Il 1995 segna l’inizio, o comunque il primo punto di svolta, per la vostra band. Come avviene il passaggio da Folkways a Folkabbestia?
Il passaggio avvenne in maniera naturale e iniziò nel momento in cui iniziammo a comporre canzoni originali. La storia della band nasce da un gruppo ancora precedente che si chiamava Mc and O’, dove suonavamo musica tradizionale irlandese. Del gruppo facevamo parte io (chitarra), Osvaldo Laviosa (violino), Pino Porsia (flauto), Checco Fiore (basso), c’erano poi Roberta Carrieri (voce) e il futuro festeggiato protagonista della canzone La festa di Gigin, Gigi Celestino (percussioni). A un certo punto, Osvaldo decise di creare una costola del gruppo che facesse un folk più rock, stile Pogues, e quindi io, Osvaldo, Checco e Nicola De Liso alla batteria fondammo i Folkways, il cui primo concerto fu il 23 dicembre 1993 al London Pub di Giovinazzo (Bari). Successivamente, arrivò Antongiulio Galeandro da Ostuni alla fisarmonica che portò nel gruppo la musica balcanica che lui ascoltava collegandosi con una radio ad onde medie sulle stazioni radio albanesi. Poi, arrivò Umberto De Palma che portò la sua passione per la musica popolare del sud Italia e infine Luca Basso, un talentuoso scrittore di testi che iniziò a collaborare con noi. Dopo tantissimi concerti e nuove canzoni originali come Tammurriata a mare nero, Breve saggio filosofico sul senso della vita e altre, il 23 dicembre del 1995 i Folkways diventarono Folkabbestia: il primo concerto con questo nuovo nome fu al Centro Sociale di Laterza (Taranto). Scegliemmo questo nome una sera dopo un concerto che andò particolarmente bene, durante il quale l’entusiasmo del pubblico fu tale che alla fine qualcuno di noi, non si è mai capito bene chi, disse: “Ma noi non siamo i Folkways, ma i Folkabbestia!”. E così fu.
Anche il 2003 credo rappresenti un anno chiave, se non per il curioso record raggiunto suonando Stayla Lollo Manna per trenta ore consecutive all’ Auditorium Demetrio Stratos di Milano, almeno per l’ingresso della chitarra elettrica nel vostro gruppo. Quanto ha inciso sulla vostra musica?
Il 2003 avvenne una piccola rivoluzione nel gruppo perché andarono via Michele Sansone (fisarmonica) e Pino Porsia (membro originario dei Mc and O’) che era rientrato nel gruppo nel 2000. Il giorno che andammo a Milano a “Radio Popolare” per suonare per trenta ore di seguito la canzone Stayla Lollo Manna, vennero con noi anche Piero Santoro alla fisarmonica e Simone Martorana alla chitarra elettrica. La trenta ore fu un’esperienza incredibile, ci diede nuova energia anche per la nuova formazione che, con la chitarra elettrica, assunse caratteristiche ancora più rock e più blues.
La collaborazione più clamorosa fu quella con Franco Battiato. Stavamo lavorando al nuovo album di cover e quel giorno incidemmo un provino di Voglio vederti danzare. Casualmente, venimmo a sapere che quella sera Battiato era a Bari per una conferenza, allora avemmo la strampalata idea di raggiungerlo e di lasciargli il provino che avevamo appena realizzato. Questi provini raramente vengono ascoltati, soprattutto da artisti famosi. Invece, il giorno dopo, mentre Battiato ritornava in Sicilia, ascoltò in macchina il brano e ci chiamò immediatamente dicendoci che la nostra versione era più bella della sua! Questo ci fa capire che persona eccezionale fosse Franco Battiato. Qualche giorno dopo, mentre ero in sala d’aspetto dal dentista, mi squillò il cellulare. Il numero era sconosciuto, rispondo al telefono: “Pronto sono Franco Battiato”, stavo svenendo sulla sedia. Ascoltavo Battiato da quando ero bambino e avevo sempre amato la sua musica, il suo mischiare i generi musicali, il suo affrontare la musica leggera con il linguaggio della musica colta e viceversa, oltre alla sua genialità. Incidemmo insieme una canzone di Guccini, L’avvelenata, arrangiata anche con l’aiuto di Finaz della Bandabardò. Credo che questa sia una delle cose più belle che abbiamo mai realizzato.
Nel brano Il segreto della felicità, tratto dall’omonimo album del 2008, cantate “La vita è crederci sempre, divertirsi a cantare un ritornello stonato, una canzone d’amore… la vita è un desiderio che si realizzerà”. Significa che per voi il segreto della felicità è realizzare i propri sogni?
La musica per noi da ragazzi era un sogno, mi rivedo da bambino nel salotto di casa mia che faccio finta di suonare la chitarra e di cantare in uno stadio pieno di gente che mi acclama. Credo sia un po’ il sogno di chiunque faccia musica. Nella vita bisogna avere dei sogni, piccoli o grandi che siano, e bisogna inseguirli sia da bambini che da grandi e non smettere mai, forse è questo il segreto della felicità.
Da U Fricchettone (1998) a Il Fricchettone 2.0 (2019) il passo è… C’è una sorta di evoluzione della band o un significato ancora più ampio, dietro alla versione 2.0 del brano in dialetto barese del 1998?
U frikkettone nasceva originariamente come rielaborazione in dialetto barese della famosissima canzone The wild rover. Questo brano irlandese lo suonavamo a ogni concerto ed era il momento in cui tutto il pubblico partecipava cantando e battendo le mani. Il nostro violinista, Osvaldo, ebbe l’idea di riadattare il testo irlandese in dialetto barese e il “vagabondo selvaggio” diventò, nella versione dei Folkabbestia, u’ frikkettone: un personaggio anticonformista e stravagante che dopo una vita obliqua e randagia decideva di tornare a casa da mamma e papà per ricevere in cambio una buona tazza di tè. Da allora a ogni concerto viene sempre cantata da tutto il pubblico: l’hanno intonata in dialetto barese anche in Bretagna! Abbiamo deciso di celebrarla insieme ai vecchi compagni di viaggio che abbiamo incontrato lungo le vie del folk, facendone una nuova versione completamente diversa dall’originale nel ritmo, nell’arrangiamento e nel testo. Abbiamo unito gli Status Quo con i Dubliners, il rock and roll con il folk irlandese e il risultato è tutto da ballare, l’arrangiamento è forse un po’ vintage ma funziona. Certamente non ci sono più i fricchettoni di una volta, oggi i giovani ascoltano musica trap, chattano su WhatsApp e postano foto su Instagram, però i messaggi dei figli dei fiori del 1969 possono ancora essere attuali. Anche se nel ritornello de Il fricchettone 2.0 diciamo che non ne vogliamo più sapere di fare i fricchettoni, crediamo ancora che un mondo fatto di musica, pace e amore possa esistere: se siamo in tanti a sognare il sogno diventa reale. Fricchettoni di tutto il mondo unitevi! Noi ci crediamo ancora.
Rimanendo nel vostro ultimo album, canzoni come Lo facciamo per voi, in cui riprendete la lotta di Chico Mendes per la protezione dell’Amazzonia dalla deforestazione proiettandola sulla vostra terra d’origine in difesa degli ulivi pugliesi, dimostrano la volontà di trasmettere messaggi di impegno sociale e dare importanti spunti di riflessione seppur con ritmi incalzanti e una buona dose di ironia. Se dovessimo creare una sorta di carta d’identità della band, questo aspetto potrebbe rientrare nei “segni particolari”?
Con Lo facciamo per voi torniamo in Puglia dove, tra tarantella e punk, prendiamo le difese degli ulivi che sono patrimonio fondamentale del paesaggio, della storia e della cultura pugliese. La campagna salentina viene paragonata alla foresta amazzonica e gli agricoltori sono dei novelli Chico Mendes che lottano e si oppongono al disboscamento e all’abbattimento del loro bene più caro. Si potrebbe riassumere così: affrontiamo temi sociali a volte seri e pesanti con l’allegria e la leggerezza di una festa popolare. Le cose importanti le abbiamo sempre dette e cantate con ironia e leggerezza, non abbiamo mai avuto un piglio particolarmente combattivo, ma sempre un po’ scherzoso e scanzonato. La canzone è uno strumento che trasmette non solo messaggi, ma anche emozioni, e le emozioni muovono gli animi: per questo le canzoni in qualsiasi forma siano fatte sono importantissime per risvegliare le coscienze.
La fisarmonica è sempre stata lo strumento che ha caratterizzato maggiormente il nostro sound. È uno strumento antico, popolare, ma noi lo abbiamo sempre utilizzato in maniera particolare, a volte come se fosse un organo Hammond acustico. Il nostro tratto distintivo è suonare musica rock con strumenti folk.
Infine, state lavorando a nuovi progetti?
Abbiamo parecchie nuove canzoni chiuse nel cassetto, alcune solo abbozzate, altre più definite. Dobbiamo solo vederci tutti insieme e dar vita a nuova musica targata Folkabbestia. Appena i tempi saranno maturi lo faremo, speriamo presto. Nel frattempo, siamo in tour, oramai quasi da trent’anni. A volte, ai nostri concerti vengono i fan di vent’anni fa con i figli che apprezzano, anche loro, la nostra musica. Se dopo tutto questo tempo siamo ancora qui, allora, forse, qualcosa di buono l’abbiamo fatto. Sono infinite, santissime e maledette le vie del folk!
(Foto by Francesco Fiore)
Discografia:
Breve saggio filosofico sul senso della vita, 1998
Se la rosa non si chiamerebbe Rosa Rita sarebbe il suo nome, 2000
Non è mai troppo tardi per avere un’ infanzia felice, 2003
Perché (44 date in fila per 3 col resto di 2), 2005
25-60-38 Breve saggio sulla canzone italiana, 2006
Il segreto della felicità, 2008
Girano le pale, 2010
Giramondi, 2017
Il fricchettone 2.0, 2019