Francesca Caccini e “La Liberazione di Ruggero dall’Isola di Alcina”

La prima forma di Dramma in Musica italiano rappresentato all’estero

Molti storici sono concordi nell’affermare che durante il Rinascimento la condizione delle donne fosse addirittura peggiore rispetto al Medioevo. Le generalizzazioni non sono mai utili per una più realistica comprensione della macro e micro storia dell’umanità, perché, per esempio nell’ambiente di Corte, spesso godettero di libertà e riconoscimenti impensabili per una donna, come fu il caso della famosa compositrice Francesca Caccini (Firenze 1587 – ? 1645) la quale, alla morte del padre, compose una prima forma di dramma in musica, La liberazione di Ruggero dall’Isola di Alcina, la prima Opera italiana rappresentata all’estero, presso la corte di Varsavia; seguono a lei molte altre talentuose compositrici cancellate nella storiografia, stimate e recensite dai propri contemporanei, e solo alcune oggi riscoperte: Barbara Strozzi (Venezia? 1620 – ?) Maddalena Casulana (Casale D’Elsa 1540 – 1586?), Leonora Orsina (Firenze ?), Vittoria Aleotti (Ferrara 1573 – 1620); contemporaneamente, la musica era studiata nei conventi, luoghi, quest’ultimi, ricchi di innovazioni creative, seppur all’interno di canoni e dogmi religiosi; in questo ambito emerge una grande compositrice italiana, Suor Isabella Leonarda (Novara 1620- 1700).

Tra il Cinquecento e il Seicento, sempre più donne, delle classi sociali privilegiate, ebbero accesso all’istruzione: in questo periodo fioriscono poetesse, letterate, artiste, compositrici. L’attività dinamica e competitiva tra le corti italiane ed europee, tra salotti culturali e celebrazioni festive, furono spesso patrocinate da nobildonne, governatrici e regine. Tra le più famose Vittoria Colonna promosse il mecenatismo, a sua volta poetessa e musicista, e a Firenze la grande influenza di Cristina di Lorena e di Maddalena D’Austria, di Isabella d’Este a Mantova, e della grande Cristina di Svezia a Roma.

Sorprende che Giulio Caccini venga ricordato come esponente di spicco della camerata dei Bardi, ma che della figlia, assai più geniale del padre, Francesca Caccini, non si trovi traccia nella manualistica più utilizzata nei conservatori italiani, quando invece è ampiamente presente nelle enciclopedie e nella saggistica, in primis con lo studio musicologico di Suzanne G. Cusick.

Francesca Caccini nacque a Firenze nel 1587, fin da giovanissima di distinse come cantante, tanto che all’età di venticinque anni formò nel Palazzo Pitti un complesso vocale femminile, di cui era la direttrice. Fu istruita alle lettere, tanto da scrivere poesie in latino e nella lingua volgare, apprese le lingue straniere, in particolare cantava in francese e spagnolo. Aprì una scuola di canto, e dal 1619 già si parlava delle sue discepole. Suonava il liuto, il chitarrineto e il clavicembalo e all’età di diciotto anni iniziò a comporre.

In un secolo di così elevato livello artistico, il caso di cantanti che fossero anche compositrici non era raro, anche fra le donne; nel Cinquecento e nel Seicento, non ci fu dama o cortigiana che non scrivesse sonetti o che non fosse in grado di comporre madrigali e canzonette, ma assurgere da questo semplice esercizio così diffuso alla creazione di opere più complesse da parte di una donna, fu un caso singolare.

Nel 1607, Caccini entrò ufficialmente al servizio della corte e divenne la musicista più pagata: passò dai 10 ai 20 scudi mensili. In virtù della fama di virtuosa si esibì nei momenti più solenni a Palazzo Pitti, specialmente in occasione di visite di illustri personaggi, al di fuori della Toscana in lunghe tournée, al termine delle quali rientrava sempre a Firenze, costretta da un vincolo professionale ormai inscindibile, ereditato dalla tradizione familiare, che le imponeva di rimanere presso i Medici. Anche i Gonzaga tentarono di averla alla propria corte, ma il Granduca non volle assolutamente acconsentire e inviò la sorella della Caccini, Settimia. Francesca fu attivissima negli spettacoli di Corte, partecipando alle esecuzioni di musiche sacre che si tenevano nella Chiesa di San Nicola di Pisa, luoghi interdetti alle donne per esibizioni pubbliche. Interpretava musiche di ogni stile, dal sacro al profano, polifoniche e monodiche.

La Cecchina, come poi fu solito chiamarla e ricordarla, viene definita come donna di grande cultura, sensibile, di un carattere forte, esuberante, insolito, forse tipico di un’altrettanto insolita genialità. Il soprannome “Cecchina” fu tanto usuale da essere tradotto in latino nell’iscrizione didascalica “Cechine Pulchritudinis Immortalitati”, posta su un medaglione marmoreo con il suo ritratto (presso il palazzo Rospigliosi a Pistoia). Nel medaglione si vedono i tratti di una bella donna, con un profilo greco, dallo sguardo pensoso e forme opulente.

Caccini scrisse madrigali, ballate, variazioni, musica per voce e un melodramma [1]. La sua produzione comprende un ricco repertorio di pezzi per voce sola e basso continuo, che cercano di approfondire la sperimentazione delle possibilità della voce umana attraverso una ricca linea melodica. Il suo Primo libro delle musiche a una e due voci, pubblicato nel 1618 [2], lo si può considerare un documento pedagogico di quello che, nell’ambiente mediceo, una donna dotata di un grande genio musicale poté concepire e insegnare alle proprie allieve [3].

In linea con una politica di sfarzosa ostentazione e promozione culturale della corte medicea, Francesca musicò libretti d’opera e feste teatrali. Nel repertorio teatrale possiamo annoverare Il ballo delle zingane, un balletto rappresentato a Palazzo Pitti nel carnevale del 1615, del quale Francesca curò anche l’allestimento, e il melodramma La liberazione di Ruggiero dall’isola di Alcina, ispirato alle vicende dell’omonimo personaggio dell’Ariosto.

Si sposò con il cantante Giovan Battista Signorini, ma questo matrimonio sembra non aver avuto grande importanza nella sua vita “essendo essa stipendiata dai Medici parve opportuno di accasarla con un cantante della corte che, del resto, era uomo di scarsa genialità, faceva parte della musica da camera e guadagnava 13 scudi al mese” [4].

Nel 1621, Francesca Caccini dà alla luce la sua prima figlia, Margherita, destinata anche lei a divenire una famosa cantante.

Resta agli occhi dei contemporanei assai stravagante il fatto che dal 1622 Caccini iniziò a firmarsi con il cognome del marito Signorini-Malaspina, trascurando il glorioso cognome del padre, sembra a favore di un’ambizione araldica, abbastanza comune fra le virtuose. Viaggiò in tournée, accompagnata spesso dal marito, per le corti italiane ed europee, rappresentando a Varsavia, in onore del principe ereditario polacco Ladislao Sigismondo, la sua prima opera composta nella forma del melodramma: La liberazione di Ruggiero dall’isola di Alcina [5], e che porterà la dedica al futuro re. La messa in scena fiorentina del 1625 in occasione della visita del futuro re di Polonia Vladislao IV colpì tanto favorevolmente l’ospite, che, in seguito, egli volle riproporre lo spettacolo dinanzi alla propria corte con una compagnia di artisti italiani. È la prima opera italiana a essere rappresentata all’estero e rappresenta l’origine del melodramma. Francesca Caccini compose quest’opera in seguito alla morte del padre, utilizzando la tecnica del contrappunto, contro le convinzioni paterne: Giulio Caccini non aveva appoggiato in alcun modo lo sviluppo del contrappunto considerando la monodia una forma pura, sul modello della musica greca, e dunque superiore a ogni altra tecnica compositiva. La Caccini, invece, costruì una partitura estremamente varia, alternando parti corali con duetti, terzetti, recitativi.

La liberazione rientrava nell’ambito degli spettacoli musicali-teatrali della tradizione medicea, definiti Balletti, intesi esplicitamente a provocare, secondo un’intenzione “performativa”, un cambiamento nel pubblico per mezzo della relazione teatrale. I soggetti pastorali e cavallereschi erano spesso ripresi dai poemi di Tasso e di Ariosto. In special modo, alcuni spettacoli dovevano provocare sensazioni di meraviglia e stupore rispetto ai sovrani medicei, e indurre le élites che vi partecipavano a sostenere la politica degli stessi regnanti. Il finale tripartito mette in scena la progressiva liberazione delle donne che il potere malefico della maga ariostesca Alcina aveva precedentemente trasmutato in piante; poi degli uomini anch’essi trasmutati in piante; e, finalmente, dell’intero pubblico, chiamato ad alzarsi dal proprio posto e ricomporsi come pubblico alle finestre e sui parapetti di Poggio Imperiale, da dove guardavano il numero finale di danza, un balletto a cavallo. Nessun presente poteva evitare di cogliere il momento in cui gli spettatori erano stati modificati dallo spettacolo che avevano visto e sentito —poiché avevano dovuto forzatamente cambiare la loro prospettiva. Uno di questi momenti è, per esempio, la scena del lamento corale delle piante, quando degli esseri, che il pubblico presupponeva non avessero né soggettività né voce, irrompono in una canzone di denso contrappunto di un tale pathos miniaturizzato che la si poteva facilmente interpretare anche come allusione alla condizione dell’aristocrazia fiorentina vincolata dai rituali di corte; oppure come la condizione delle donne costrette a calarsi entro apparenze scelte da altri.

La Liberazione, infatti, è un mondo tutto al femminile, dominato da due potenti maghe: la severa Melissa – restauratrice dell’ordine morale – e l’appassionata Alcina, che difende un affascinante e irreale mondo armonioso. Alcina si traveste da Atlante per strappare Ruggero dagli incanti di Melissa, trasformata in una bellissima regina.

È bene ricordare che in quegli anni la corte medicea era dominata da due donne, Cristina di Lorena e Maddalena d’Austria, fortemente sensibili alla predicazione gesuitica e dunque il ruolo di Melissa e della moralità che rappresentava era sicuramente benvisto.

La Caccini sembra invece voler ridimensionare l’intento moraleggiante della Favola, togliendo a Melissa la sentenza finale contro i “vani desiri” e i “vil riposi”, che avrebbe dovuto concludere la rappresentazione, eliminando nella partitura l’ultima entrata di Melissa, che sia per forma che per contenuto avrebbe cancellato l’effetto festoso del ballo a cavallo. Anziché utilizzare i versi sentenziosi di Melissa, la Caccini fece intonare un inno “Al diletto, al gioire”.

Eppure, nonostante la fama e il successo già nel 1700, la Cecchina cadde nell’oblio e viene talvolta ricordata solo come cantante. Lodata da Monteverdi, che riconosce in lei una maestra, ammirata da celebri letterati e poeti come Pietro della Valle, Ottavio Rinuccini, Gabriello Chiabrera. L’Ottocento, secolo in cui si sviluppano la storiografia e la musicologia, sarà il secolo della riscoperta della Caccini. Nel 1847, la sua persona e la sua arte vengono rievocate in un articolo pubblicato nella “Gazzetta Musicale di Milano”. L’Ambros nella Storia della Musica ne scrive con profonda ammirazione: “Francesca era un genio, essa aveva l’ispirazione musicale anche più del suo celebre padre e nella sua opera ha eretto un monumento veramente fastoso al suo straordinario talento”. Romain Rolland la colloca al di sopra su tutte le donne compositrici conosciute nella storia della musica.

Non ci sono documenti che testimonino la data della morte di Francesca Caccini; si ipotizza che morì nel 1645, anno in cui passò allo zio del marito la patria potestà del suo secondo figlio. La sua tomba si trova a San Michele Visdomini, accanto a suo padre e alla sorella Settimia.

Come spiegare la sua assenza dalla memoria del nostro presente?

A Francesca Caccini è stato dedicato un cratere sul pianeta Venere, ma le sue composizioni cadono vittime del pregiudizio che ne ha impedito la conoscenza e che a tutt’oggi ostacola una più ampia diffusione delle sue opere. In Italia, a distanza di quasi quattrocento anni, la direttrice d’orchestra Elke Mascha Blankenburg fondò a Roma l’Accademia Europea “Francesca Caccini”, dirigendo, nel 1994, La Liberazione nell’ambito del “Festival Musicale di Montepulciano” e, nel 2001, pubblicò il cd dell’opera con Leonarda Ensemble; nel 2016, Elena Sartori torna a eseguirla con una produzione discografica e, dal vivo, nel 2017, durante il Festival “Ombra Illuminata” presso il Conservatorio Piccinni di Bari.

 

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Milena Gammaitoni, sociologa, è professoressa associata di Sociologia Generale presso l’Università di Roma Tre, Dipartimento di Scienze della Formazione. I suoi temi di studio riguardano la questione dell’identità, il ruolo sociale delle artiste e degli artisti, le migrazioni, la metodologia della ricerca sociale. Insegna Sociologia delle arti all’Università Roma Tre, alla “Università Jagellonica” di Cracovia, e presso l’“Université d’Évry” di Parigi.

 

Opere di Francesca Caccini

Il primo libro delle musiche a una e due voci (1618)

“Dove io credea” in Constantini Ghirlandetta amorosa (1621)

“Ch’io sia fidele” in Robletti Le risonanti sfere (1629)

Per Rinuccini La mascherata delle ninfe di Senna (1611)

Per Buonarroti La Tancia (1611), Il passatempo (1614) La fiera (1619)

Per Ferdinando Saracinelli Il ballo delle Zingane (1615)

Per Jacopo Cicognini  Il martirio di S. Agata (1622)

La liberazione di Ruggiero dall’isola d’Alcina, (1625)

 

Bibliografia

Suzanne G. Cusick, Francesca Caccini at the Medici Court: Music and the Circulation of Power, 2009
Arnaldo Bonaventura, Almanacco della donna italiana, Bemporad, 1933

Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti a cura di Alberto Basso, Le Biografie, UTET, Torino, 1985.

Patricia Adkins Chiti, Almanacco delle virtuose, primedonne, compositrici e musiciste d’Italia, De Agostini

Milena Gammaitoni, Storie di vita di artiste europee, dal Medioevo alla contemporaneità, Cleup, Padova, 2013; trad. inglese Springer, Zurich, 2022.

Karin Pendle, Women and Music, a History, Indiana University Press, 1991.

Evelyne Pieller, Musique Maestra, Le suprenant mais nèanmoins vèridique rècit de L’histoire des femmes dans la musique du XVII au XIX siècle, Edition Plume, 1993.

Quaderni dell’Accademia Chigiana, IV, Matteo Glinski, La Prima Stagione Lirica Italiana all’Estero, Ticci Editore Libraio, Siena, 1943.

La Cultura Musicale, Fascicolo I-II, Bologna, 1922.

La Rassegna Musicale, Numeri IV-V, Il Pianoforte, 1940.

The New Grove Dictionary of Music and Musicians, Edtited by Stanley Sadie, Mac Millan Publishers, London, 1980.

Dizionario Biografico degli Italiani, a cura di Alberto Ghisalberti, Istituto Enciclopedia Italiana, Roma, 1973.

 

Ascolto

Cfr., “Una musicista fiorentina del seicento, Francesca Caccini”, di M.G. Masera, in La rassegna Musicale, V, pag. 197.
[2] La Caccini in questo libro riunisce 36 musiche composte in diverse date a partire dalle sue prime composizioni: si tratta di sonetti, arie, sacre e profane, madrigali, canzonette. Il Primo Libro si apre con un sonetto spirituale, costruito ancora interamente sui modelli della Camerata dei Bardi: vi è una melodia sola che si ripete per tutte le strofe, l’uso di consuete formule armoniche rivela l’inesperienza di chi è alle prime armi e non ha ancora trovato la propria strada compositiva. I Madrigali e le Arie offrono invece schemi compositivi differenti da quelli più diffusi allora; in particolare nelle Canzonette emerge la tendenza compositiva al Melodramma.
[3] La maggior parte delle testimonianze suggeriscono che la collezione aveva un intento pedagogico, volto a insegnare un’ampia gamma di tecniche di esecuzione necessarie per diventare musica, ovvero di una musicista completa, eccellente anche nell’improvvisazione. Gli assolo e i duetti della collezione introducono queste abilità nel convenzionale ordine pedagogico di allora; il controllo del respiro, l’auto-accompagnamento, l’uso di ornamenti per enfatizzare la grammatica, la sintassi, il contenuto emozionale di un testo poetico cantato, e così via, sono enfatizzati in una progressione graduale attraverso esempi di tutti i generi poetici pertinenti.

Cfr. Suzanne G. Cusick, Francesca Caccini (1587-c1646:) questioni per una biografia tra gender e musicologia, in “Teatro e storia”, n. 28, marzo 2008.
[4]Op. cit. pag. 194.
[5] L’opera fu ispirata ai canti VI, VII,VIII dell’Orlando Furioso di Ariosto. Inizia con una sinfonia a quattro parti di andamento dapprima solenne e poi più spigliato. Nel Prologo i recitativi di Nettuno e della Vistola (due tenori) sono intramezzati da un breve ritornello strumentale, anch’esso a quattro parti reali, con movimenti contrappuntistici, che si ripetono quattro volte. Ogni brano ha una certa concatenazione melodica con il precedente. L’opera si conclude festosamente con un ballo di otto dame e otto cavalieri e un ballo a cavallo. La liberazione di Ruggero dall’isola di Alcina, scritta nel 1625, è oggi custodita in due soli esemplari, presso la Biblioteca di Santa Cecilia e presso il Conservatorio di Parigi. Nello stesso periodo scrisse Rinaldo Innamorato, rimasto manoscritto e di cui oggi non si ha più traccia.

Barbara StrozzichitarrinetoClaudio MonteverdiClavicembaloFrancesca CacciniGiovan Battista SignoriniGiulio CacciniLeonora OrsinaLiutoMaddalena CasulanaSuor Isabella LeonardaVittoria Aleotti