Isang Yun: musica da camera con fisarmonica

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Isang YunSTRUMENTI&MUSICA n. 12 / Settembre 2010

Il repertorio contemporaneo della fisarmonica da concerto si arricchisce di un nuovo, prezioso, documento: WERGO ha, infatti, appena pubblicato un CD dedicato alla musica da camera con fisarmonica del compositore coreano Isang Yun, eseguita da Stefan Hussong con il Minguet Quartet e con Julius Berger al violoncello.

Divenuto famoso principalmente come compositore di sinfonie, numerosi lavori orchestrali e cinque opere, Isang Yun ha comunque composto musica da camera per tutta la vita, tanto che almeno cinquanta lavori cameristici occupano una posizione centrale nella sua produzione. In aggiunta ai tradizionali generi come il quartetto d’archi, Yun ha spesso sperimentato combinazioni inusuali, attratto dalle diverse possibilità di modulazione del suono. Ed è qui che incontriamo la particolare affinità che Yun sente con la fisarmonica, proprio per l’originalità delle sue potenzialità sonore; la selezione dei lavori di questo CD vede la fisarmonica presente in tutti i pezzi come un filo conduttore e testimonia uno di quegli importanti percorsi in cui la ricerca di un linguaggio musicale e l’evoluzione di uno strumento – qui la fisarmonica – sono tutt’uno nell’aggiungere un prezioso tassello alla Storia della Musica.

Composto nel 1976, il DUO per viola e fisarmonica (trascritto dall’originale per viola e pianoforte ad opera di Stefan Hussong) è un esempio di quella “fase concertante” di Yun che produsse una ricca e quanto mai varia serie di lavori. Vi si ritrova quello che il compositore chiamava il “suono principale”, ossia l’impiego di un unico elemento costruttivo sottoposto a un’elaborazione assai sofisticata, una trasformazione dall’inizio alla fine, di matrice orientale; il senso di movimento dal grave all’acuto pervade tutto il pezzo e sta a simboleggiare la via del Tao dal buio alla luce. Da rilevare la particolare interazione tra i due strumenti e l’impiego della loro intera estensione.

Il CONCERTINO per fisarmonica e quartetto d’archi del 1983, è strutturato in realtà come un concerto per cinque strumenti solisti usati in modo complementare e virtuosistico; la fisarmonica non è lo strumento dominante ma le sue caratteristiche sonore assumono sempre un ruolo centrale. Il fluire della progressione ritmica chiede un’interazione fatta di grande ascolto ed estrema precisione; un “fiume” di grande, vibrante intensità, in cui si ritrovano i simboli dell’alternanza tra Yin e Yan che chiede grande concentrazione tanto all’esecutore quanto all’ascoltatore.

L’INTERMEZZO per violoncello e fisarmonica e il PEZZO FANTASIOSO per due strumenti e basso ad libitum, qui per violino, fisarmonica e violoncello, entrambi scritti nel 1988, sono caratterizzati, oltre che dalla ricerca timbrica, dal lirico e cantabile, carattere che corre attraverso tutta la musica da camera di Yun sin dal 1984.

Quando Isang Yun morì a Berlino nel 1995 all’età di 78 anni c’era ancora un tocco di esotico nella sua opera che si distingueva come una sorta di fusione tra Asia ed Europa, una preziosa anticipazione di quello sviluppo che avrebbe portato i due continenti ad essere culturalmente vicini in una dimensione tale che pochi avrebbero pensato possibile a quel tempo e che oggi è divenuta parte integrante del nostro vivere e pensare.

Isang Yun nasce nel 1917 a San Chung Gun, nella Corea del Sud; consegue una laurea universitaria in Giappone e qui viene introdotto per la prima volta alla musica dell’Europa occidentale che, per sua ammissione “non era bella come la musica asiatica, ma appariva sorprendente ed eccitante”. Attivo nella resistenza contro l’occupazione giapponese e prigioniero politico nel 1943, dopo la guerra lavora come docente presso l’Università di Seoul. Un premio del concorso di composizione della città nel 1956 permette a Yun di studiare la composizione occidentale moderna in Europa, prima a Parigi poi a Berlino, dove nel 1964 si trasferisce e comincia a cercare un personale sistema compositivo, senza mai dimenticare il radicamento nella cultura asiatica. Per un musicista asiatico il suono è un elemento cosmico che nasce, si sviluppa e muore vivendo di quella complementarietà degli opposti (yin e yang) a cui sono soggetti tutti gli esseri. “[…]      Il suono dell’Occidente è come una matita da disegno che traccia delle linee, mentre i suoni asiatici sono come pennellate, spesse, sottili e anche non diritte, che portano in sé la possibilità di una creazione flessibile” – afferma Yun nel corso di una conferenza tenuta nel 1993 alla Hochschule für Musik di Salisburgo. ”[…] Bisogna capirlo dal punto di vista del Taoismo: il suono è sempre presente, fluido, nel cosmo, tutto lo spazio è pieno di suono, mentre la teoria e la filosofia europee dicono che il suono è creato dall’uomo”. Per la cultura asiatica il cosmico non esclude l’umano: l’uomo fa parte del cosmo e lo rispecchia nella sua struttura. “La mia musica non ha un inizio o una fine” afferma ancora Yun in una intervista del 1987, “potresti combinare gli elementi di un pezzo con quelli di un altro pezzo. Questa è filosofia taosita. La musica fluisce nel cosmo e io ho una sorta di antenna capace di ritagliare una parte del suo fluire. La parte che ritaglio viene organizzata e prende forma attraverso i processi del mio corpo e del mio pensiero e fermata poi sulla carta; ecco perché la mia musica è sempre continua, come le nuvole che sono sempre le stesse, ma non sono mai uguali le une alle altre. […] So sempre esattamente cosa sto scrivendo. Non ho mai provato idee con uno strumento, ma sempre con la mia immaginazione. Non ho mai fatto schizzi, ma sempre composto dall’inizio alla fine. Non ho mai cambiato o corretto. Sono sempre stato in grado di udire nel mio orecchio quello che stavo scrivendo. […] È una “verità” innata e profonda quella che mi detta. Non sono sicuro di essere “io” a comporre, ma sono fortunato ad avere un dono divino che parla dentro di me. Mi rendo conto che parlando così posso suonare molto asiatico o molto buddista o molto religioso o molto filosofico. Ma questo è ciò che penso. Per questo non considero cosa sto facendo come “composizione” e ancora oggi mi chiedo se veramente io sia un compositore: sto invece scrivendo ciò che il mio istinto e il mio più profondo sentire mi chiedono di scrivere.”

Lo sfondo filosofico taoista è sempre presente nel pensiero e nelle opere di Yun; non rimane mai concezione astratta e penetra nella sua musica a più livelli, sempre concretamente nella scrittura accanto a quella eredità culturale che vive in lui come memoria musicale della terra natia (ad esempio la musica di corte, le sonorità strumentali e il loro impiego). Osservando l’opera di Yun, gli studiosi parlano di «fusione della modernità internazionale con la tradizione coreana». Yun utilizza strumenti e organici occidentali, mutuando spesso stili, tecniche e forme dalla nostra grande tradizione, in una lunga evoluzione nel tempo che lo ha condotto lungo un percorso di artistica trasfigurazione dei due mondi in un personalissimo mondo musicale.

Questa sorta di sintesi tra le due culture che si riconosce già nelle prime composizioni e che sarebbe diventato poi il suo segno distintivo nella musica contemporanea, non è frutto di una combinazione calcolata. “Nel cosmo non c’è né est né ovest” spiega Yun, “e nessuna operazione artificiale viene messa in atto. La verità innata è in realtà musica del cosmo. Sono un uomo che vive nell’Europa di oggi e porto in me l’Asia del passato. Sono egualmente a casa in entrambe. Il mio intento non è quello di creare una connessione artificiale: sono naturalmente convinto dell’unità di questi due elementi. Per questa ragione è impossibile etichettare la mia musica come europea o asiatica. Sono esattamente nel mezzo. Questo è il mio mondo e la mia indipendente entità”.

Yun conquista la fama internazionale nell’ottobre 1964 a Donaueschingen con la prima del pezzo orchestrale Reak. La sua carriera viene drammaticamente interrotta quando, nel 1967, viene coinvolto, insieme a sua moglie e a diversi studenti coreani, in un caso di spionaggio internazionale. Rapito brutalmente a Berlino ovest dai servizi segreti della Corea del Sud, Yun è costretto ad imbarcarsi su un aereo per Seoul, dove verrà torturato, processato per sedizione e condannato al carcere a vita. Questo atto di illegalità perpetrato sul proprio territorio provoca una protesta indignata da parte del governo della Germania Ovest che minaccia di tagliare i consistenti aiuti economici alla Corea del Sud. Per iniziativa di Igor Stravinsky and Herbert von Karajan viene inviata al governo della Corea del Sud una lettera di vigorosa protesta internazionale, firmata da circa duecento artisti, tra cui Luigi Dallapiccola, Hans Werner Henze, Heinz Holliger, Mauricio Kagel, Joseph Keilberth, Otto Klemperer, György Ligeti, Arne Mellnas, Per Nørgård e Karlheinz Stockhausen. Come risultato di questa pressione morale e materiale, dopo due anni di detenzione (durante i quali Yun compone sul pavimento della cella l’opera Butterfly Widow) la Corea del Sud libera, esiliandoli, Yun e sua moglie, che torneranno a stabilirsi definitivamente in Germania.

Nel 1970 Yun viene nominato professore presso l’Hochschule für Musik di Berlino. La sua preziosa opera di didatta ha fatto di lui uno di coloro che molti definiscono “i Maestri dei Maestri”, formando autori di notevole qualità tra i quali ricordiamo, ad esempio, Toshio Hosokawa. A chi gli chiede se c’è qualcosa, nella composizione, che può essere insegnata, Yun risponde: “L’idea di ricevere i pensieri attraverso “l’antenna” non è cosa molto facile da insegnare. Lo studente deve essere molto sviluppato in anima e spirito. In Europa o in America si dice essere ispirati. La seconda cosa, anche difficile, è quella di organizzare e scrivere le idee ricevuto attraverso l’antenna. Questo è ciò che noi chiamiamo tecnica compositiva e certamente richiede un grande lavoro e un insegnante molto esperto. Moltissimi sono i giovani compositori di grande capacità, ma purtroppo vivono un tempo molto difficile. Le possibilità umane nel divertirsi ascoltando musica sono diventate così poliedriche e variabili da escludere spesso un ascolto profondo, e il giovane compositore di oggi deve trovare un modo per spostare il cuore umano verso quell’ascolto profondo”.

Isang Yun vive a Berlino fino al 3 novembre 1995. Viene sepolto in una tomba d’onore voluta dal Senato della città. È stato membro della Accademia delle Arti di Berlino e dell’Accademia Europea delle Arti e delle Scienze a Salisburgo, membro onorario della Società Internazionale di Musica Contemporanea. Gli è stata conferita la Medaglia del Goethe-Institut di Monaco e la Distinguished Service Cross dell’Ordine al Merito della Repubblica Federale Tedesca. Nel 1996 viene istituita a Berlino la International Isang Yun Society.

La creazione musicale è stata costantemente parte integrante e “traduzione” dell’esperienza esistenziale, personale e politica di Yun, sempre riconosciuta da egli stesso come un processo naturale. Spesso la sua rappresentazione musicale contiene un messaggio etico (ad esempio, di riduzione dell’orgoglio umano di fronte all’ordine cosmico) o una denuncia politica (come nel drammatico Exemplum in memoriam Kwangju, un documentario musicale del massacro di civili compiuto nel 1980 dall’esercito coreano). La musica non può comunque essere “politica” in sé stessa ma, spiega direttamente il compositore: “La musica è l’espressione di una verità interiore, e questa verità interiore è naturalmente uno specchio degli eventi di oggi. È sempre stato così. In passato, i paesaggi o l’amore sono stati il tema delle opere d’arte. Oggi i problemi sono diventati molto diversi e molto più gravi. Un esempio è l’incertezza del futuro dell’umanità, le ansie sulla condizione umana, sulla distruzione della pace e i pericoli della guerra. Tutto ciò non è certo il tema della musica, ma le espressioni musicali che uso naturalmente ne rispecchiano automaticamente le influenze. […] Penso che oggi il nostro mondo abbia bisogno di musica che ci porti più vicini. Per essere in grado di articolare questi problemi in arte, abbiamo bisogno di una grande comprensione musicale. […] Non importa che il pubblico sia consapevole del processo compositivo. Qualunque sia il soggetto scelto dal compositore, questo è prevalentemente suo e gli ascoltatori non devono necessariamente conoscerlo. Ma nella musica le circostanze della creazione sono profondamente legate alla verità interiore che detta ogni elemento della scrittura e quindi parte del processo di composizione arriverà direttamente all’ascoltatore. […] Un compositore non è nella posizione di dettare come una persona debba ascoltare e comprendere la musica. Il pubblico ha libertà totale e l’ascoltatore è interamente libero di avvicinarsi. Ogni gruppo di ascoltatori è differente dall’altro e ogni singolo si trova in una situazione di ascolto diversa da ogni altro. L’importante è che la musica muova, in un modo o nell’altro, il sentire profondo di chi ascolta. […] Per quanto riguarda le funzionalità e le capacità di ascoltare, tutti sono uguali. Le differenze si trovano nelle aree di esperienza. Fondamentalmente si potrebbe descrivere molto chiaramente le differenze tra ascoltatori asiatici ed europei, per esempio, ma questo è il risultato delle diverse esperienze che le persone hanno vissuto nella loro storia. Ma la capacità del pubblico di ascoltare è la stessa. […] Sento che se la musica possiede realmente gli elementi che compongono una verità come la vedo io, l’attenzione del pubblico non potrà essere spostata da essa. Spero ci sia un contatto, una connessione e, attraverso questo contatto, la mia musica significherà qualcosa per l’ascoltatore”.

Così il pensiero di Yun testimonia un’esigenza artistica poliedrica e irrinunciabile, accanto ad una fiducia incrollabile. A chi gli chiede: “Sei ottimista riguardo il futuro della musica?” Risponde: “Sì, sono molto ottimista. È per questo che scrivo. Io non ho mai rinunciato alla speranza, con qualsiasi mezzo. Nonostante il fatto che molto spesso io mi occupi di temi molto tragici, non mi sono mai personalmente trovato in una situazione di depressione o di incertezza. Alla fine di ogni pezzo, non importa quanto tragici o negativi possano essere il tema o gli eventi circostanti, avverto sempre la possibilità di sperare in quel pezzo”.

E qui giunti, ci piace ringraziare virtualmente Isang Yun, facendo nostre le semplici parole di Bruce Duffie, in un’intervista telefonica del 1987: “Grazie per essere stato un compositore.” E accogliamo con un sorriso la risposta di Yun: “ Grazie. Questo mi rende molto felice. Mi chiedo ancora oggi se sono veramente un compositore.”