Ermes Pirlo è un fisarmonicista e compositore assai interessante. Costantemente immerso nella ricerca di un suono riconoscibile, strettamente personale, basa il suo modo di suonare sulla cantabilità e sulla vasta esplorazione timbrica, armonica, ritmica e melodica. Attraverso questa intervista racconta uno spaccato della sua vita.
Da dove deriva la tua passione per la fisarmonica?
Mio padre ha sempre amato questo strumento, pur non avendo avuto tempo da dedicargli. A nove anni mi regalò la prima fisarmonica e mi fece prendere lezioni da un insegnante del paese. Sin da subito capii che il rapporto tra me e questo strumento sarebbe durato a lungo, considerato che l’approccio fu di immediata naturalezza e le piccole soddisfazioni arrivavano praticamente di giorno in giorno.
Nel 2006 hai frequentato i seminari di Siena Jazz, una tra le istituzioni più blasonate in Italia per quanto concerne questo genere musicale. Come hai vissuto questa esperienza formativa?
L’esperienza a Siena è stata molto formativa. Ho conosciuto docenti, ma anche musicisti di altissimo livello con i quali ho condiviso momenti che credo solo esperienze simili possano regalare. Ho avuto modo di conoscere il pianista/”ricercatore” Stefano Battaglia, con cui nei quattro anni successivi ho intrapreso un percorso di ricerca musicale legato all’improvvisazione libera a tabula rasa, che mi ha fatto crescere tantissimo in termini di visione analitica del materiale sonoro e di capacità performativa.
Successivamente, sempre all’insegna di un’accurata crescita artistica, hai frequentato i seminari internazionali Jazzinty in Slovenia, dove sei stato inserito nella classe di musica d’insieme diretta da uno fra i più stimati chitarristi jazz mondiali: John Abercrombie. Come è stato l’incontro con questo gigante della musica?
Sono andato in Slovenia per seguire un workshop tenuto da Simone Zanchini, uno dei fisarmonicisti che più stimo e che da sempre seguo con interesse. Abercrombie era il mentor della classe di chitarra. Oltre ad essere il musicista che tutto il mondo conosce, si rivelò una persona genuina che si sorprese per il fatto che conoscessi alcuni suoi brani (ho sempre apprezzato il suo linguaggio legato alla cantabilità della melodia) e si mostrò piacevolmente incuriosito da questa “accordion version” della sua musica.
Nel 2011 hai costituito un trio denominato Bellow’s Training con il quale hai inciso un disco di sole composizioni originali. Qual è il fil rouge che contraddistingue questo album?
Il suono. Abbiamo lavorato sul suono. Con il bassista e amico bresciano Paolo Biasi ho cominciato a scrivere per Bellow’s Training nel 2010. Ci trovavamo con decorrenza settimanale e il materiale proposto da entrambi veniva trattato senza troppe regole teoriche, bensì ci concentravamo sul suono e sull’interazione strumentale. Conoscevamo da tempo il batterista/pianista Emanuele Maniscalco, musicista di rara sensibilità e completezza (anche lui bresciano e già stretto collaboratore di Paolo) al quale abbiamo chiesto, in un secondo tempo, di far parte del nostro progetto. Il suo inserimento fu stimolante per noi, al punto di documentare il lavoro svolto sino ad allora. Registrammo nel 2012 e il disco uscì nel 2015 per l’etichetta NBN.
In che modo nascono, dal punto di vista squisitamente emozionale, i brani di tua penna?
Non c’è un’unica risposta. Alcune volte la musica esce ancora prima che me ne renda conto e si tratta solo di darle una forma compiuta. Diciamo che i brani più sinceri sono ovviamente quelli legati a momenti particolari che mi hanno ispirato.
Per quanto concerne le tue composizioni originali, prediligi concepirle seguendo un unico genere oppure ti immergi in una ricerca stilistica incardinata su svariati stilemi?
Non credo abbia senso parlare di un unico genere, soprattutto per chi suona e ascolta il jazz, il linguaggio delle molteplici contaminazioni. Non sono mai stato un purista del genere musicale, ancor meno nella scrittura. In linea di massima le cose più interessanti che concepisco partono da un soggetto strutturale al quale cerco di dar vita sonora, rimanendo lontano da cliché o stilemi abusati per linguaggio e per forma, a favore di una scrittura più semplice che mi permetta di raccontare una storia che sia la più evocativa possibile.
Nel corso dell’ultimo decennio hai notato una presenza costante della fisarmonica nella musica contemporanea o credi che questo strumento possa essere maggiormente valorizzato e impiegato più spesso?
È innegabile che negli ultimi anni la fisarmonica si stia riprendendo lo spazio che le è stato negato per molto tempo, almeno nell’ambito del jazz mainstream, grazie a fisarmonicisti che hanno interiorizzato questo linguaggio. Nella musica classica contemporanea credo che la sperimentazione possa portare nuova linfa a questo strumento. Penso che bene hanno fatto e fanno coloro (fisarmonicisti e compositori) che investono risorse in questa direzione.
Ritieni che la fisarmonica sia uno strumento necessariamente legato a un determinato genere musicale oppure, grazie al suo inesauribile potenziale timbrico ed espressivo, pensi che si possa suonare tranquillamente in qualsiasi contesto?
Non c’è dubbio che la fisarmonica sia unanimemente considerata uno strumento versatile. A fronte dei pochi limiti che comunque ha (ogni strumento ha i propri), essa offre un potenziale timbrico, armonico, ritmico e melodico grazie al quale può tranquillamente essere presente in ogni genere. Direi che l’unica accortezza stia nel dosare opportunamente tutto questo potenziale in virtù dell’organico e del contesto nel quale viene inserito.
Dal 2015 collabori proficuamente con il chitarrista Paolo Bacchetta, in un progetto improntato sul suono del duo che comprende brani originali e d’autore. Quali sono le caratteristiche predominanti delle composizioni originali e dei brani d’autore?
Paolo Bacchetta, anche egli bresciano (mi ritengo un privilegiato vivendo a Brescia, poiché sono circondato da alcuni tra i migliori improvvisatori presenti sulla scena nazionale), lo conobbi durante l’esperienza a Siena nel 2006. Ci siamo ritrovati recentemente e c’è stata quella giusta sintonia che ti spinge ad osare e, per quanto mi riguarda, a rimettere in discussione il ruolo della fisarmonica. La caratteristica predominante è ancora il suono, a prescindere dal materiale, con un occhio di riguardo all’equilibrio delle tensioni, considerata la natura iperarmonica dei due strumenti.
Sei proiettato verso nuovi progetti discografici?
L’intento è quello di continuare il percorso iniziato con Bellow’s Training con l’aggiunta di un quarto elemento. Abbiamo già del materiale registrato in studio nel 2012, che però decidemmo di non pubblicare, perché troppo distante dal colore che stava prendendo buona parte del disco. Da allora è stata scritta nuova musica, che aspetta solo tempi maturi per una nuova pubblicazione.
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