperimentavano, parlavano tra loro, registravano i concerti e si passavano le audio-cassette. C’erano (pochi) insegnanti che avevano una buona educazione musicale, ma non c’era quasi nessun insegnante che era in grado di suonare al livello che gli allievi raggiungevano ben presto. Sono passati tre decenni, ma sembra un’eternità.”

In passato, e mi riferisco a cavallo degli anni ’80-90, sei stato anche il leader di una fisorchestra… Che ricordi conservi di quell’esperienza?

“Come tantissimi insegnanti privati in Italia, e anche all’estero, Renzo Tomassetti cercava di coinvolgere più allievi possibile in esperienze di musica d’insieme. Non era per niente facile a quel tempo collaborare con scuole di altri strumenti, e neppure era facile procurarsi spartiti, o addirittura preparare trascrizioni o arrangiamenti, per creare gruppi di musica da camera misti. Non dimentichiamo anche che la fisarmonica, un po’ per pregiudizio e un po’ a ragione, non godeva di grande immagine presso la comunità musicale, e allora la risposta più logica era creare una fisorchestra. Da un punto di vista musicale era abbastanza chiaro anche a noi giovanissimi che il risultato era mediocre o qualche volta appena decente, i problemi dovuti all’eterogeneità degli allievi e, soprattutto, degli strumenti, portavano a suonare in qualche modo brani orchestrali o operistici famosi, comunque per la gioia delle nostre famiglie e la diffusione dello strumento nei dintorni della città. Ci sono stati, tuttavia, casi di fisorchestre di livello molto alto, soprattutto quelle con un numero di elementi limitato. In ogni caso, la nostra ‘Fisorchestra Santa Cecilia’ contribuì molto a cementare i rapporti all’interno del gruppo di allievi che la costituivano, e in alcuni casi ricordo gruppi misti di diverse scuole tra Spoleto, Foligno e Terni.”Mirco Patarini

C’è un fisarmonicista che ha influenzato il “tuo modo di suonare”?

“Come dicevo prima, ai tempi dei primi anni di studio la fisarmonica era in evoluzione, soprattutto, in quegli anni, a livello di tecnica strumentale. Io ricordo con grande piacere Gervasio Marcosignori e Wolmer Beltrami, che ebbi occasione di ascoltare dal vivo tantissime volte. Se devo essere sincero, l’impressione più forte mi fu provocata da un concerto del ‘Quintetto di Varsavia’ a Castelfidardo. Un gruppo straordinario, non ho mai sentito più nessun gruppo di fisarmoniche suonare a quel livello. Come dicevo, però, a quei tempi si ascoltavano dischi, registrazioni, che non erano nemmeno facili da trovare. Renzo Tomassetti, nella ricerca di registrazioni e spartiti, aveva una tenacia e un talento tuttora ineguagliato. Mi impressionavano gli LP di Lips e Semionov, anche perché non avevo idea di come fossero fatti gli strumenti che suonavano… E adoravo un LP americano con incise le composizioni di Tito Guidotti, un musicista e compositore straordinario che oggi non suona quasi nessuno, purtroppo.”

Allo stato attuale, trovi ancora delle grandi divergenze con la scuola dell’est che ha inconfutabilmente dominato la scena del recente passato? Come giudichi le nuove leve di fisarmonicisti? E cosa pensi del livello nei nostri conservatori, esiste, a tuo parere, un elemento di spicco tra i tanti?

“La scuola dell’Est? Possiamo dire tranquillamente scuola della (ex) URSS. Dire che ha dominato la scena non è proprio esatto, ci sono tanti ambienti che non sono stati molto contaminati dalla scuola russa e che hanno avuto evoluzioni ben differenti, come per esempio il nord Europa: Mogens Ellegaard in Danimarca, uno dei padri della fisarmonica “classica”, ebbe sempre molti contatti e collaborazioni, tra gli altri, con Lech Pucnowski in Polonia e anche con i concertisti russi, ma il suo percorso e la sua evoluzione fu molto diversa. In Italia tutti conosciamo il grande sforzo della Farfisa (da cui nacque poi la Berben) di creare un repertorio e dei metodi di studio, cosicché nomi come Gervasio Marcosignori, Luciano Fancelli, Felice Fugazza, diventarono molto conosciuti. Ma non possiamo dimenticare che Salvatore Di Gesualdo ebbe un percorso diverso per suo conto. Ci vorrebbe un trattato per approfondire questa tematica. Oggi io credo che, a parte le diatribe sugli strumenti, ci siano differenze anche abbastanza marcate su questioni musicali fondamentali, soprattutto sull’esecuzione della musica pre-fisarmonica, ovvero dei periodi Barocco, Classico e Romantico. Io, comunque, credo che i conservatori italiani non abbiano, in genere, niente da invidiare a quelli di altri paesi. Ovviamente, la qualità di ogni cattedra di fisarmonica dipende dal docente… ne abbiamo, come per tutti gli strumenti, di ottimi, buoni e così così. Io ho una particolare predilezione per Corrado Rojac, un vero studioso di musica a 360 gradi che però è anche un grande concertista. È anche vero, d’altra parte, che ci siano insegnanti magari meno votati alla cultura in sé ma che riescono a motivare gli allievi in modo magnifico, e a creare dei buoni musicisti anche da talenti normali.”

Patarini e Selivanov in CinaSei più “contemporaneo” o “conservatore”? Mi spiego meglio… Cosa ne pensi dei moderni linguaggi musicali?

“Anche questo è un discorso complesso. Io ritengo che, come tutta la cultura, anche la musica sia in evoluzione continua ed il linguaggio musicale cerca continuamente nuove possibilità. L’esplorazione delle possibilità foniche ed espressive della fisarmonica solleticano e colpiscono molti compositori, specialmente oggi quando molti studenti sono in grado di padroneggiarne la tecnica piuttosto bene. Seguo con grande piacere le iniziative che uniscono in progetti comuni allievi di conservatorio di fisarmonica, composizione e vari altri strumenti. Il problema è, secondo me, che in molti casi, compositori intelligenti, preparati e colti, manchino di quel magico dono che li elevi al rango di artisti, né più e né meno come succede per pittori, scultori e artisti in genere. Questi tentativi, comunque, sono sempre da apprezzare, sono a volte la gavetta di compositori che poi cresceranno a grandi livelli, oppure resteranno esperimenti e comunque contributi importanti al repertorio o alla didattica, sia dei fisarmonicisti che dei compositori.”

Che sistema adotti nei bassi sciolti e perché?

“Ho suonato per diversi anni il manuale a note singole per quinte, prima a sei file e poi a otto. Poi ho suonato per circa un anno uno strumento a bottoni c-griff e note singole per terze minori c-griff. Alla fine, ho scelto di mantenere la tastiera a piano e le note singole c-griff. In ogni caso credo che il problema del sistema sia secondario rispetto a quello musicale, si può benissimo suonare ad alto livello qualunque sistema… Corrado Rojac, che ho citato prima, ha suonato per anni la fisarmonica a pianoforte con note singole per quinte, e poi ha “traslocato” completamente a quella a bottoni sistema “russo”, sia a destra che a sinistra. E non dimentichiamo, per esempio, Fabio Rossato, strumentista fantastico, che suona addirittura una fisarmonica a destra a bottoni e a sinistra a note singole per quinte.

In ogni caso, però, non sarei sincero se dicessi che questo dei vari sistemi non sia un problema. Oggi esistono questi sistemi, grosso modo:

TASTIERA DESTRA

–       a pianoforte

–       a bottoni c-griff

–       b-griff

–       modello finlandese

 

BOTTONIERA SINISTRA

 

–       bassi standard a due file di bassi e quattro di accordi (Stradella)

–       tre file di bassi e tre di accordi (in due versioni differenti)

–       sistema ‘belga’ (uguale a quello ‘modenese’, si tratta di un sistema quasi scomparso)

 

BOTTONIERA SINISTRA A BASSI SCIOLTI

–       manuale a bassi sciolti: terze minori con file supplementari (vicino al mantice), con tre o quattro file, sempre c-griff;

–       convertitore, c-griff

–       convertitore  b-griff

–       sistema  finlandese

–       convertitore b-griff rovesciato (detto tradizionalmente “russo”)

–       sistema per quinte

Mirco Patarini - concerti in India - Settembre 2015Oltre a questo ‘ginepraio’ ci sono anche abbinamenti disomogenei, più spesso di quanto si creda. È chiaro che, anche se da un punto di vista musicale si può arrivare a suonare ottimamente qualunque sistema, tale varietà di configurazioni crea molti problemi didattici, per non parlare dei tempi di produzione e dei prezzi degli strumenti. La mia sensazione è che ci si stia spostando verso il sistema b-griff a destra e il sistema “russo” a sinistra. Non sono d’accordo con chi ne fa una questione di “logicità” o di ergonomia, ogni sistema presenta condizioni favorevoli o sfavorevoli a seconda di cosa si suona. Mi limito a dire che, anche conoscendo le dinamiche del mercato, vedo una direzione sempre più marcata. Non vuol dire certo che gli altri sistemi scompariranno… provate, per esempio, ad andare in Sud America SENZA la fisarmonica a Piano…”

Che cosa succede nel 1984 in Svizzera? Possiamo affermare che da lì in poi è veramente cambiata la tua vita?

“Questo discorso sui concorsi, specie internazionali, è lungo e sfaccettato. Mi riprometto da molto tempo di dedicare un lungo articolo per dire la mia; ma posso dire questo: in verità la mia vita è cambiata nel 1981, quando a Castelfidardo, a 15 anni, ho partecipato al Trofeo Mondiale CMA. Immagina un ragazzino di 15 anni mai uscito da Spoleto, che improvvisamente scopre che esistono veramente esseri viventi americani che parlano inglese, russi che parlano incomprensibile, e “cecoslovacchi”, ungheresi, polacchi, spagnoli… e che tutti sono ragazzi e ragazze, che hanno anche loro degli insegnanti, e che tutti fanno musica, sorridono, mangiano e passeggiano insieme a me, con dentro la mia stessa curiosità e sorpresa. Io mi ricordo una settimana in cui trovai una identità, un gruppo di nuovi amici con cui comunicavo a stento, ma a cui mi sentivo molto più vicino che ai miei compagni di scuola. Quando tornai a Spoleto ero diverso, avevo scoperto che il mondo era grande, e che c’era tanta gente da conoscere. Senza quell’esperienza, probabilmente, non avrei avuto la forza di superare scogli molto alti. E nel 1983, sempre per il Trofeo Mondiale CMA, mi ritrovai a 17 anni a viaggiare per il Venezuela, come anche l’anno successivo in Svizzera, dove per inciso, finalmente, tornai con il primo premio. Il concorso in sé lo ricordo vagamente, anche se ricordo perfettamente le mie “performances” (pure gli errori…), quello che mi è rimasto nella mente e nel cuore sono le persone, i musicisti, i brani nuovi, le tecniche mai viste, le facce di concertisti o compositori leggendari.”

(continua)