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Una colomba di nome Sarah

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Jazz e fumetto tra seduzione, tradizione e rivoluzione

(prima parte)

 

In principio fu Musical Mose

New York, 1902. Da poco, un giovane di nome George Herriman è arrivato in città dalla lontana New Orleans, in cui è nato 22 anni prima. La stessa cosa faranno, di lì a qualche anno, tanti altri suoi concittadini. Sono neri o creoli e nella città della Louisiana suonano una musica “sfrenata” che mescola il ragtime con gli spiritual e con la musica da banda. Qualche tempo dopo – a New York e a Chicago, soprattutto – quella musica assumerà caratteri diversi, si affinerà e qualcuno la chiamerà jazz. Anche George Herriman è un creolo di New Orleans, ma non suona il banjo, né la tromba. George Herriman, infatti, non è un musicista. È un disegnatore e sceneggiatore e ha inventato una serie a fumetti – Musical Mose per l’appunto – il cui protagonista è un menestrello nero che, per cercare di sfuggire alle discriminazioni razziali, ricorre a mille, inutili travestimenti. Come il protagonista delle storie che inventa, George Herriman deve tenere nascoste le proprie origini se vuole continuare a pubblicare le sue strisce sui quotidiani americani, posseduti, diretti e letti dai bianchi.02 Una colomba di nome Sarah Musical Mose

Se in principio fu Musical Mose, o, meglio, se Musical Mose è il primo fumetto ad occuparsi della musica degli afroamericani, l’ultimo non è stato ancora scritto e disegnato e nel mezzo c’è una lunga, lunghissima storia che racconta l’incontro tra le due arti contro le quali, ai loro esordi ed oltre, si accaniscono censori e moralisti di ogni risma. Quella musica “chiassosa” non trova certo posto, a quel tempo, nelle eleganti sale da concerto riservate alla musica sinfonica e da camera, né, tantomeno, nelle Accademie e nei conservatori. Lo storico Eric J. Hobsbawm[1] sostiene che dietro le parole di certi moralisti, che auspicano il ritorno del jazz negli antri oscuri in cui è nato, si nasconda l’ostilità verso le classi subalterne. Quegli antri oscuri, infatti, sono i bassifondi delle metropoli dove vive la stragrande maggioranza della popolazione nera. Come il «cugino» blues, il jazz è la “ musica del diavolo” e il diavolo, si sa, in genere non gode di una buona stampa. Proprio nella presunta patria del jazz, New Orleans, il 20 giugno del 1918, il quotidiano Times-Picayune pubblica un articolo che inizia così: “Perché esiste la musica jass, e di conseguenza il jass band? È lo stesso che chiedersi il perché dei romanzi tascabili o della gomma da masticare. Sono tutte manifestazioni di cattivo gusto, un gusto che non è ancora stato depurato dalla civiltà”. E prosegue: “[…] la musica jass è la storia sincopata e contrappuntata dell’impudicizia […]. Il jass offre un piacere sensuale più intenso di quello dei valzer viennesi […]. Sta a noi essere gli ultimi ad accettare queste sconcezze nell’ambito di un consorzio civile”[2].03 Una colomba di nome Sarah Jazz band in New Orleans Provate a sostituire i “romanzi tascabili” con gli ancor più disprezzati fumetti e il gioco è fatto. Ci vorranno parecchi decenni prima che qualche intellettuale europeo (bontà sua) li sdogani e siano finalmente considerati alla stregua di altre forme di espressione artistica[3]. Allora, ai tempi di un pioniere come George Herriman, sono reputati ancora e soltanto un intrattenimento per bambini e ignoranti e, presto, saranno ritenuti addirittura strumenti capaci di far perdere l’innocenza alle fragili, corruttibili coscienze dei giovani americani. I disegni, poi, possono essere compresi da tutti, anche da chi non sa leggere o non conosce l’inglese: insomma, sono davvero insidiosi. Almeno quanto il jazz…

Matrimonio riuscito quello tra jazz e fumetto. E prolifico. Oltre 100 anni di bande dessinée nelle quali – dagli USA all’Italia e al Giappone, come dall’Argentina alla Francia e al Belgio (le patrie nobili del fumetto) – il jazz ed i suoi musicisti sono protagonisti di storie comiche o drammatiche, biografiche o di pura invenzione, popolari o d’autore o fanno da sfondo a tormentate storie d’amore, di sesso o di detection, preferibilmente hard boiled. E, ancora, poster, copertine di dischi e di riviste specializzate. Per non parlare di personaggi dei fumetti che ispirano canzoni o brani strumentali. Un mondo così ampio e complesso del quale un articolo può offrire unicamente una carrellata impressionistica, senza la pretesa di essere esaustivo e senza la necessità di raccontarlo cronologicamente.04 Una colomba di nome Sarah Tintin jazz

La “musica del diavolo” non può che essere, per sua natura, tentatrice. Difficile sfuggire al suo potere di seduzione. Ad esso cede anche un poliziotto tutto d’un pezzo come Dick Tracy. Sono passati quarant’anni dalle prime storie di Musical Mose e il jazz non è più appannaggio esclusivo degli afroamericani. Lo swing delle grandi orchestre «bianche» di Benny Goodman, dei fratelli Dorsey o di Glen Miller si è già affermato e anche i fumetti si adeguano alla nuova realtà. Ci sono ancora i personaggi sempliciotti e coi labbroni, stereotipi del nero americano, ma non sono necessariamente menestrelli. In 88 Keys[4], una storia del 1943, il detective dalla mascella quadrata inventato da Chester Gould se la deve vedere con un bianchissimo e cattivissimo pianista di jazz che usa la confusione generata da un concerto o il frastuono di un giradischi a tutto volume per commettere efferati omicidi. Il bene trionfa sul male, ovviamente, ma se ne lascia anche stregare. Dick Tracy uccide sì il perfido jazzista, ma non prima di averne acquistato tutti i dischi, che, suo malgrado, ama profondamente.05 Una colomba di nome Sarah Dick Tracy   88 Keys

Tra gli U.S.A. e l’Italia il passo non è affatto breve, soprattutto se di mezzo, oltre al mare, ci sono trent’anni di storia del jazz, del fumetto, del costume, della mentalità. Siamo nel 1977, un anno politicamente “movimentato” per il nostro Paese, e Guido Crepax, autore di fumetti molto sensibile a certe effervescenze, pubblica Rembrandt e le streghe[5], in cui il Rembrandt del titolo (Philip) non è l’artista olandese del XVII secolo, ma il compagno della celebre Valentina e le streghe non sono le donne accusate, nello stesso periodo, di mercimonio col diavolo, bensì le femministe. Rembrandt è un critico d’arte, appassionato di jazz e ascolta lo storico album Four For Trane il cui autore, Archie Shepp, si materializza in casa sua non appena lui ne è uscito. A fargli compagnia appare una “strega” e tra i due prende corpo un dialogo non verbale che termina con l’immagine della donna che stringe tra le gambe la campana del sax suonato da Archie Shepp, che assume così la doppia valenza simbolica di strumento per mezzo del quale il musicista nero conduce da anni le proprie battaglie contro la discriminazione razziale e di organo sessuale femminile, che evoca le rivendicazioni femministe di quegli anni[6].06 Una colomba di nome Sarah Crepax Rembrandt e le streghe Crepax non è nuovo a queste incursioni nel mondo del jazz, né questa sarà l’ultima. La sua carriera di disegnatore inizia proprio con la realizzazione della copertina di un disco, Organ Jazz di Ralph Schecroun (1960), che assumerà in seguito il nome d’arte di Erroll Parker, e prosegue con L’uomo di Harlem[7], il cui protagonista è un contrabbassista nero che tenta, invano, di salvare una giovane bianca dalle grinfie della mafia. Sullo sfondo, ad eseguire la colonna sonora di questo fumetto dalle inquadrature molto cinematografiche, Charlie Parker con Koko, Embraceable you, Lover man. Nel 1984, in Nessuno[8], torna Rembrandt, nei panni, questa volta, di un novello Ulisse alle prese con la ricostruzione della propria memoria perduta. Ad aiutarlo nel compito interverranno tre dei suoi musicisti preferiti (Chet Baker, Gerry Mulligan, Lee Konitz) rappresentati come divinità del pantheon greco-romano, che gli restituiranno l’identità smarrita e lo ricondurranno dalla sua Valentina/Penelope. Crepax disegna anche due copertine per i dischi allegati al mensile Musica Jazz: un album di Fats Navarro (1990) e uno di Bud Powell (1993).07 Una colomba di nome Sarah Crepax   Navarro

Se Guido Crepax ritrae Chet Baker come un dio, il trio di autori Scornaienchi, Rak e Scoppetta costringe il trombettista della West Coast a prestare il volto malinconico ad un ancor più malinconico collega, protagonista di Brutta storia Mr. Brown[9] in cui un musicista di strada, per uno strano scherzo del destino, si ritrova a tentare una rapina in banca armato del proprio strumento.

“La Cina è vicina” (quella di Mao, non quella dell’economia rampante) è tra gli slogan più declamati negli anni di Crepax e della sua Valentina. E il Giappone? Quello dei manga, al quale l’occidente si sarebbe avvicinato un po’ più tardi, coglie la passione e la diffusione del jazz (e dei jazz cafè) nel paese del sol levante. Ambientato negli anni ’60, Sakamichi no Apollon [10], di Kodama Yuki è la storia – di cui esiste anche una versione a cartoni – di un gruppo di studenti e del loro affacciarsi alla vita. A cementare l’amicizia tra i ragazzi, ma, anche, a dare il via ad un vortice di sofferenze d’amore, ci sono le emozionanti visite allo scantinato del negozio di dischi del padre di uno dei personaggi, dove il jazz si manifesta loro per la prima volta. Ma non vi resta relegato: il jazz pervade l’atmosfera dell’intera storia, fino a contaminarne i particolari più marginali come il nome che Sentarō, una delle ragazze del gruppo, decide di dare alla sua colomba: Sarah Vaughan.08 Una colomba di nome Sarah Kodama Yuki   Sakamichi no Aporon

La vita, tutto sommato serena, di Sarah Vaughan (Sassy, la divina) si presta poco ad essere messa in scena. Meglio quella, inesorabilmente tragica, di Billie Holiday che, non a caso, ha ottenuto un numero, imprecisato ma elevato, di trasposizioni a fumetti. José Muñoz e Carlos Sampayo la immaginano immersa “in un paesaggio di nubi, una stratosfera dove dimorano gli angeli (o i demoni?) del jazz”[11]. I due autori argentini, pur non trascurando di raccontare la vita dannata di Lady Day, che si concluderà con un’overdose di eroina[12], preferiscono collocarla in una dimensione collettiva, quella della comunità afroamericana, in cui, come fanno dire alla stessa cantante, “[…] la mia voce non è solamente quella di Billie, ma viene da una voce che è quella di tutti”[13].09 Una colomba di nome Sarah Munoz e Sampayo   Billie Holiday Anche nei fumetti polizieschi, Muñoz e Sampayo dedicano ampio spazio al jazz. Il loro detective, Alack Sinner, come i Philippe Marlowe o i Sam Spade della letteratura hard boiled, è un uomo in crisi, scettico e solitario, e vive ai margini della disgregante New York. Circondato da amici neri, di cui gli autori del fumetto sottolineano ancora una volta la capacità di aggregazione sociale e politica (siamo sempre nei combattivi anni ’70) ne frequenta i locali dove, dopo aver ascoltato jazz dal vivo, conversa con personaggi del calibro di Cecyl Taylor, Pharoah Sanders o – omaggio degli autori all’Argentina – Gato Barbieri[14].10 Una colomba di nome Sarah Munoz e Sampayo   Viiet Blues

Alack Sinner e Dick Tracy non sono gli unici detective di carta ad amare il jazz. A far loro buona compagnia c’è Rip Kirby. Elegante come Cary Grant e coi tratti del volto che ricordano un po’ quelli di Gregory Peck, il personaggio creato nel 1946 da Alex Raymond (lo stesso grande artista di Flash Gordon e di Agente segreto X-9) diventa l’oggetto del desiderio di un’affascinante cantante che ha chiesto il suo aiuto professionale[15]. Durante un’esibizione in un locale notturno, Madelon (questo il nome d’arte della donna) canta The Man I Love, [16]ma, guardando intensamente il “suo” investigatore, ne cambia le parole. Da “e sarà grande e forte, il mio amore” a “e sarà alto e bruno, il mio amore”. L’identikit calza a pennello ad un imbarazzatissimo Rip Kirby, che ha pensato bene di recarsi al night club accompagnato dall’eterna fidanzata, Honey Dorian.11 Una colomba di nome Sarah Rip Kirby   Blackmail

Quando nasce Rip Kirby, la seconda guerra mondiale è finita da poco. La censura fascista e quella nazista, che bollavano il jazz come “arte degenerata”, sono crollate assieme a tutti gli altri orrori di cui quei regimi si sono resi responsabili. Il jazz rientra in Europa con le truppe alleate e diventa, immediatamente, la colonna sonora dei sogni di rinascita di un continente martoriato. Il fumetto d’autore non mancherà di cogliere questo aspetto. E proprio in Belgio, patria di Tintin, di Asterix e della cosiddetta “linea chiara”, si darà nuova voce al fortunato connubio jazz-fumetto.

 

NOTE

[1] Eric J. Hobsbawm, Storia sociale del jazz, Roma, Editori Riuniti, 1982.
[2] Ibidem, p. 97.
[3] “Charlie Brown e i fumetti. Umberto Eco intervista Elio Vittorini e Oreste Del Buono”, in Linus, anno 1, n° 1, aprile 1965, pp. 1-2.
[4] Chester Gould, “88 Keys”, in Dick Tracy, Milano, Milano Libri Edizioni, 1975.
[5] Guido Crepax, “Rembrandt e le streghe”, in Il ritratto di Valentina, Milano, Milano Libri Edizioni, 1979.
[6] Flavio Massarutto, Assoli di china. Tra jazz e fumetto, Viterbo, Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri, 2011.
[7] Guido Crepax, L’uomo di Harlem, Milano, CEPIM, 1979.
[8] Guido Crepax, Nessuno, Milano, Rizzoli, 1989.
[9] Luca Scornaienchi, Alessandro Rak, Andrea Scoppetta, Brutta storia Mr. Brown, S. Maria C.V. (CE). Lavieri Editore, 2006.
[10] Kodama Yuki, “Sakamichi no Apollon”, in Gekkan Flowers, 2007-2010.
[11] F. Massarutto, op. cit., p. 107.
[12] José Muñoz e Carlos Sampayo, Billie Holiday, Milano, Rizzoli, 1993.
[13] F. Massarutto, op. cit., p. 107.
[14] José Muñoz e Carlos Sampayo, Viet Blues, Milano, Nuages, 2008.
[15] Alex Raymond, “Blackmail” (Il ricatto), in “Rip Kirby”, Roma, Fratelli Spada Editori, 1974.
[16] Musica di George Gershwin e parole di Ira Gershwin. Cavallo di battaglia di Billie Holiday, è stata incisa anche da altre, straordinarie interpreti: Ella Fitzgerald, Sarah Vaughan, Dinah Washington, Judy Garland, Liza Minnelli, Diana Ross, Barbra Streisand tra le altre. Tra le più interessanti versioni strumentali vanno ricordate quelle di Benny Goodman, Miles Davis e Stan Kenton.

 

PER APPROFONDIRE

 BIBLIOGRAFIA

AA. VV., Carta canta. La musica nei fumetti, i fumetti nella musica, Rimini, Cartoon Club, 2002.

CLAIR, René, I primi eroi, Milano, Garzanti, 1962.

JONES, LeRoi, Il popolo del blues, Torino, Einaudi, 1968.

HOLIDAY, Billie, La signora canta i blues, Milano, Longanesi, 1959.

LEONARDI, Angelo, “I fumetti e il mondo del jazz”, in Musica Jazz, anno XXXIII, n. 8-9 (353) – agosto-settembre 1977, pp. 18-19.

OAKLEY, Giles, La musica del diavolo, Milano, Gabriele Mazzotta Editore, 1978.

POLILLO, Arrigo, Jazz, Milano, Mondadori, 1976.

 

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Autore: Sergio Macedone

Sergio Macedone ha scritto 74 articoli.

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