Nasce in America negli anni ’30 un nuovo genere da ballo: il jazz

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“Il jazz è l’unica musica in cui la stessa nota può essere suonata notte dopo notte, ma in modo sempre diverso”.
Ornette Coleman (sassofonista-compositore statunitense)
 

Louis AmstrongTutte le forme musicali popolari esistenti, a partire dal 1700, traggono origine dai canti dalle genti nere d’Africa, catturate dagli americani e rese schiave, rendendole merce di scambio e di fiorente commercio. I canti erano accompagnati da suoni provenienti da strumenti rudimentali o raccattati casualmente in strada, spesso modificati o ricostruiti, molto efficaci. Considerata l’enorme importanza della musica in generale e, questa in particolare, come fenomeno sociale che ha unito i popoli più di ogni altro intervento politico e sociale, veicolo d’informazione globale e condivisione, soprattutto fra i giovani, non riesco a spiegare come tale merito fortemente conclamato, non abbia prodotto il legittimo rispetto nella popolazione nera, da sempre perseguitata, sfruttata, denigrata, mai apprezzata e scarsamente considerata, che li annovera, con l’omofobia, fra la più perseguitata al mondo.

Il Jazz, oggi connotato come musica d’ascolto, ebbe davvero il suo sviluppo, generando interesse fra il popolo americano come musica da ballo. Gli anni erano successivi al 1930 e questi ritmi così nuovi, stimolarono fra gli americani una vera e propria frenesia del ballo seguendo le note molto ritmate del Jazz. Le band, in quel periodo, raggiungevano grande successo. Ne sorsero tantissime e tutte raggiunsero in breve grande notorietà. I dischi di musica jazz eseguita dalle band, proliferavano e le sale da ballo erano sempre gremite, grazie al senso del ritmo degli americani che da sempre hanno sempre apprezzato la musica popolare da ballo. Infatti, negli anni successivi, quando il fenomeno jazz ballato si affievolì, i musicisti dell’epoca hanno sempre tenuto in grande considerazione il tipo di musica ritmata vocata maggiormente al ballo. Questo tipo di musica, conservando esponenzialmente elevata posizione nella considerazione dei generi musicali, rimase destinata a rappresentare musica eseguita e composta da neri. Chi non ricorda Louis Armstrong, Sidney Bechet, Duke Ellington, annoverati fra i grandi del jazz. Anche donne come Ella Fitzgerald e Sarah Vaughan ebbero grande spazio nel jazz dei primi anni, grandi talenti al limite della genialità. Questo fenomeno, se assottigliò l’interesse dei musicisti bianchi, consentì all’estro di popolazioni afro americane di custodire nelle composizioni jazz, il diverso spirito di concezione della musica che ha sempre caratterizzato l’origine di quei popoli, lasciando accesso quasi esclusivo a strumenti e note che si distanziavano dal genere musicale occidentale. Successivamente, contaminazioni bianche produssero altra musica di ottima qualità. Questo non vuole certamente dire che i musicisti bianchi americani non avessero le qualità per eguagliare i loro colleghi. Bix Beiderbecke, di origine tedesca, in poco tempo divenne la leggenda del jazz bianco. Imparò da autodidatta a suonare la cornetta. Morì a soli ventotto anni schiavo dall’acool. Oltre Bix pochi musicisti occidentali negli anni si sono cimentati con la musica jazz pur avendo creato composizioni di pregio, spesso si sono allontanati dallo spirito esclusivo che ha generato il jazz. La differenza è innegabile. Molti ancora sono vivi nella memoria di ognuno, sarebbe lungo nominarli tutti, ma vi assicuro che ancora per lungo tempo la genialità e la passione di questi straordinari musicisti terranno banco nella musica di tutti i tempi. L’origine del significato della parola “jazz”, com’è sempre accaduto per ogni genere musicale, è davvero incerta. Molti hanno attribuito significati a volte probabili, altri suggestivi. Fra questi jass, derivante dalla lingua francese, significando forte rumore o secondo il parere di altri non sarebbe altro che il rumore dei piatti della batteria quando sono percossi. Ricky PorteraPoco però importa delle origini del nome. La sostanza invece è quella di un genere musicale unico e imprevedibile attraverso il quale la passione e la maestria di ogni artista esecutore a prescindere dal tipo di strumento scelto per eseguire i brani, ci mette molto di suo. Le tracce dei grandi testi del passato di jazz, attraverso le cosiddette contaminazioni apportate singolarmente creano variazioni straordinarie consentendo anche virtuosismi strumentali difficili da imitare. Se dovessi io stesso dare una definizione del jazz, sarebbe sicuramente quella d’interpretazioni uniche, irripetibili anche se rieseguite dal medesimo musicista. La cosa però, che affascina l’appassionato ascoltatore è l’esecuzione di diversi elementi di un brano che consente a ogni singolo musicista di eseguire il tracciato musicale originario in modo straordinariamente variegato, fermo restando l’obbligo di esecuzione dello spartito restando nel solco dell’intesa assoluta con altri elementi membri la stessa orchestra, variandone il tema a proprio piacimento in un insieme di suoni assolutamente amalgamati. Ho assistito a esecuzioni di quattro o cinque elementi di brani famosissimi eseguiti come da solisti con attacchi simultanei solo attraverso un’occhiata o un breve cenno del capo. Oggi il jazz in Europa è stabilizzato nel senso che non essendo ritenuto genere popolare occidentale, non presenta grandi evoluzioni innovative, se non il jazz sperimentale che prova a formare nuovi concetti, attraverso ispirazioni legate anche alle tragedie sociali di tutto il mondo, con un evidente ritorno alle origini. Quelle origini di sofferenza, di vessazione, di soprusi, che le vicende del mondo ogni giorno ci raccontano, perché da allora è cambiato poco. Un esempio, secondo la mia esperienza, è quello di avere assistito a un’esecuzione emozionante e molto descrittiva dal titolo “Luci d’Africa”, eseguita dal bravo musicista compositore Filippo Portera, che è riuscito durante l’esecuzione del brano a trascinare il suo pubblico in quell’Africa bruciata dal sole, dalle malattie, dalla speculazione, dall’ingordigia dell’occidente, mietendo vittime particolarmente fra i bambini che si contano in milioni l’anno. Abbiamo ascoltato attraverso il suo sax, il vortice del sole rovente, la quiete delle fredde notti africane e il lamento incessante di bimbi morenti. Suoni graffianti e strazianti, lamenti incessanti, che evocavano le sofferenze degli schiavi africani deportati e schiavizzati. Il jazz, la musica tutta, veicolo inascoltato di verità e passione destinata a divertire e se non riesce a farlo, a essere dimenticato.