Un’eccezionale concentrazione di opere orchestrali femminili

1° maggio 1893: il Woman’s Building alla World’s Columbian Exposition di Chicago

Le celebrazioni della scoperta dell’America, a quattrocento anni dall’impresa di Cristoforo Colombo, furono allestite con straordinario fasto e profluvio di mezzi a Chicago, città scelta dopo mesi di contese tra i maggiori centri urbani statunitensi. Promossa a simbolo di una nazione in fervido sviluppo economico, industriale e artistico, la città fu designata a mostrare all’Europa e al mondo intero il vigoroso e polivalente dinamismo con cui in pochi anni aveva realizzato l’espansione economica e urbanistica. Nel secolo delle grandi Esposizioni universali (dalla prima grandiosa del 1851 al Crystal Palace di Londra) [1], che di volta in volta, di città in città, ingigantivano le proprie dimensioni e l’ambizione decorativa degli spazi espositivi in una virtuosa competizione, la World’s Columbian Exposition voleva essere la risposta americana alla recentissima e apparentemente inarrivabile Exposition Universelle di Parigi del 1889 – in cui per intenderci vennero edificati il Salon des Machines e la Tour Eiffel. Se già numerose erano state le World fairs allestite in varie città degli States, l’avvento di un anniversario simbolico come quello della scoperta dell’America si annunciava speciale, e si coltivava l’ambizione di far rifulgere l’enorme cammino verso il progresso fatto dal Nuovo Continente consacrando allo stesso tempo il suo legame con il Vecchio.

Tali premesse diedero vita a un’impresa di costruzione a dir poco imponente, che si concretizzò nell’edificazione su un’area di 280 ettari di uno spazio espositivo in scala urbana, di una vera cittadina, con edifici, parchi, fontane, ponti, divenuta poi il modello della cosiddetta “White City” americana, nell’immaginario collettivo la “città del futuro”, del secolo che sarebbe iniziato di lì a poco [2]. La complessità della sua strutturazione e costruzione non ne consentirono l’apertura nell’anno deputato bensì in quello successivo, e l’evento inaugurale che spalancò le porte dell’immensa Fair a un pubblico estasiato dalla magnificenza degli allestimenti e dalla visione dei più moderni risultati che il genere umano avesse prodotto nei settori della tecnologia, dell’agricoltura e dell’arte, fu il 1° maggio del 1893.

Nel 1890 il presidente Benjamin Harrison, dopo aver proclamato Chicago sede ufficiale della Fiera, promulgò un atto che ne stabiliva la regolamentazione. In esso si determinava che in aggiunta alle tante Commissioni preposte agli allestimenti fosse creato un comitato (Board) di Lady Managers, incaricato di conferire premi ai manufatti artistici femminili nelle varie categorie “… which may be produced in whole or in part by female labor”[3]. Il mandato fu preso molto seriamente dall’influente patronessa Bertha Honoré Palmer, moglie di un ricco industriale e generoso finanziatore dell’Esposizione (nonché imparentata con il figlio dell’ex presidente Grant), che avviò un’ostinata battaglia personale per ottenere la costruzione di un edificio distaccato, interamente destinato all’esposizione dei lavori femminili; l’idea prese corpo e diede vita al progetto di quello che sarebbe divenuto il Woman’s Building, commissionato all’architetta bostoniana Sophia Hayden che lo disegnò in stile veneziano. Oltre alla giovane architetta, che appena ventitreenne dovette confrontarsi con un compito colossale [4], spiccarono tra le maestranze femminili Candace Wheeler, figura di grande prestigio, direttrice del New York Bureau of Applied Arts, incaricata di decorare lo spazio interno dell’edificio di cui disegnò arredi e mobilia, e numerose pittrici, scultrici e illustratrici tra cui sua figlia Dora che affrescò il soffitto della sontuosa Library, e le sorelle Rosina e Lydia Emmet che contribuirono ai numerosi dipinti e affreschi esposti dell’enorme Hall of Honor [5].

L’accurata indagine svolta da Jeanne Weimann [6] descrive tuttavia la faticosa genesi del progetto e il “dietro le quinte” di un processo che subì a varie fasi un’accesa censura da parte dei molti patron, contrari all’edificazione di un edificio separato. Non si voleva in primis offrire all’operato delle donne uno spazio “dedicato”, poiché molti manufatti prodotti da mano femminile in svariati settori, da quelli industriali a quelli agricoli o meccanici, erano già esposti in altri edifici della fiera; peccato però che venissero attribuiti ad artefici “uomini” senza alcun riconoscimento alla componente creativa delle donne. Fu ancora una volta il tenace intervento di Bertha Palmer a convincere della necessità di uno spazio a sé, che desse visibilità alle tante artiste talentuose ma intimidite dal contesto, incapaci di contrapporsi all’andazzo prevaricante delle Commissioni in un sistema per tradizione abituato a favorire il sesso maschile. In aggiunta il Woman’s Building, una volta edificato, fu soggetto a sprezzanti critiche di stampo sessista, allusive al carattere “mediocre ed effeminato” della costruzione, cui Palmer oppose ancora una volta la strenua difesa dell’estetica dell’edificio (che si guadagnò anche un premio dalla giuria). Ma la giovane Sophia Hayden fu così duramente provata dagli ostacoli e dalle severe critiche con cui dovette confrontarsi, che dopo l’esperienza della Fair abbandonò per sempre la professione di architetta.

Eppure, nonostante le contraddizioni di un contesto così sfaccettato il Woman’s Building divenne un importante avamposto nel processo di emancipazione delle donne americane, perché la visibilità data all’operato e alla creatività del gruppo rappresentato alla Fiera diede un forte impulso alla professionalizzazione delle pratiche artistiche e culturali. Sede di mostre, conferenze e incontri, non da meno la Columbian Exposition rappresentò una tribuna d’onore per le musiciste, interpreti e soprattutto compositrici, che in varie occasioni celebrative vennero invitate a presentare opere corali e orchestrali a un pubblico incuriosito ed eccezionalmente vasto, come mai prima si era verificato nella storia del Paese.

Il 1° maggio 1893 l’inaugurazione della Columbian Exposition fu celebrata nella Hall of Honor del Woman’s Building, dopo un solenne discorso tenuto da Bertha Palmer, con l’esecuzione di tre grandi lavori corali e orchestrali, ovvero la Grande Marcia della compositrice svedese Ingeborg von Bronsart, la Dramatic Overture dell’inglese Rosalind Ellicott e il Festival Jubilate op. 17, brano già commissionato l’anno precedente per l’anteprima delle celebrazioni alla venticinquenne Amy Marcy Beach, grande promessa della musica americana, ma poi espunto dal programma. I lavori vennero eseguiti dalla Exposition Orchestra, composta da membri della Chicago Orchestra e dal World’s Fair Choir, diretti da Theodore Thomas [7] secondo un programma accuratamente ideato dalla stessa Palmer. Nel corso dei successivi tre mesi vennero eseguiti altri quattro lavori orchestrali, dalla stessa orchestra ma in altri padiglioni della Fiera, e cioè A Summer Song di Helen Hood, la Witichis Overture di Margaret Ruthven Lang, lo sketch sinfonico Titan composto dalla granduchessa russa Alexandra Josiphovna e il poema sinfonico Irlande della compositrice francese Augusta Holmès. Il carattere dei brani testimonia anche la necessità di inserire nei programmi compagini musicali imponenti, atte a raggiungere acusticamente un pubblico vastissimo in sale o spazi presumibilmente enormi. A ciò contribuì indubbiamente la fondazione, risalente al precedente decennio quindi recentissima, delle orchestre di Boston (1881) e Chicago (1891), il cui standard esecutivo cresceva di anno in anno grazie alla presenza di direttori d’orchestra europei, per lo più tedeschi che, come nel caso di Thomas, si recavano in America dapprima in tour per poi stabilirvisi.

Difficile a tutt’oggi rintracciare, nella storia del concertismo, una tale concentrazione di opere orchestrali femminili; l’eccezionale dispiego fu senz’altro favorito dalla grandiosità richiesta a ogni evento programmato nell’Exposition, che rivelò la professionalità di molte compositrici americane e di un nucleo di europee alle quali la tribuna fu estesa – lo scopo implicito di ogni manifestazione era infatti di sottolineare ed esaltare l’internazionalità degli eventi (il breve, e parziale, elenco che ne daremo testimonierà la presenza di compositrici inglesi, francesi e tedesche).

Ma inevitabilmente, in un momento storico in cui il dibattito sull’accesso delle donne agli studi di composizione, territorio per tradizione a esclusivo appannaggio maschile, era animato da una prevalenza di opinioni negative o scoraggianti, la ricezione dei brani femminili eseguiti alla Fair fu a dir poco alterna; commentati a più riprese sui giornali dell’epoca, che davano abbondante spazio ai tanti eventi che si succedevano (conferenze, mostre d’arte, dimostrazioni scientifiche, assegnazione di premi e, naturalmente, concerti), si assisté prevedibilmente a uno sfoggio di critica prevalentemente sessista, che valutava i lavori in un’ottica comparativa, solo in relazione a quelli maschili, attraverso commenti spesso avulsi da un giudizio oggettivamente estetico. Dopo l’esecuzione della Dramatic Overture di Frances Ellicott [8], per esempio, il “Musical Courier” scrive: “It is a vigorous and festive opus, and it in no wise betrays the feminine touch. As a work of art, however, it merits but little further comment”.

Anche le critiche positive alludevano a un’estetica preminentemente di genere, come si legge nell’opinione espressa dal pur progressista scrittore e regista Rupert Hugues, che scrive a proposito di un brano di Margaret Lang: “I see in Miss Lang’s compositions such a depth of psychology that I place the general quality of her work above that of any other woman composer. It is devoid of meretriciousness and of any suspicion of seeking after virility…”

Il caso di Amy Beach, sulla quale avremo modo di soffermarci più a lungo in una seconda parte del nostro approfondimento, merita speciale attenzione. La giovane aveva avuto un brillante e precocissimo esordio con la composizione della Messa op. 5, cimentandosi a soli diciannove anni con un lavoro di enorme portata, che dopo tre anni di lavoro fu eseguita nel 1892, raccogliendo grandi consensi e diffusa eco sulla stampa. In virtù della fama acquisita e del sostegno che le veniva dalla scuola bostoniana [9], la giovane aveva ricevuto una commissione, unica compositrice a ottenerla, per il Festival Jubilate; il brano, sottoposto ai membri della Commissione valutatrice, fu criticato, tanto che ne cancellarono l’esecuzione nell’ottobre 1892, data prevista per una prima cerimonia inaugurale. La querelle sul brano vide contrapporsi il Bureau of Music e il Board delle Lady Managers; il primo fu rappresentato da William Tomlins, direttore del coro della Fiera che, pur essendo stato il principale mentore di Beach, sostenne che il brano mancava di profondità e di maestà. Ne riporta le parole Bertha Palmer: “he has so much respect for woman and such high ideals of womanhood that he cannot bear to think of the effect that will be produced by this most inferior performance”. La stessa Palmer, però, con innegabile tenacia usò tutto il proprio potere perché il brano fosse poi inserito nel programma dell’inaugurazione al pubblico, il 1° maggio 1893; forte segnale, questo, che illustra quanto il patronato femminile e la filantropia siano stati fondamentali negli anni precedenti al femminismo per l’avanzamento delle istanze di emancipazione e professionalizzazione delle donne.

Ma il Festival Jubilate non fu il solo lavoro di Amy Beach a essere eseguito, in quanto la nota Romanza per violino e pianoforte op. 23, tra le sue opere cameristiche più amate, venne suonata dalla stessa compositrice e dalla famosa violinista e amica Maud Powell in occasione del Women’s Musical Congress, che si tenne nello spazio della Fiera tra il 5 e il 7 luglio. Per quella stessa occasione i documenti danno conto di molti altri lavori cameristici e soprattutto vocali di compositrici, tra le quali spiccano l’inglese Clara Kathleen Rogers (1844-1931), presente con molte delle sue songs, la celebre compositrice francese Cécile Chaminade e molte giovani americane. Come anticipato ne riportiamo un elenco parziale, con il titolo dei brani a noi pervenuti.

 

Presenze musicali al Women’s Musical Congress, 5-7 luglio 1893

Genevra Johnston Bishop (1857-1823), apprezzata soprano americana: Entreaty;

Julia Lois Caruthers (1867-1948): autrice di numerosi brani e songs per bambini;

Adele Lewing (1866-1943), compositrice e pianista tedesca residente a Boston: Scherzino, Wandering Waves, French Suite, Greeting, Wanderer’s Night Song e Springtime;

Cecile Chaminade (1857-1944), celeberrima compositrice francese: Rosemonde e Summer Song, Amour d’Automne;

Gertrude Griswold (1861-1912), cantante e compositrice americana: What the Chimney Sang;

Helen Hood (1863-1949), pianista, compositrice e insegnante di Boston: Shepherdess, The Violet, Expectation;

Clara Kathleen Rogers (1844-1931), famosa compositrice inglese, naturalizzata americana: Ah, Love, But a Day, Summum Bonum, Out of My Own Great Woe e Apparitions;

Eleanor Sophia Smith (1858-1942), compositrice e educatrice americana, tra i fondatori della Hull House di Chicago: The Quest;

Hope Temple (1859-1938), pianista e compositrice irlandese: You Called to Me;

Kate Vannah (1855-1833), compositrice, pianista e organista americana: Good-bye, Sweet Day;

Maude Valerie White (1855-1937), celebre compositrice inglese: Ici-bas, Temple, Auf Wiedersehn, The Throstle;

Mary Knight Wood (1866-1943), Boston: Thou e Ash.

 

Il Women’s Musical Congress, primo in assoluto nella storia americana, fu organizzato da Rose Fay Thomas [10], seconda moglie del direttore d’orchestra Theodor (anche responsabile del Bureau of Music), che vide nella Chicago’s Exposition il luogo ideale per riunire i tanti Music Club che si andavano formando in varie città degli Stati Uniti. Tali club femminili promuovevano la musica organizzando concerti amatoriali e professionistici, ma l’intervento di Fay fu il primo riuscito tentativo di riunirli e di creare una rete che diede adito, alcuni anni dopo, alla fondazione della National Federation of Music Clubs del 1898. Il convegno di quattro giorni, durante i quali si stabilirono politiche culturali e direttive comuni, in un contesto straordinario come quello della Exposition, diede un impulso formidabile alla diffusione dei club, che da quel momento in poi, nel corso del successivo decennio aumentarono notevolmente di numero. Nell’opinione di Karen Blair, storica delle donne americana, la National Federation of Music Clubs, grazie al potente operato di Rose Fay Thomas, può essere descritta come “la più grande e influente organizzazione che abbia unito le società musicali femminili” di tutti i tempi.

La World’s Columbian Exposition di Chicago chiuse i battenti dopo sei mesi, e purtroppo la quasi totalità degli edifici, incluso il Woman’s Building, fu abbattuta. Ce ne restano vecchie e suggestive foto che raccontano uno spazio di bellezza, di cooperazione e di libertà creativa, in cui artiste di ogni disciplina seppero trovare un luogo sicuro dove modellare un universo, piantando i semi dei frutti dell’avvenire di tutte le donne.

 

Orietta Caianiello, napoletana, ha spaziato nella sua attività artistica dal solismo a molti campi del camerismo. Si è esibita con il Trio Busoni e lo Ianus Piano Duo ed è attualmente pianista dell’ensemble di musica contemporanea Freon di Roma e del Trio Domus, dedicato al repertorio femminile. Ha suonato presso le principali città italiane e all’estero e ha inciso numerosi CD. Titolare della cattedra di Musica da camera al Conservatorio “Niccolò Piccinni” di Bari, si dedica attivamente alla ricerca e diffusione di musica di compositrici storiche, con il progetto “L’Ombra Illuminata. Donne nella musica” presso il Conservatorio di Bari, e le Giornate di studio “Le Musiciste”, in collaborazione con l’Università degli Studi Roma Tre. Laureata al DAMS è autrice di articoli e saggi.

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[1] Reid Badger, The Great American Fair. The World’s Columbian Exposition and American Culture, Chicago, Nelson Hall, 1979.
[2] Cfr il sito https://www.americanheritage.com/white-city
[3] Sezione 6 dell’Act, citata nel libro di Badger, p. 134.
[4] La storia di Sophia Hayden e quella delle altre creatrici del Woman’s Building è bene illustrata nel volume di Jeanne Madeline Weimann, The Fair Women. The Story of The Woman’s Building, Chicago, Academy Chicago, 1981.
[5] Molti dei quali visibili online nel volume di Maude Elliot Howe (1854-1948), Art and handicraft in the Woman’s building of the World’s Columbian exposition, Chicago and New York, Rand, McNally & Company, 1894. https://www.loc.gov/item/05028628/
[6] Weimann, pp. 258-262.
[7] Theodore Thomas (1835-1905), violinista e direttore d’orchestra, si trasferì negli Stati Uniti dove diresse le principali orchestre del paese, tra cui quella di New York; fu il fondatore della Chicago Philharmonic Orchestra.
[8] Un’accurata indagine sulla presenza di compositrici all’esposizione di Chicago è data da Ann E. Feldman, nel saggio Being Heard: women composers and patrons at the 1893 World’s Columbian Exposition apparso in “Note”, Vol. 47, n. 1, settembre 1990, pp. 7-20. Dal saggio sono prese le successive citazioni.
[9] La Second New England School, o dei Boston Classicists, che si sviluppa tra il XIX e il XX secolo, in giustapposizione alla First New England School risalente al secolo precedente, è considerata il nucleo da cui origina un linguaggio musicale autoctono americano. Boston fu la sede elettiva del movimento, ed anche la città che ospita il primo corso universitario di Musicologia in America.
[10] Rose Fay Thomas (1852-1929), fu una scrittrice e filantropa, sostenitrice dei diritti delle donne e animalista. Sue sorelle, furono Amy Fay, nota pianista e autrice del noto volume, Music Study in Germany e Melusina Fay Pierce, scrittrice e anch’essa autrice un volume, Co-operative Housekeeping, in favore dell’autonomia economica delle donne.

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