Un uomo profondo – Nazzareno Carini: una vita per la fisarmonica (5° parte)

122

Nazzareno Carini - Una vita per la fisarmonica (quinta parte) foto 4“C’è un’altra cosa curiosa che ti voglio dire…”. Quali parole migliori potrebbe sentirsi dire un intervistatore alla ripresa – l’ennesima – di una lunga conversazione col proprio interlocutore? Se poi quell’interlocutore – l’intervistatore lo sa – ha sempre cose interessanti e sfiziose da raccontare e porta il nome ed il sorriso accattivante di Nazzareno Carini… beh!, ancora una volta non c’è che da aprire bene le orecchie e da accendere la telecamera per non perdersi nemmeno una battuta. “Collaborando per tanti anni con la rivista Fisarmoniae, mi sono occupato di tanti aspetti tecnici della fisarmonica: della meccanica, della tastiera, di come si costruisce il mantice e di tanti personaggi; insomma, di un’infinità di cose. E ho parlato, a volte, anche di come si possono risolvere delle questioni facendo il restauro. Per esempio, un grande inconveniente che incontrano i riparatori delle fisarmoniche antiche diatoniche, è quello di sfilare i tasti dalla tastiera con una spilla. A quel tempo le spille venivano usate da un millimetro, anche meno, ed erano di ottone; e l’ottone è soggetto all’ossido di carbonio. Per sfilare questa spilla ci vogliono 10 secondi, ma se la spilla, sfortunatamente, si dovesse rompere – e succede perché uno la forza troppo – significa che il lavoro non è più di pochi secondi, ma di un giorno, due giorni, anche più; a volte tocca smontare tutto, rifare la tastiera nuova. E quindi io ho suggerito un sistema che forse si conosceva, onestamente non posso dire di averlo inventato io, ma che ho provato ed è andato bene: si devono collegare i poli della spilla con la batteria della macchina per 10 secondi, trenta secondi, anche meno. Quindi, la spilla si riscalda, dilata un po’ i buchi e viene via subito. Un giorno, dopo diversi mesi da quando avevo scritto l’articolo, incontro un signore, di cui conosco bene la figlia e il genero perché è titolare di una fabbrica. Lo incontro in una festa organizzata in questa fabbrica e mi dice: «Sei tu Carini? Tu sei il mio maestro. Io sono un grande appassionato di fisarmonica e la sera, tornato dall’ufficio di commercialista, non vedo l’ora di andare nel laboratorio mio per riparare, fare qualcosa e ho sempre avuto una difficoltà enorme a togliere quella spilla e tu m’hai risolto il problema»”. Nazzareno ride soddisfatto e, come sempre, la sua risata è più contagiosa di un virus. “Di aneddoti ce ne sarebbero tanti, ma non me li ricordo…”. E subito, immancabilmente e fortunatamente, si smentisce: “Un altro signore voleva ricoprire la fisarmonica con la celluloide. Ed io: «Ma guarda che non ci riesci se non lo hai fatto mai. È un lavoro difficile, vengono fuori tanti inconvenienti». «No tu me devi insegnare» insisteva quello. E così, al telefono, con tanta pazienza, ho detto «seguimi, ci proviamo». Un altro aveva bruciato la celluloide con una candela. Gli avevano detto che occorreva una settimana per la riparazione, ma lui aveva bisogno della fisarmonica per lavoro, era un suonatore. In viaggio dal Nord Italia alla Sicilia, gli ho detto: «Fermati a Castelfidardo, che in mezzora te la sistemiamo»”. Ecco, uno dei tanti aspetti belli di Nazzareno è che adotta il plurale anche quando l’uso del singolare sarebbe più che legittimo. “Un altro ancora m’ha telefonato per sapere se era possibile cambiare un accordo; lo voleva mettere di una quinta aumentata e quindi chiedeva se bisognava rifare tutta la fisarmonica… Gli ho risposto che si poteva fare sulla vecchia fisarmonica e gli ho suggerito come… Io cerco di dare un aiuto anche su questo. Non sono cose che so fare solo io, chiunque conosce la fisarmonica sa fare queste cose, solo che io, adesso, sono in pensione e mi ci posso dedicare di più. Comunque mi dà un grande piacere. La fisarmonica mi ha dato tanto, mi ha fatto guadagnare, ha fatto vivere me e la mia famiglia, la suonavo, ho avuto delle soddisfazioni immense su tutto, ho conosciuto grandi suonatori e, quindi, finché campo, finché avrò vita, finché posso andare avanti, lo faccio. Giù sotto dove ho il laboratorio mio – però non mi dire di portartici (ma sorride al mio sguardo che lascia trapelare il desiderio irrefrenabile di visitarlo) – ho una fisarmonica bellissima che sto mettendo a posto per un architetto che vuole assolutamente che gliela sistemo io. È ricca di madreperla e di intarsi. Ho grandi problemi agli occhi, per cui lavoro con gli occhiali e con una lente sopra, ma ho ancora la fortuna – per l’età che ho – che le mani mi rimangono abbastanza salde, che non mi tremano”. E Nazzareno mi mostra le sue mani. Mani ferme, mani di un figlio di quelle Marche artigiane tra le quali la materia, pur plasmata, continua a vivere senza mai smarrire la propria natura. “Ecco, io il tempo mio lo dedico così”.

Nazzareno Carini - Una vita per la fisarmonica (quinta parte) foto 2Per una volta, il set dell’intervista si sposta dalla casa di Nazzareno, ricca di memorie e di pezzi da collezione da far invidia ad un museo, al Teatro Astra di Castelfidardo, tempio del PIF e di tanti altri eventi indimenticabili per gli amanti della fisarmonica. Seduti, l’uno affianco all’altro, su due poltrone della platea, durante le prove di quella che sarebbe stata una bella pagina da aggiungere agli annali del Teatro (https://www.strumentiemusica.com/notizie/il-sogno-di-gervasio/), Nazzareno si apre inaspettatamente ad una confidenza intima, al ricordo di un amico scomparso a cui tanto ha voluto bene e che tanto ha dato al mondo della fisarmonica: “Ti volevo raccontare qualcosa di Pigini. Io ho avuto, e ho tuttora, rapporti bellissimi con tutti i fabbricanti di fisarmoniche, rapporti straordinari. Quando mi presento in una fabbrica, mi accolgono con le braccia aperte. E ho cercato di andare d’accordo con tutti, di aiutarli. Però non ti nego che un po’ di simpatia in più per qualcuno, come capita a tutti, non ce l’abbia avuta. E una grande simpatia e stima ce l’ho avuta per Pigini, il padre degli attuali titolari Francesca e Massimo. Io ho contattato, parlato per lavoro con tanti fabbricanti e qualcuno, magari, s’è pronunciato a parlare male di un altro. Lui, Gino Pigini, mai ha detto una parola male di un altro. Era un signore. Un signore su tutto: sui pensieri, era un signore per come agiva, sempre sorridente, una persona eccezionale. Ho dei ricordi stupendi di lui. Tu pensa che io, una volta, ero uno di quelli che lavoravano 15 ore al giorno, le ferie non le prendevo mai. Mi ricordo, era il giorno di Ferragosto, è venuto da me e mi ha detto: «Mi devi fare una cortesia». «Ma Gino, siamo al 15 di agosto… di pomeriggio, cosa mi chiedi, le ferie non le prendo mai…». «Mi devi fare un piacere assolutamente. Ho un cliente che devo accontentare. Devi venire a dargli quattro o cinque astucci». Ma era talmente gentile, il modo, il modo come s’è presentato, come l’ha detto, che non mi sono potuto rifiutare. Lui è stato nella categoria degli artigiani come me, poi c’erano gli industriali che avevano 100 operai, 150. E, qualche volta, capitava che tra artigiani ci si riunisse per discutere qualcosa e per fare le cene sociali. Mi ricordo che in una di queste occasioni tutta l’attenzione era rivolta a lui e uno gli chiese: «Gino, tu hai tanti operai quanti ne ho io, fai un lavoro stupendo, ma hai una produzione molto più alta della mia. Ma come fai? Che sistemi usi?» E lui sai che cosa gli ha risposto? «Sai, ci sono due cose: all’operaio non gli devi far mancare mai il lavoro dal suo banco. L’operaio vede che c’è lavoro ed è più tranquillo. E lavora molto più tranquillo se lo tratti bene. Se lo tratti bene, ti tratta bene anche lui. Quando uno lavora tranquillo, lavora con più soddisfazione. Lavorando con più soddisfazione, il lavoro viene fatto bene». Era un uomo che ragionava in modo differente dagli altri. Non era uno che cercava di sfruttare le persone oltre i limiti. Mi ricordo che un anno venne da me in occasione del PIF per prendere del materiale. E mi raccontò che il giorno prima uno dei concertisti aveva vinto in una categoria suonando una sua fisarmonica, e, quindi, era molto soddisfatto. Che cosa era successo, però? Che questo vincitore era stato chiamato da un altro fabbricante, che gli aveva proposto una buona somma perché suonasse con una sua fisarmonica. «Io non me la prendo» disse Pigini – «però è una cosa assurda che un ballerino vinca una gara di ballo con una ballerina e poi, la sera dei festeggiamenti di quella vittoria, si metta a ballare con un’altra». Però ho veduto e capito che non portava odio, l’ha presa, come diciamo noi, alla «carlona». Quando veniva da me per prendere del materiale, cercava sempre il migliore. Non gli interessava di pagarlo di più, voleva il migliore”.

Nazzareno Carini - Una vita per la fisarmonica (quinta parte) foto 3Torniamo a casa Carini e Nazzareno riprende a raccontarmi delle sue molteplici attività da «pensionato». “Fra cartelle, libri e appunti avrò un milione di fogli, tutte ricerche che ho fatto. Ho anche una grossa cartella di tutto quello che sono riuscito a trovare su Paolo Soprani, da quando è nato a tutto il suo percorso. Ce ne sono di aneddoti su Paolo Soprani, anche aneddoti curiosi, che magari tanti ignorano”. E il sorriso che accompagna la parola “curiosi” fa già pregustare quel che seguirà. “Adesso te ne voglio raccontare uno: Soprani era sempre il primo alla mattina. Era lui ad aprire la fabbrica e aspettava l’entrata degli operai. Al figlio aveva dato l’incarico di accendere i padellini della colla. Noi a quel tempo non avevamo l’elettricità, quindi si prendeva della segatura di legno, si comprimeva dentro un barattolo, di quelli grandi che si usavano per le conserve, e, dopo un certo procedimento, si accendeva e sopra ci si posizionava la padella della colla. Era la colla a caldo che si scioglieva a bagnomaria. È un procedimento che successivamente avrebbe affidato agli operai, ma che inizialmente faceva fare al figlio affinché gli operai, entrando, trovassero la colla già pronta, se no toccava aspettare un’ora, un’ora e mezzo”. Nazzareno già ride al pensiero di quel che sta per raccontarmi. “Soprani girava molto in fabbrica per controllare. Noi, nella produzione di fisarmoniche, abbiamo molte fasi lavorative tra cui una è quella della preparazione della cassa armonica grezza che poi viene pulita molto bene, stuccata, e, quando è alla perfezione, senza difetti, ricoperta di celluloide. Quindi, per pulirla bene dopo la stuccatura bisogna carteggiarla con della carta vetrata. Una mattina, il signore che la carteggiava cantava una canzoncina lenta, molto lenta: «Ooooo Marììììì, Ooooo Marììììì…» – tutto calmo – «quante notti aggio perso pe teeee» e lavorava al ritmo di quella canzone. Soprani, dietro alle spalle – lui non se n’era accorto – lo stava guardando. Dopo 3, 4 minuti che lo osservava, Soprani gli batté su una spalla, gli tolse la carta vetrata dalle mani e gli disse: «Ma non la sai una canzone come questa?» E, a ritmo di marcia, intonò: «Garibaldi in cima al monte…»”. Nazzareno simula il gesto veloce di carteggiare a quel ritmo e, tra le risate (sue e mie) conclude: “Soprani è stato un tipo particolare. Ce ne sarebbero molti di aneddoti. Io come ti dicevo ho una cartellina grande su Soprani”. E noi continueremo a frugare nelle cartelle della memoria di Nazzareno, finché avrà voglia di aprirle per noi.