Il folk della Sardegna: intervista a Inoria Bande – di Enrico Porqueddu

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Inoria Bande - Chianciano Terme 2013L’incontro avviene al centro città, in Via Roma. Quella parte di Sassari forse più chic, quella meglio frequentata dalla media borghesia, dove ha sede il Palazzo di Giustizia, “appoggiato” a quelle mura storiche dell’ex Carcere di San Sebastiano, oggi del tutto vuoto. Da oltre un anno, infatti, i detenuti sono “alloggiati” nel nuovo penitenziario di Bancali, frazione periferica. Lei è leggermente in ritardo. La sollecito al telefonino ma mi “appare” come d’incanto. Sorridente. Un incarnato algido, trucco assente. Visetto da ragazzina. Stretta di mano e ci sediamo su una panchina quasi di fronte allo storico Palazzo “Cugurra”, dove un tempo c’era la redazione del periodico “Il Sassarese” che ho diretto fino al 2012. Una intervista “fuori le mura”. Potrebbe dirsi. Siamo quasi a fine luglio, è il giorno 24, ma oggi c’è un po’ di sole dopo tanti giorni disastrati che hanno rubato una buona porzione d’estate e deluso tanti e quanti operano nel comparto turistico. Non parliamo di questioni meteorologiche, che con Inoria Bande non c’entrano niente. Parliamo di Lei, dei fatti folkloristici della nostra Isola, dei suoi organetti, della sua musica. Lei che anima la “Cavalcata Sarda” grande kermesse folkloristica del maggio sassarese, sfilando in costume etnico mentre abbraccia il suo organetto diatonico della ditta Giustozzi (azienda fondata nel 1946) di Castelfidardo, città che ha dato luce a questi simpatici strumenti. Via alla chiacchierata!

Inoria, da quanti anni usi gli strumenti musicali della Ditta Giustozzi?

Da almeno quindici anni. Me ne sono innamorata a prima vista al primo suono. Sono belli esteticamente e molto affidabili. Hanno un suono brillante che bene si associa alle musiche che eseguo e sono molto vicini alle sonorità degli strumenti che utilizzava Francesco Bande, mio padre.

Che cosa provi quando esegui un brano?

Gioia, felicità, una grande emozione, e amo molto vedere la gente che condivide questi miei sentimenti. La musica mi fa sentire viva e a volte unica. Sembra di essere proiettata in un universo fantastico dove tutto è amore e serenità.

Tu sei insegnante di ballo tradizionale sardo ed organetto. Che cosa pensi di dare ai tuoi allievi, insomma che cosa suggerisci loro?

Innanzi tutto devono essere convinti e motivati, sulla strada che stanno iniziando a percorrere. La musica deve essere un’inclinazione naturale e non una “forzatura. Un elemento che manca a molti esecutori è il sorriso. Dico ai miei allievi di sorridere, sempre. Questo è molto amato dalla gente, dagli spettatori. In più suggerisco di non fare esecuzioni molto lunghe per non stancare il pubblico.

Ti sei mai pentita di avere scelto gli strumenti della Ditta Giustozzi?

Mai! Perché sono gli strumenti che non mi hanno mai … lasciata a piedi! Scherzi a parte, premesso che ho un’ottima considerazione di tutte le aziende castelfidardensi, però ritengo che gli organetti della Giustozzi siano veramente tra i migliori sul mercato.

Grazie a questi strumenti ed al loro costruttore Giampiero Giustozzi, che conosco da tempo, ho avuto la possibilità di vincere al Primo Concorso Internazionale realizzato a Castelfidardo in occasione dei festeggiamenti dei 150 anni della Fondazione della Industria delle Fisarmoniche della ditta Soprani (primi costruttori in Italia). In quest’occasione Giampiero è riuscito a realizzare in pochi giorni uno strumento con il quale mi sono guadagnata un importante riconoscimento dalla Regione Marche ed A.M.I.S.A.D. (attestato per insegnare sia l’organetto sia le musiche popolari).

Godi di molta popolarità. Dipende dall’essere figlia di quel genio della fisarmonica che era tuo padre Francesco che animava “La Cavalcata Sarda” di decenni fa?

Di sicuro ho ereditato da mio padre il gusto, la passione, l’inclinazione alle sette note, mentre non è un mistero la scelta dell’organetto diatonico. Se non ci fosse stato tutto questo forse avrei fatto due o tre serate poi mi sarei messa a…riposo. Quando la gente mi ascolta valuta il mio valore. Il cognome può contare forse “poco”.

Ti è mai capitato di andare a Castelfidardo?

Si, molte volte. È stato molto emozionante anche perché ho rivissuto le sensazioni e le emozioni che avevo sentito dai racconti di mio padre che si era recato in quei luoghi dove aveva acquistato gli strumenti che l’hanno accompagnato nel corso della sua attività artistica.

L’anno scorso, ho visitato il Museo Internazionale della Fisarmonica e mi sono molto commossa. Gli strumenti in esposizione sembra quasi ti parlino. Non so se è una mia sensazione o la mia particolare sensibilità, ma quegli strumenti li sento dentro di me.

Quali programmi hai per il futuro?

Ampliare il progetto di far conoscere ulteriormente ai sardi, e non solo, il Museo dedicato a mio padre che avrebbe bisogno di essere valorizzato maggiormente dalle istituzioni preposte, poiché è l’unico nel suo genere.

 

di Enrico Porqueddu