Quando Sofija Gubajdulina incontrò la fisarmonica (5^ parte)

Varcare la soglia del sacro

Le “Sette parole” neotestamentarie e i sette movimenti dell’omonima partitura di Sofija Gubajdulina rappresentano altrettanti gradi del tormento di Cristo in Croce, fino alla Redenzione. In ciascuno di essi ricorre la citazione dell’oratorio di Heinrich Schütz [1], che costituisce una sorta di ritornello dell’opera.

Il primo movimento, Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno, indaga musicalmente il Cristo che invoca la comprensione per coloro che lo hanno crocifisso. Il “motivo della crocifissione” è esposto da violoncello e fisarmonica, che gemono e sospirano.

La seconda parte, Donna! Ecco tuo figlio. Giovanni, ecco tua madre, in cui Gesù, preoccupato per ciò che accadrà a sua madre dopo la propria morte ne affida le cure a Giovanni, vede crescere la forza drammaturgica dei due strumenti solisti, che, solamente in chiusura, lasciano spazio alla coralità dell’orchestra d’archi. La terza parola/movimento è In verità ti dico: oggi sarai in Paradiso con me. Cristo, rivolgendosi al ladrone, proclama la salvezza degli uomini. La linea melodica/narrativa del violoncello (il Dio-figlio) è spezzata dai sospiri dolenti della fisarmonica (Dio-padre) [2]. Torna, in coda, il tema degli archi che “è come isolato dalla musica dei tormenti terreni, […] offerto come una voce di salvezza celeste che risuona poco lontano”[3].

La quarta parola: Mio Dio, Mio Dio, perché mi hai abbandonato? è centrale, culmine del “percorso” di Cristo e cuore dell’opera di Gubajdulina per rilievo e durata (circa nove minuti, oltre il doppio del più lungo degli altri movimenti, il quinto). Qui, in coda, oltre agli armonici naturali e artificiali, si manifesta una delle invenzioni di Vladimir Toncha per tradurre in suoni l’idea della crocifissione espressa da Gubajdulina: i flirrende Akkorde, gli accordi “baluginanti”, ottenuti con “l’avvicendarsi di tremoli appena accennati”[4].

Nel quinto movimento, Ho sete, il ruolo della imitatio crucifixionis è affidato a Fridrich Lips, che porta il bayan a sorprendenti glissando – mentre sostiene in posizione statica una seconda nota – e che ripropongono gli effetti del violoncello. Un passaggio che conferma l’incessante ricerca di affinità sonore tra questi due strumenti così differenti (Valentina Cholopova) e che prepara il culmine drammatico della morte di Gesù nella sesta parola: Tutto è compiuto. In questo penultimo movimento il “respiro” della fisarmonica si fa gravoso, mentre sale la linea melodica dell’orchestra d’archi. Il fiato spezzato sembra trasformarsi in grida scomposte, sopraffatte dalla “crocifissione” della quarta corda del violoncello. In coda, l’archetto del violoncello si sposta verso il ponte fino ad oltrepassarne il limite nell’apertura e per l’intera durata della settima parte (Padre, nelle tue mani raccomando il mio spirito) simboleggiando, così, l’abbandono della vita terrena. Il dialogo tra il violoncello e la fisarmonica si fa sempre più serrato fino a fondersi – anche con l’orchestra d’archi – in un pianissimo gioioso. Gradualmente, il suono degli archi va scemando, mentre continua quello dei due strumenti solisti. Infine, quella del violoncello resta l’unica voce udibile, nell’attesa della Salvezza. L’ininterrotto crescendo di tensione, presupposto tematico dell’opera dispiegato nel corso di sei movimenti, dunque, si spezza.

In Sette parole l’espansione stilistica di Sofja Gubajdulina tocca i limiti estremi della storia musicale europea: dalla monodia del canto gregoriano alle più ardite sperimentazioni del XX secolo, che nella sua musica diventano ramificazioni dello stesso albero.

 

[1] https://www.strumentiemusica.com/fisarmonica/quando-sofija-gubajdulina-incontro-la-fisarmonica-4-parte/
[2] Idem.
[3] Valentina Cholopova, “Parte seconda. Le opere”, in AA. VV., Gubajdulina, a cura di Enzo Restagno, Torino, EDT, 1991, p. 184.
[4] Ibidem, p. 185.

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