L’INTERPRETAZIONE
Proseguiamo il discorso iniziato nel quinto articolo e analizziamo qualche altra Invenzione a due voci di J.S. Bach.
L’Invenzione n.4 in Re minore BWV 775 è probabilmente un brano piuttosto scorrevole. Lo deduciamo dall’indicazione 3/8 che spesso è associata ad andamenti brillanti, da una scrittura sostanzialmente uniforme nella quale prevalgono i gradi congiunti e dall’assenza di intervalli particolarmente espressivi che potrebbero indicare momenti di maggiore cantabilità. Si notano similitudini con il Passepied (ad esempio quello della Suite inglese N.5 in Mi minore) e si deduce un andamento alla battuta.
Come consigliato nel quarto articolo, possiamo iniziare l’analisi individuando i momenti di Tesi e i momenti di Arsi nelle prime battute e applicando poi le nostre deduzioni all’intera composizione.
La consuetudine potrebbe condurci a battezzare la prima battuta come portatrice dell’accento tonico e la seconda come “levare”, ma un’analisi più attenta della scrittura ci fa pensare che il brano inizi in “levare” e abbia il suo appoggio forte sulle battute “pari”. Notiamo infatti che il flusso delle semicrome che si muovono per grado congiunto è interrotto solamente dai due intervalli di settima diminuita che precedono e seguono il Do# della seconda battuta, evidenziandolo chiaramente e suggerendoci un appoggio proprio in quel punto.
Invenzione n. 4 – Battute 1-2
È evidente il cambiamento di accentuazione con l’Emiolia[1] nella cadenza delle misure 16 e 17.
Invenzione n.4 – Battute 16-17 – Emiolia
A livello pratico possiamo condurre le semicrome della prima battuta con un tocco quasi legato o leggermente sciolto (se “pronunciassimo” troppo le singole semicrome rischieremmo di moltiplicare gli impulsi e di appesantire l’andamento), separare chiaramente il Sib dal Do#, appoggiare il Do# restando sul tasto un po’ più a lungo dello stretto valore di sedicesimo e quindi, dopo aver separato il Do# dal successivo Sib, riprendere il leggero legato “scivolando” verso la terza battuta e recuperando, con un piccolo incremento di velocità, il tempo “perso” nelle due articolazioni e nella breve sosta sul Do#.
Invenzione n.4 – Battute 1-2-3-4
Vale la pena di soffermarsi, prima di passare ad un’altra Invenzione, sui due lunghi abbellimenti alle battute 19-20-21 (a destra) e 29-30-31-32-33 (a sinistra).
Le fonti, nella situazione specifica e in situazioni simili, riportano indicazioni diverse[2].
Invenzione n.4 da batt. 15 a batt. 32 – Manoscritto appartenuto a W.F. Bach con annotazioni dello stesso Johann Sebastian Bach (il pentagramma superiore è in chiave di violino francese, appoggiata sul primo rigo e non sul secondo, oggi caduta in disuso)
Invenzione n.4 da batt. 11 a batt. 32 – Altro manoscritto citato come autografo di J.S. Bach
Invenzione n.3 da batt. 25 a batt. 33 – Manoscritto appartenuto a W.F. Bach con annotazioni dello stesso Johann Sebastian Bach (il pentagramma superiore è in chiave di violino francese, appoggiata sul primo rigo e non sul secondo, oggi caduta in disuso)
Invenzione n.3 da batt. 18 a batt. 36 – Altro manoscritto citato come autografo di J.S. Bach
Non dobbiamo dimenticare che la durata e il carattere degli ornamenti sono condizionati dalla durata della nota reale e dal carattere del brano e non solo dal segno che viene utilizzato.
Il carattere grafico che noi associamo al mordente[3] (che ritroviamo nelle battute 19, nel pentagramma superiore e 29, nel pentagramma inferiore, del primo manoscritto citato relativo all’Invenzione n.4) non deve suggerire un’esecuzione rapida e brillante dell’ornamento. Il contesto e l’analisi degli altri frammenti, che riportano lunghi tratti oscillatori, ci fanno capire che probabilmente è necessario eseguire un lungo trillo o qualcosa di simile, che permette al clavicembalo (e al pianoforte moderno) di sostenere il suono, diventando elemento strutturale nell’esecuzione fedele del portato compositivo.
Partendo da questo assunto io eseguirei un trillo prolungato anche con uno strumento come la fisarmonica che non ha l’esigenza pratica di sostenere un suono che altrimenti si estinguerebbe. Personalmente preferisco iniziare più lentamente l’oscillazione e incrementare la velocità del trillo, mantenendo le due mani indipendenti e chiudendo il trillo stesso prima della conclusione della battuta. Da misura 29, visto che il trillo si trova a sinistra ed è più lungo, non escluderei di sostenerlo per un paio di battute, di fermarsi sul Mi e di riprenderlo per poi chiuderlo con le stesse modalità del precedente.
L’Invenzione n.6 in Mi maggiore BWV 777 presenta delle caratteristiche differenti da quella appena analizzata pur essendo, come la precedente, in 3/8. I valori molto brevi e la sincopazione (che dà vita ad una sorta di “rubato”) impongono un andamento non rapidissimo che permetta di godere delle piccole dissonanze che nascono e che si sciolgono, ma non bisogna farsi trarre in inganno dal cromatismo discendente, che potrebbe far pensare ad un carattere drammatico. Se non ci fermiamo alle prime battute, ma analizziamo l’intera composizione, vediamo che, specialmente nella seconda parte dell’Invenzione, i piccoli mordenti in levare scritti in note reali vivacizzano molto l’andamento. C’è un contrasto di “affetti” tra la brillantezza degli ornamenti e il cromatismo apparentemente doloroso, ma il carattere dominante è sicuramente il primo. Se analizziamo la consuetudine bachiana (a partire dal Clavicembalo ben temperato, soprattutto per quanto riguarda il Preludio e fuga n.9 in Mi maggiore dal Primo Libro) e dei suoi contemporanei, verifichiamo che la tonalità di Mi maggiore è spesso il luogo della serenità, della tenerezza e della cantabilità. Questo brano non fa eccezione e sembra quasi una “galanteria” per flauto di Quantz o di Graun.
I trentaduesimi non indicano virtuosismo; si tratta semplicemente di piccoli mordenti scritti in note reali da eseguire in maniera morbida, calandoli nel contesto della composizione.
Io inizierei legando leggermente la parte destra e separando gli ottavi della sinistra. Teniamo presente che una delle maniere più semplici per accentare (nel senso di “evidenziare”) una nota è di separarla dalla precedente; più sarà ampia la separazione, più evidente sarà l’accento. I fisarmonicisti possiedono uno strumento che, con il mantice, può proporre una grande varietà di inflessioni. Purtroppo, con questa modalità, l’accento viene attribuito alla parte destra come alla sinistra e può capitare, a maggior ragione nelle composizioni polifoniche, che le diverse linee richiedano un’articolazione differenziata. Naturalmente non sto sostenendo che non si debbano usare le possibilità dinamiche e accentuative del mantice, ma ritengo importante ricordare che ci sono modi diversi per dare evidenza alle note.
Apro una piccola parentesi a proposito degli “accenti” conseguenti alle articolazioni per ricordare che Couperin prima e Rameau successivamente, probabilmente codificando una tradizione seicentesca francese, inserirono la separazione tra i suoni addirittura tra gli ornamenti, definendola “Suspension” e indicandola come segue.
F. Couperin – Primo libro dei “Pieces de Clavecin” – 1714
J.Ph. Rameau – “Pieces de Clavessin avec une methode pour la mechanique des doigts” – 1724
Se noi separiamo gli ottavi della sinistra, creiamo dei piccoli “accenti” nei momenti di scontro tra i due manuali. Questi urti vengono risolti dalla parte destra che, legando, scende dolcemente sulla consonanza. Come codificato, tra gli altri, da C.Ph.E. Bach e da Quantz[4], la dissonanza viene così evidenziata rispetto alla consonanza. Quando le crome sincopate non si muovono con cromatismi (ad esempio nel pentagramma superiore a battuta 9 e a battuta 11) possiamo articolarle un poco, ma sempre meno delle crome che “rompono” le sincopi stesse creando gli “scontri”. È il “disegno” della linea melodica che ci suggerisce la dimensione di ciascuna separazione: sarà minore tra i movimenti per terze nel pentagramma superiore alla battuta 9 e più ampia nel salto di ottava tra i Fa# all’inizio della battuta 11 (sempre nel pentagramma superiore). In questo modo si viene a creare naturalmente quell’ondulazione, della quale abbiamo ampiamente trattato[5], che dà vita e direzione all’esecuzione.
L’Invenzione n.14 in Sib maggiore BWV 785 ci offre l’occasione per proseguire il discorso sugli abbellimenti, che approfondirò nel prossimo articolo.
I gruppi di biscrome non sono altro che “mezzi circoli”, dei gruppetti di origine vocale con uno sviluppo che copre una terza; non si tratta di momenti di virtuosismo, ma, di ornamenti scritti per esteso[6]. Da una parte, quindi, è necessario prendersi il tempo necessario a pronunciare correttamente i mezzi circoli, dall’altra bisogna comunque mantenere un andamento scorrevole in virtù della pulsazione binaria della misura. La tonalità di Sib maggiore è solitamente utilizzata per esprimere un carattere gioioso, ma è spesso associata anche ad un certo impeto e la composizione è sicuramente vivace e ricca di echi e di arpeggi.
Le semicrome possono essere eseguite sciolte e leggere oppure articolate a due, ma la cosa importante è non appesantire troppo il discorso musicale.
Ancora un piccolo suggerimento sull’esecuzione dei “mezzi circoli” prima di chiudere l’articolo: dovendo, come ho scritto, ricercare un andamento legato e leggermente irregolare nella pronuncia dell’abbellimento io curerei la diteggiatura e il gesto. In particolare utilizzerei per tutti i “gruppetti” le tre dita centrali (2-3-4-3-2 o 4-3-2-3-4)[7] e, riducendola al minimo, accompagnerei l’articolazione con una piccola rotazione del polso che può contribuire a caratterizzare in maniera efficace l’ornamento.
Concludo segnalando ai lettori un’interessante masterclass sul Clavicembalo ben temperato di J.S. Bach che il pianista Gianluca Luisi terrà nei giorni 19 e 20 maggio presso il Conservatorio di Parma. Si tratterà della seconda occasione, in pochi mesi, di approfondire lo studio dei due libri che compongono l’importante opera bachiana e seguirà la masterclass curata dal clavicembalista Enrico Baiano. I due appuntamenti fanno parte del “Laboratorio Tastiere e Prassi Storiche” che vede coinvolti il Dipartimento Tastiere e il Dipartimento di Musica Antica del “Boito” e, in particolare, i docenti di clavicembalo, pianoforte e fisarmonica.
L’obiettivo è di andare alle radici del linguaggio bachiano individuando i caratteri fondamentali delle opere trattate e, nel contempo, di comprendere come ciascuno degli strumenti coinvolti possa esprimere gli “affetti” caratteristici dei brani rispettando le proprie peculiarità meccaniche ed espressive.
Ringrazio Emilia Fadini e Marco Farolfi per i preziosi suggerimenti e per i riferimenti alle fonti.
[1] L’Emiolia (termine di origine greca che indica il rapporto 3/2) è una formula ritmica utilizzata in cadenza che prevede un mutamento da una suddivisione binaria ad una ternaria. Nel nostro caso, considerando il nucleo di due battute da 3/8, passiamo dai due accenti (uno su ogni misura) che caratterizzano il brano, ai tre accenti (uno ogni due ottavi) della cadenza delle battute 16-17 [2] Ricordiamo che gli aspiranti che venivano accettati come allievi da J.S. Bach dovevano, come prima cosa, copiare tutto il materiale (Invenzioni, Suites, Clavicembalo ben temperato…) che avrebbero poi utilizzato nel corso degli studi. Quindi abbiamo molte versioni, tutte attendibili, degli stessi brani [3][4] Vedere terzo articolo per i riferimenti sui trattati citati [5] Vedere il quarto articolo per il discorso su Tesi e Arsi [6] Per gli ornamenti i riferimenti da tenere presenti sono il canto e l’improvvisazione. Nel limite del possibile, bisognerebbe cercare di eseguirli sempre legati (all’interno del proprio sviluppo) e in maniera non eccessivamente meccanica [7] Questa diteggiatura può essere adottata sulle fisarmoniche a tastiera e su quelle a bottoni e si può utilizzare anche sul manuale sinistro per terze minori
Questo post è disponibile anche in: Inglese
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