La fisarmonica? “Un universo di possibilità!”

Intervista a Carla Magnan

Di Carla Magnan mi ha colpito, tra i tanti altri aspetti della sua interessante produzione musicale, un’attenzione, direi quasi paritetica, alla cultura “alta” e a quella “bassa”, al sublime e al pop. Faccio qualche esempio fra tutti: i brani L’immoto guardo e L’immoto guardo incantato (composti con Carla Rebora, 2015 e 2016) ispirati ai madrigali di Carlo Gesualdo da Venosa e Diabolikamente suite (2002 e 2003), “Fumodramma” ispirato al fumetto Diabolik…

E allora, per cominciare, a Carla Magnan chiedo proprio: come si colloca la tua poetica tra questi due poli così (almeno apparentemente) estremi?

Il fascino della nostra epoca è dato dalla possibilità di guardare diverse epoche storiche con gli occhi del presente, mettendo sullo stesso piano compositori differenti, che si tratti di Gesualdo, di Berio, Zappa o Henze. La magia della composizione è che possiamo usare vocaboli apparentemente lontani, ma che se ricontestualizzati, contribuisce a renderli ancora fonte di stupore e ri-scoperta. Per questo ho sempre scelto di intraprendere un percorso creativo volto all’eterogeneità: la mia scrittura ha bisogno di nutrirsi di materiali di cose diverse. Tale ricerca della molteplicità, mi conduce ad apprezzare l’imprevedibile e a ritrovarmi di conseguenza in una eterna ricerca di progetti creativi tra loro solo apparentemente diversi e lontani. Correttamente, Renzo Cresti nel suo libro Musica e presente lo sottolinea: “Nel suo percorso compositivo ogni brano è un mondo a sé. Per cui è difficile evidenziare tratti stilistici costanti: talento e disciplina potrebbe intitolarsi un saggio sulla musica della Magnan, che scrive seguendo l’estro ma non a briglie sciolte, con un criterio costruttivo e formale rigoroso”.

Il nostro presente è così ricco di complessità e ovviamente anche di contraddizioni, con un bagaglio di duemila anni di storia musicale alle spalle con cui ogni compositore deve confrontarsi, ma è anche in grado di offrirci uno spettro di soluzioni in cui ciascuno di noi può identificarsi, scegliere e modellare. E questo è qualcosa che cerco di comunicare con il mio lavoro, cercando di sollecitare le emozioni e la curiosità degli ascoltatori, adottando situazioni differenti, attraverso linguaggi anche distanti tra loro, ma solo apparentemente. Mi piace far convivere momenti in cui riaffiorano aree più consonanti, con atmosfere più aspre, il tutto finalizzato a una chiara resa drammaturgica, anche in brani che in apparenza non l’hanno, perché solo musicali.

Diabolikamente tua… del 2002, da cui sono estratte le Suite da te citate, è un’opera di teatro musicale che mi fu commissionata per il 40° anniversario del fumetto e ispirato al terzo numero di “Diabolik”. L’opera nasce dall’idea di recuperare lo stile e la forma dei radiodrammi degli anni Quaranta e Cinquanta (dal colore tipicamente giallo) e fonderlo con un’altra forma d’arte: il fumetto noir. Il termine “fumodramma” nasce dall’unione di queste due parole: fumetto e radiodramma. Tutto lo spettacolo ruota intorno all’ironia di essere o non essere un fumetto, tra il movimento dei musicisti e la quasi staticità degli attori, mentre la musica sottolinea ogni avvenimento (dal rumore dell’apertura della cassaforte alla lama della ghigliottina) proprio come avveniva durante una diretta di uno spettacolo radiofonico. “[…] un mix irresistibile tra fumetto noir e radiodramma anni ’40 e ’50. Lo spettacolo ha una trama sottile, […] impreziosita in filigrana da virtuosismi musicali che ne sottolineano ogni evento, ogni piccolo gesto. Swing e jazz, ma anche un po’ di Liszt e Schönberg e tanta Magnan, per accompagnare le gesta di questo antieroe ideato dalle sorelle Giussani […]”. Perché chi ha detto che la musica contemporanea non può essere anche divertente?

Un altro dualismo va colto tra l’ispirazione dettata da Claudio Monteverdi (Amor, dov’è la fè per viola sola, 2003; Cor mio per coro misto a cappella, 2004; Mentre vi miro per quintetto vocale, 2004) e quella in omaggio a Pierre Boulez (Trope per violino solo, 2017). Al di là del fatto che furono entrambi straordinari innovatori e “traghettatori”, c’è qualcos’altro che li accomuna nel tuo immaginario musicale?

Ho una grande passione per la musica barocca per ovvi motivi, essendo stata anche clavicembalista. Ma amo anche la musica espressionista del primo Novecento, la musica impressionista, la sperimentazione e le avanguardie. Estendendo questa linea immaginaria che in fondo collega tutti si può giungere alla musica di Maderna e poi Vacchi, Saariaho, Sciarrino fino ad arrivare anche a quella scritta recentemente dai tanti miei colleghi. Amo le sfide e studiare e approfondire i tentativi e i modi con cui ogni compositore cerca di realizzare la propria idea. Non conoscere certi periodi storici, non considerare l’enorme patrimonio che ci hanno lasciato i compositori del passato, per me è un errore tanto quanto restarci imbrigliati, riproponendo sempre gli stessi linguaggi. La tradizione alla fine non è altro che la somma di tante rivoluzioni. Conoscere la tradizione non significa restare ancorati nel passato, ma imparare a leggerlo con occhi diversi, con la consapevolezza data dallo studio, dalla passione e soprattutto dalla curiosità.

Facendo riferimento alla tua domanda, nel mio percorso creativo in generale, non solo nei brani da te citati, cerco di rielaborare questi frammenti di memoria e di fonderli in un insieme in cui la coerenza non è data solo dal linguaggio, ma soprattutto dalla forma e dalla capacità comunicativa che voglio dare al mio messaggio musicale.

Anche nel campo dei riferimenti alla letteratura, alla saggistica e alle arti visive spazi molto: da Erasmo da Rotterdam e Keplero a Christian Morgenstern, dalle avanguardie del Novecento (Picasso, Man Ray, Marinetti) a Virginia Woolf, Pasolini e Calvino, fino ad autrici e autori contemporanei come Donatella Bisutti, Mariza D’Anna, Marco Santagata, Maria Letizia Corga, Pier Luigi Berdondini. C’è un preciso percorso di ricerca nel richiamarti a questi nomi, oppure il fil rouge che li unisce è esclusivamente quello delle tue preferenze o passioni artistiche e letterarie?

Il motore del mio lavoro è sempre stata la curiosità, la voglia di approfondire e di conoscere cose nuove. Appena mi viene sottoposto un progetto per una commissione, mi metto alla ricerca di ogni cosa che possa sollecitare non solo la mia creatività, ma che mi aiuti a trovare una chiave di lettura, una progettualità che non vuole essere scontata o prevedibile. Per esempio il mio rapporto con il compianto Marco Santagata, uno degli autori che hai citato, è nato da un incontro fortuito e poi volutamente cercato e approfondito. Lavorando a un nuovo progetto operistico riguardante Petrarca, stavo scervellandomi letteralmente per trovare un’idea, una chiave di lettura non banale su un autore su cui si è scritto di tutto e di più. Sonia Bergamasco (a cui mi lega una cara amicizia), mi disse di aver letto da poco un libro edito da Sellerio, Il copista scritto da Marco Santagata e che ne dava una visione nuova. Lo lessi anch’io e contattai subito lo scrittore. Marco rispose con entusiasmo alla mia proposta di trasformare in opera il suo romanzo, tanto da darmi l’autorizzazione di trasformare il suo testo in drammaturgia e quindi in libretto, lasciandomi del tutto libera nella ri-scrittura, rilasciando una liberatoria per l’utilizzo del testo gratuita. Così è nata L’aurea d’amore (2009), scritta a quattro mani da me e Carla Rebora, in versione di Opera e di Corto d’opera, locuzione che noi abbiamo realizzato musicalmente per prime, trasformandolo in un genere assolutamente inedito e personale. L’opera racconta una giornata nella vecchiaia del poeta laureato, ritratto mentre compone un’opera da cui traluce un’immagine di distacco e serenità, mentre in realtà è assediato dai ricordi, esasperato da una sensualità malsana, roso da un dolore egocentrico per le perdite più importanti della sua vita. La schizofrenia di Petrarca, suggerita dall’autore del romanzo, si traduce nella partitura con la scelta di una mappa estetico-formale basata su due linee principali, una grottesca e una lirica. L’intervento musicale muove da questo duplice piano di lettura, prevedendo un gioco compositivo dove le personalità musicali vengono abbinate e scambiate nei momenti più significativi del racconto. L’elemento di coesione del lavoro viene creato dalla rielaborazione di alcuni frammenti del Madrigale Crudele acerba di Luca Marenzio (Madrigali, libro IX, n.12, su testo di Francesco Petrarca) che compaiono tra le scene come una sorta di refrain, riconoscibili nel finale della scena terza (ancora musica antica!). Il soprano, nel doppio ruolo di Petrarca (l’uomo e il poeta) e di Laura (la donna e la poesia), racconta e ricorda la famosa musa che mai nessuno ha conosciuto…

Dopo quest’opera tra me e Marco si strinse un’amicizia basata su una profonda stima, tanto da sfociare in altri progetti, tra cui l’opera Il salto degli Orlandi del 2014. Senz’altro, quindi, l’interazione fra le varie arti, la lettura ma anche la multimedialità, l’elettronica con tutte le sue possibilità, la grafica o semplicemente il visivo, è un’opportunità enorme non solo come fonte di sollecitazioni ma anche per poter implementare la capacità comunicativa dei miei progetti artistici. Penso per esempio al mio brano per orchestra Legere flores del 2022 ispirato all’orologio floreale di Carlo Linneo (1707-1778). Il medico, botanico e naturalista svedese (a cui si deve la moderna classificazione scientifica degli organismi viventi), aveva notato che alcuni fiori si aprono e si chiudono in precisi momenti del giorno, come se avessero un orologio interno e gli venne così l’idea di costruire un orologio floreale (ancora oggi visitabile), disponendo al posto dei numeri i fiori, considerando la cronologia di apertura. Una cosa così straordinaria non poteva passarmi inosservata. È questa per me la vera multimedialità: saper collegare più mondi, che insieme potranno dare vita a un’unica opera, in un’unica grande arcata, come un unico respiro.

A proposito del riferimento a Picasso in Al di là del mare. Il favoloso Mediterraneo di Pablo Picasso per soprano, flauto contralto, clavicembalo e violoncello, del 2023, leggo che fu il frutto di una committenza per il XXX Festival Musicale “Le vie del Barocco”. Un’altra associazione inconsueta: Picasso e il Barocco…

È sempre stato un mio desiderio scrivere musica utilizzando ensemble di strumenti antichi, motivo per cui sono stata entusiasta di questa nuova opportunità. La committenza era legata al tema dell’acqua, quindi ho scelto di lavorare partendo dal 50° anniversario della morte di Pablo Picasso, dalla suggestione creata dal suo intenso legame con il mare che si è inevitabilmente riflesso in alcuni suoi quadri. Al di là del mare. Il favoloso Mediterraneo di Pablo Picasso è formato da tre movimenti (Come ponte d’argento, Di là da te io ho un paradiso e Il mare scintilla) che creano un rapporto profondo tra una scelta dei suoi quadri e tre testi formati da frammenti rimodulati di poesie di Giovanni Pascoli (1855-1912), Ibn Hamdis (1056-1133) e Gabriele D’Annunzio (1863-1938), creando un ulteriore legame tra i secoli. Il Mediterraneo è sempre stato il luogo in cui avvengono gli eventi decisivi dell’esistenza, dalla conquista alla perdita, in grado di contribuire a plasmare lo sguardo, l’ascolto e la fantasia. E su questo sfondo il canto racconta storie e sentimenti. Riporto ancora una frase di Renzo Cresti tratta dal medesimo libro di cui sopra: “L’attività di clavicembalista e lo studio della musica antica le hanno creato una forma mentis aperta alle sollecitazioni culturali che provengono dal Barocco e dal Classicismo, richiami che non si ritrovano esplicitamente nel suo modo di comporre ma che corrono sotterranei, indirizzando il senso della forma e del suono, in un sapiente gioco segreto di rimandi che si cercano e si perdono, come le linee melodiche che la Magnan sa creare.”

Pure nella tua formazione accademica ricorrono figure tanto diverse tra loro: Azio Corghi, Giorgio Gaslini, Carlo Savina, Detlev Gardner, John Harbison, Chester Biscardi e Mauricio Kagel. Posso ipotizzare che la tua ecletticità si debba, almeno in parte, anche a queste esperienze?

Certamente! Cerco di riconsegnare attraverso il mio lavoro di compositore, docente ma anche di direttrice artistica quanto ho imparato ed ereditato dai miei maestri, nel modo più veritiero possibile. Per quanto ognuno dei compositori citati fosse diverso, per linguaggio e background, tutti avevano una cosa in comune: il rigore, l’onestà intellettuale e la libertà. Azio Corghi, in questo senso, è stato per me, come per un’intera generazione di suoi allievi, fondamentale.

Non ha mai lavorato per creare dei cloni di sé stesso; in classe convivevano estetiche lontanissime. Basta guardare i suoi allievi: Ivan Fedele, Luca Francesconi, Marco Stroppa, Ludovico Einaudi. L’insegnamento più importante che tutti noi abbiamo estrapolato dalle sue lezioni è stato ricavare la propria libertà dentro un rigore assoluto. Le regole, a volte limitanti della musica, possono diventare uno strumento di libertà poiché permettono di esprimerti con coerenza e chiarezza. Questo è il segreto della disciplina musicale, a cui nessuno di noi può esimersi.

Facciamo un gioco: dimmi, per ciascuno di questi Maestri, un attributo significativo relativo a quanto ti hanno lasciato. Un segno, un’impronta, che hanno impresso nel tuo percorso di ricerca. Oppure, quel che ti aspettavi da loro e che non hai ricevuto…

Ognuno di loro ha lasciato in me un insegnamento, una traccia profonda, una visione. Tutti gli incontri citati hanno contribuito a rafforzare il mio intento di scrivere musica, fornendomi gli strumenti per farlo.

Ultimo riferimento ai tuoi “dualismi” (o, dovrei dire, “pluralismi”), lo giuro, anche se in questo caso si tratta di qualcosa di davvero unico, mi sembra, nel panorama della musica colta. In numerose occasioni hai composto a quattro mani con Carla Rebora. E, allora, ti faccio una serie di domande semplici, ma che, immagino, necessitino di risposte complesse. La prima è “Perché scrivere a quattro mani (e a due teste, naturalmente)”?

Ritorniamo al tema della curiosità e della sperimentazione. Solitamente il lavoro del compositore è piuttosto solitario, una continua ricerca e approfondimento su e con sé stessi. In questo senso la scrittura ci aiuta a prendere consapevolezza del nostro mondo interiore e del nostro trascorso storico e biografico. È un percorso necessario, alle volte faticoso. La nostra collaborazione, cominciata del tutto casualmente, ha dato vita invece a un rapporto di collettive creation che dura da vent’anni, che ci ha permesso di sperimentare, ricercare e studiare diverse modalità di approccio alla scrittura. Effettivamente siamo un’eccellenza nel campo della musica colta mondiale. Mentre la scrittura condivisa è utilizzata tantissimo nella musica per film, nella musica rock, pop e anche nel jazz, nessuno l’ha mai utilizzata in maniera sistematica, programmatica e di ricerca nell’ambito della musica colta come abbiamo fatto noi. Questo pur mantenendo entrambe la nostra originalità creativa e la nostra carriera compositiva. Siamo state le prime donne in assoluto a scrivere a quattro mani ma anche i primi compositori nella storia della musica a lavorare in connubio e a veder eseguito e premiato il risultato del loro lavoro. Ci sono stati casi ovviamente di collaborazioni, penso per esempio ad alcuni lavori di Nicola Sani e Lucio Gregoretti, ma non hanno dato origine a un percorso così strutturato, come nel nostro caso. La domanda potrebbe essere quindi, perché avete proseguito, dopo i primi approcci? Perché ci siamo rese conto che non solo è condivisa la creatività, la progettualità e la tecnica di scrittura (che, attenzione, non viene moltiplicato per due ma si moltiplica esponenzialmente) ma viene condivisa anche la fatica, lo stress della tempistica di consegna di un lavoro, la promozione dello stesso, il seguire le prove e tutto ciò che fa da cornice a un lavoro di ampie dimensioni. In questo senso ottimizziamo tantissimo l’impegno. La musica insegna molte cose oltre alla bellezza: la disciplina, l’umiltà e l’ascolto, il giusto modo di relazionarsi agli altri, partecipando e ascoltando. Questa è anche la base per un rapporto compositivo condiviso. Norman G. Shidle (1895-1978) lo ha spiegato molto bene: “Un gruppo diventa un vero team quando tutti i membri che lo compongono sono abbastanza sicuri di sé e del contributo che possono dare, da riuscire a lodare la preparazione degli altri partecipanti.” E avere come unico focus la realizzazione del progetto finale.

La seconda domanda è “Perché proprio con Carla Rebora”?

Io e Carla Rebora ci siamo incontrate nella classe di Azio Corghi all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia nel 2000 dove ci siamo perfezionate in Composizione, all’Accademia Chigiana di Siena e alla Fondazione Romano Romanini di Brescia. Il nostro editore di allora, Luigi Taglioni di Raitrade (ora Raicom) ci chiese di scrivere un lavoro a quattro mani, che ci fu commissionato dal Festival di musica sacra di Pordenone, nel 2004 e il Freon Ensemble. Nacque così Hymnen, per soprano, violino, chitarra, pianoforte, contrabbasso, con una drammaturgia tratti dagl’Inni alla notte di Novalis, anche questa scritta a quattro mani. Il risultato fu eccellente, da tutti i punti di vista: ovviamente musicale, ma anche creativo, organizzativo e di realizzazione. Da questa prima esperienza abbiamo accresciuto le nostre sperimentazioni e tecniche, passando alla scrittura di opere liriche, di teatro musicale, orchestra. La cosa più bella che ci viene riconosciuta è che i nostri lavori sembrano scritti da una terza persona (la somma di noi due) e anche guardando le partiture dall’interno, non si capisce chi ha scritto cosa. E devo dire che alcune volte ce lo dimentichiamo anche noi!

La terza domanda è “Come?” Come nasce e come si sviluppa il processo creativo tra di voi?

Il progetto è la chiave del successo. Alla sua realizzazione dedichiamo tanto tempo e attenzione, scegliendo o inventando nuove tecniche, studiando gli equilibri sonori e drammaturgici. Penso al nostro ultimo lavoro di teatro musicale Un pomeriggio, Libereso (2024) per attrice, attore, attrice e trio di percussioni (Ars Ludi) con la drammaturgia di Simone Dini Gandini e Roberto Giannarelli, prodotto e commissionato del Teatro Nazionale di Genova. 75 minuti di musica per sole percussioni che hanno incantato il pubblico, tenendo sempre alta l’attenzione. Questo vuol dire aver fatto a monte un lavoro di alternanza non solo di temi e suoni, ma anche di equilibri sonori calibrati nei minimi dettagli. Proprio di questo parleremo a fine giugno [già trascorso per chi legge n.d.r.] al Conservatorio di Salonicco, dove ci hanno invitato per raccontare il nostro metodo di lavoro e le tecniche che applichiamo. Da molti anni, infatti, la ricerca artistica indaga le potenzialità della collective creation nei diversi campi dell’arte e del pensiero. Così anche la composizione musicale diventa atto generativo non più individuale ma collettivo e inclusivo, aprendo grandi spazi di studio e di sperimentazione.

Individualmente o con Carla Rebora hai scritto per molti strumenti soli o in organici di diversa natura e ampiezza (dal duo all’orchestra). Oltre al clavicembalo, per il quale hai conseguito il titolo accademico, in quale – o in quali – trovi maggiormente la tua più vera dimensione?

In questo momento i grandi organici come l’orchestra, l’opera e il teatro musicale sono quelli che mi consentono di esprimermi al meglio.

Ti dedichi molto al “tuo” clavicembalo come compositrice o come concertista?

Ahimè, più che altro come compositrice e nemmeno in maniera assidua. Poter suonare e studiare veramente come un tempo il clavicembalo (come il pianoforte) mi manca moltissimo. Ma purtroppo bisogna fare delle scelte in base al tempo che si ha a disposizione.

La fisarmonica, che, come sai, è al centro delle attenzioni del nostro giornale, l’hai incontrata di recente, partecipando al progetto di Ivano Battiston 30X30 per i trent’anni dell’istituzione della cattedra di fisarmonica presso il Conservatorio “Luigi Cherubini” di Firenze. Il tuo brano, per quell’album pubblicato dalla nostra ArsSpoletium, hai composto Brille sous terre. Che cosa ti ha spinto a misurarti con uno strumento per te così nuovo?

La curiosità come sempre e l’opportunità di approfondire questo meraviglioso strumento! Ho colto subito l’invito di Ivano Battiston a scrivere per lui. Strumentista straordinario, è stato un piacere aver avuto la possibilità di lavorare con lui e dedicargli questo brano.

Come ti sei preparata a questa sfida? La fonte d’ispirazione, gli ascolti “preventivi” di altri lavori per fisarmonica da concerto, il confronto con Ivano Battiston e/o con gli autori e autrici del disco (in cui c’è anche un pezzo di Carla Rebora)…

Quando succede di scrivere per uno strumento solistico c’è uno studio preventivo tecnico sulla notazione, le possibilità espressive che va in parallelo con l’ascolto e l’analisi di brani di repertorio e di autori contemporanei. Poi come sempre l’idea, il progetto e la realizzazione dello stesso. Infine, il confronto con l’interprete. Ciò avviene tanto più per uno strumento che si è “meno frequentato”. Il rapporto con gli esecutori diventa quindi fondamentale per un compositore. Al di là delle idee e delle competenze tecniche di partenza, il confronto continuo con l’interprete/gli interpreti è necessario per sviluppare la propria tecnica di scrittura. Scrivere bene significa essere in grado di far trasparire all’ascoltatore la propria intenzione timbrica, agogica ed emozionale. Il che non significa che il brano deve essere “piacevole”, ma che deve essere in grado di far arrivare il messaggio voluto dal compositore in modo chiaro attraverso l’interprete, che ha facoltà di tradurlo e interpretarlo con bravura. Perché ciò avvenga è sempre più necessaria una stretta collaborazione tra l’uno e l’altro, in un rapporto di fiducia reciproca. E avverà che alcune volte il compositore rinuncerà a qualche buon proposito ma strumentalmente poco attuabile mentre l’interprete sarà portato a sfidare le proprie competenze e il proprio limite per esaltare il fine da raggiungere. Il brano finale si trasformerà in “una strada da percorrere insieme”.

Quali peculiarità dello strumento hai apprezzato maggiormente e come hai voluto valorizzarle in Brille sous terre?

Quando scrivo cerco di raccontare una storia con i suoni. In questo caso mi sono lasciata ispirare da uno dei racconto di Italo Calvino tratto dalle sue Cosmicomiche. Così è nato Brille sous terre, che si può tradurre con “lo splendore sottoterra”. E così è nato un piccolo viaggio all’interno di una grande caverna immaginaria, piena di stalattiti e stalagmiti, pietre preziose, metalli rari a cui la fisarmonica, con la potenza dei suoni gravi e il suo virtuosismo dà voce.

Ci sono state difficoltà particolari da affrontare per scrivere questa prima partitura per fisarmonica?

Quelle che si affrontano quando si cerca di realizzare un’idea, un colore, un suono che deve essere realizzato con uno strumento con cui si ha poca confidenza. Quando si comincia a scrivere poi con la fisarmonica si apre un universo di possibilità! E il rapporto con l’interprete diventa essenziale.

Credi che l’apporto di compositori con percorsi formativi diversi da quello dei fisarmonicisti possa, in qualche misura, contribuire allo sviluppo di ulteriori metodologie interpretative dello strumento?

Assolutamente sì, ma credo che questo succeda un po’ per tutti gli strumenti.

Un sintetico consuntivo di questa esperienza…

È sempre bello partecipare a esperienze di gruppo che permettono il confronto non solo tra te e l’interprete, ma anche con altri compositori e artisti. Spero mi porti a lavorare ancora con Ivano e con altri fisarmonicisti.

E un preventivo… scriveresti volentieri, di nuovo, per fisarmonica?

Molto volentieri!!!

A che cosa stai lavorando, attualmente?

Oltre alla mia attività di direttore artistico e alla docenza, sto lavorando alla scrittura di due brani: uno per orchestra d’archi (commissione dei Solisti Aquilani) e il secondo per grande orchestra e voci, su un tema sacro. Poi ci saranno le riprese di altri lavori, tra cui la ripresa di un’opera Demo-crac(z)y (2012) per il festival di Nuova Consonanza, altro esperimento di collective creation a sei mani (le autrici siamo io, Carla Rebora e Roberta Vacca) e un brano a cui sono particolarmente affezionata che verrà eseguito a novembre da mdi ensemble: il mio quartetto d’archi E lentamente prende forma (2020). Mi fu commissionato per un’occasione molto speciale: il concerto del 28 settembre 2020, dedicato al nuovo ponte di Genova San Giorgio, creato dall’architetto Renzo Piano dopo la tragedia del crollo del Ponte Morandi avvenuta il 14 agosto 2018, ispirato alla poesia Litania di Giorgio Caproni e al lavoro del musicista pittore Adalberto Borioli. Il poeta Giorgio Caproni ha cantato con grande amore Genova, la sua “città dell’anima”, con la “verticalità” genovese fatta di “creuze”, salite, rampe, scale, ascensori e funicolari… “Genova di ferro e aria”, sono parole della sua Litania che Renzo Piano non manca mai di citare nelle sue conversazioni pensando al nuovo ponte.

Arnold SchönbergAzio CorghiBruno MadernaCarla MagnanCarla ReboraCarlo Gesualdo da VenosaCarlo SavinaChester Biscardi e Mauricio KagelClaudio MonteverdiDetlev GardnerFabio VacchiFrank ZappaFranz LisztGiorgio GasliniHans Werner HenzeIvan Fedeleivano battistonJohn HarbisonKaija SaariahoLuca FrancesconiLuca MarenzioLuciano BerioLucio GregorettiLudovico EinaudiMarco StroppaNicola SaniNuova ConsonanzaPierre BoulezRenzo CrestiRoberta VaccaSalvatore Sciarrino