Come sono nate tutte queste dimensioni espressive? Rappresentano tante vite parallele o, in qualche modo, sono una rete di vasi comunicanti?
L’idea di vite parallele sarebbe intrigante; in realtà, tutte le mie dimensioni espressive sono una rete di vasi comunicanti. Il perché siano nate in me deriva semplicemente dal fatto che mi annoio. Non intendo dire che non mi piaccia oziare, come qualcuno potrebbe pensare, ma adoro il “non far niente produttivo”, un’arma capace di sviluppare idee. Diciamo, in sintesi, che molto di quello che faccio nasce come “anti noia” e anche questa tua intervista mi terrà distante dalla noia per alcuni momenti, e di questo ti ringrazio.
Hai studiato fisarmonica, pianoforte e composizione, oltre ad aver frequentato seminari e masterclass con importanti personalità del mondo musicale. Cosa puoi dirci degli insegnanti che più hanno segnato la tua formazione?
Mi reputo fortunato anche dal punto di vista degli insegnanti che ho avuto. Durante gli studi accademici, che sono avvenuti in un clima davvero fantastico al Conservatorio Cherubini di Firenze sotto la guida di Ivano Battiston, ho avuto il piacere di frequentare i Seminari tenuti a Talla (AR) da Salvatore di Gesualdo, forse la figura più autorevole, dal mio punto di vista, in campo fisarmonicistico. Per quanto riguarda la didattica per l’infanzia, non posso non menzionare gli studi condotti con te, Patrizia Angeloni, in vari contesti extra accademici: appuntamenti che mi hanno aperto tantissimo la mente e dei quali faccio ancor oggi tesoro. Molto devo anche alla figura del maestro Bruno Coltro, allievo di Gianfrancesco Malipiero, con il quale ho studiato la composizione in una maniera rivoluzionaria rispetto a come si faceva in Conservatorio: lezioni che duravano ore e fatte direttamente sulle composizioni e non solo sulle nozioni dei testi. Devo aggiungere alla lista due maestri “virtuali”, ma onnipresenti nella mia ricerca sonora e interpretativa: Arturo Benedetti Michelangeli e Glenn Gould.
Quali sono le caratteristiche della tua idea di fisarmonica e da quali radici nascono le tue scelte musicali, dall’individuazione di un repertorio alle scelte interpretative?
La mia idea di fisarmonica (e ora non prendermi per folle) è di non avere tra le braccia una fisarmonica. La scommessa, che porto avanti da sempre, è quella di ottenere un suono che si allontani dal suono insito dell’arnese a mantice. Spesso, mi rimprovero di ostinarmi a cercare la purezza di un suono che non otterrò mai. Nei repertori che scelgo e che non sono imposti da richieste di mercato, cerco sempre il minimalismo e l’eleganza, perché credo che il nostro strumento abbia bisogno di superare lo stereotipo di essere considerato uno “strumento da campionati mondiali”.
Tra i tuoi progetti musicali, mi pare che il duo fisarmonicistico dissonAnce, con Gilberto Meneghin, abbia assunto un rilievo particolare…
Il Duo dissonAnce, nato ben diciassette anni fa (il primo concerto risale infatti al 16 gennaio del 2005) insieme all’amico e collega Gilberto Meneghin, rappresenta una certezza e uno dei progetti di vita artistica. La maggior parte della mia carriera fin qui condotta è stata con questo Duo, con il quale abbiamo davvero lasciato un’impronta interpretativa, nonché un’enorme quantità di pagine scritte appositamente per questa formazione, che un giorno, forse, incideremo per intero. Mi piace ricordare, tra tutte le “avventure” vissute con Gilberto, la prestigiosa collaborazione, avvenuta nel 2007, con il Maestro Ennio Morricone, che, con un’ impressionante e rara semplicità, volle, dopo aver ascoltato il nostro primo CD, inviarci una sua versione per 2 fisarmoniche e archi di una composizione, che, in origine, aveva pensato per armonica a bocca e 12 archi. Fu una grande soddisfazione artistica eseguire nella prestigiosa sala della Filarmonica di Trento il suo brano e, al contempo, poter colloquiare al telefono con uno dei miei idoli musicali.
Hai collaborato con diversi compositori, eseguendo in prima assoluta i loro lavori (tra gli altri, il già citato Ennio Morricone, Paolo Ugoletti, Fabrizio De Rossi Re, Tiziano Bedetti, Andrea Talmelli, Fabrizio Festa, Nicola Straffelini, Rolando Lucchi, Francesco Schweizer, Claudio Scannavini, Stefano Bonilauri) e tu stesso sei attivo come compositore. Come vedi l’identità musicale della fisarmonica contemporanea?
La musica contemporanea ha sempre fatto parte della mia attività musicale, e credo che debba continuare ad avere un ruolo di prim’ordine nella cultura di un popolo; ci vorrebbe un incremento cospicuo della sua presenza nelle sale da concerto. La fisarmonica ha in questo campo un ruolo che nessuno si permette di criticare, come potrebbe accadere invece per altri repertori. Ho avuto la fortuna d’incontrare compositori molto incuriositi dalle possibilità timbriche ed espressive della fisarmonica, e nei miei programmi antologici c’è sempre una sezione dedicata alle composizioni che in questi anni ho fatto creare dalla fantasia di questi autori. Rimane tra i miei progetti futuri la voglia di incidere tutte queste pagine. “Forse”, come direbbe Leopardi!
Sono state tutte straordinarie esperienze, che mi hanno aiutato tantissimo a formarmi come musicista. Ho ricordi bellissimi dei momenti trascorsi tra le fila dell’orchestra regionale della Toscana, accanto a musicisti favolosi e direttori di un certo calibro, e lì sentivo che la fisarmonica assumeva un ruolo importante e ne andavo fiero. Ultimamente, sto collaborando con formazioni d’archi più piccole (per esempio gli archi della Cappella Musicale della Basilica di Ravenna o il quartetto d’archi Mascagni di Trento) e vorrei al più presto coronare un piccolo “sogno” che è quello di incidere i tre concerti che Bach aveva composto per 2 clavicembali e archi nella versione per il Duo dissonAnce.
La tua attività concertistica si muove in contesti differenti con differenti organici, tra esecuzioni dal vivo e produzioni discografiche. C’è un filo rosso che connette le varie esperienze?
In realtà, non c’è sempre un filo rosso, che connette le varie esperienze. Nella vita di tutti giorni, alcuni fatti accadono senza l’effettiva ricerca e questo credo che capiti anche nella carriera di un musicista. Certi progetti hanno funzionato molto bene, altri invece hanno fallito e così continuerà a essere. Se dovessi trovare un filo rosso, potrei dirti l’entusiasmo con cui mi prodigo in ogni nuovo progetto artistico.
Osservando lo sviluppo della tua carriera, è evidente un’abilità nella combinazione di programmi musicali con la costruzione di occasioni professionali ed eventi culturali a carattere divulgativo e, allo stesso tempo, artistico: una vera e propria capacità di “inventare” una professione…
L’ideazione e l’organizzazione di eventi artistici è parte integrante della mia attività oramai da parecchi anni e mi ha permesso di poter divulgare i repertori che amo di più. Mi ha consentito di divertirmi con il mio lavoro attraverso la commistione delle varie forme d’Arte che amo alla stregua della musica. Non solo musica, ma la musica accanto alle altre Arti.
Fabbrica del Pensiero è il tuo ultimo progetto di produzione musicale: un titolo importante e ricco di promesse…
Si, Fabbrica del Pensiero è la mia ultima avventura. Si tratta di un’associazione musicale creata con alcuni amici musicisti trentini: Marco Millelli (clarinettista e sassofonista), Beatrix Graf (clarinettista) e Davide Baldo (flautista). Nata da pochissimi mesi, ha già al suo attivo la realizzazione di due piccole stagioni musicali: Quartieri in Musica di Trento e Meditazioni Sonore (interamente dedicata alla musica di Bach) di Valdobbiadene (TV). Ma Fabbrica del Pensiero non è solo un’associazione; è anche un ensemble strumentale, che avuto il suo debutto nel mese di luglio al Festival Enclaves in Spagna. Siamo un gruppo di persone con tantissima voglia di mettersi in gioco, “fabbricando” idee da condividere con chi vorrà farlo con noi.
Roberto Caberlotto scrittore: da dove nasce l’esigenza di trasformare, in ben due libri, i tuoi pensieri personali?
È nato tutto per gioco, lungi da me voler essere considerato uno scrittore. Devi pensare che il secondo libro, Pensando, Pensiamo di Pensare (DBS Edizioni), uscito da pochissimo, è un “gioco” a tutti gli effetti perché gli argomenti dei vari capitoli non vengono mai citati esplicitamente, ma dev’essere il lettore stesso a scoprirlo tra le righe. A fine libro, un racconto dell’immaginario (così l’ho intitolato), svelerà l’enigma degli argomenti, come una sorta di soluzione al libro stesso. Il primo libro, invece, Sono fatto per le cose inutili, sempe per DBS Edizioni, è una raccolta di aforismi, pensieri sparsi sulla musica, la bellezza, l’animo umano, il senso della vita. Un viaggio interiore, che ho voluto condividere e che è scandito dalle immagini in bianco e nero di Diego Landi.
La tua professione principale è quella del musicista. In che modo senti che la scrittura e la passione per la raffinatezza di vini e cibi siano collegati alla musica?
La musica c’è in tutto il mio mondo. Tutto gira su di essa. Ma non può essere solo musica: ho un bisogno viscerale di “confonderla” con tutto il bello che può regalare la vita. Dobbiamo vivere di bellezza, che, per me, è il senso dell’esistenza.
Sei docente di Fisarmonica e Cultura musicale generale: chi è, Roberto Caberlotto insegnante?
Ricordo che, quando nelle carte d’identità c’era lo spazio dedicato all’indicazione della professione, ho sempre usato “musicista” e mai ”insegnante”. Potrei risponderti con una descrizione che un amico imprenditore fece su di me qualche tempo fa: “tu non sei un insegnante, sei un motivatore”. Devo dire che “motivatore” mi piace, e molto, e questo lo posso esprimere con la massima libertà e totale appoggio alle mie iniziative a Trento, presso la Scuola Musicale “Il Diapason”, nella quale “motivo” gli allievi dal 1998.
In chiusura, a un musicista visionario come te non posso non rivolgere questa domanda: nella vita di ognuno, forse, esiste almeno un luogo magico, particolarmente significativo…
Nel mio caso sicuramente sì: Venezia. Potrei stare qui a parlare per ore di questa città che mi ha regalato e continua a donarmi momenti di vita straordinariamente magici. Per capire cos’è per me Venezia posso dirti che, nel maggio 2020, appena liberati dal nefasto lockdown, mi sono precipitato da “Lei”, come a cercare il “bello assoluto” che potesse rigenerare in me la vitalità quasi perduta e cancellare tutti quei mesi bui.