Raggiungo al telefono Lapo Marliani, chitarrista e fondatore della band. “Ho studiato tanti anni la chitarra classica e ho ascoltato davvero di tutto. Ho amato il mondo classico, ma ho ascoltato tanto progressive, i King Crimson, per esempio. Un’altra mia passione sono i minimalisti come Michael Nyman, Wim Mertens, Philip Glass, un mondo musicale che mi affascina tanto. Poi, ovviamente, amo tanto la musica popolare e la patchanka. Dai Mano Negra a Les Negresses Vertes, dalla Bandabardò ai Modena City Ramblers, passando per i Folkabbestia, la musica, se fatta bene, è bella tutta”.
Pur avendo registrato vari CD, i Matti sono soprattutto una band live. Molto difficile imprigionare nei solchi di un disco la forza delle loro esibizioni, durante le quali i quattro maremmani sembrano davvero fondersi col pubblico, sempre numeroso e caloroso. La loro strumentazione è davvero insolita. Per i primi dieci anni di attività, la band si esibisce con questa formazione: oltre al nostro Lapo, troviamo Andrea Gozzi alla chitarra acustica e cori, Mirko Rosi alla batteria e, come solista e «centravanti» del gruppo, Francesco Cieri al mandolino e voce principale. “Facemmo questa scelta particolare, assolutamente unica per chi affronta un genere tipo il nostro, ovvero di non inserire in formazione un bassista. Forte dei miei studi di chitarra classica, ho un pollice affidabile con cui disegno le linee di basso e creo un po’ il tappeto sonoro dei brani. I «solismi» li ho sempre lasciati ad Andrea e Francesco. Un giorno, un amico e tecnico che ci seguiva, Daniele Marconcini, ebbe quest’idea: posizionò due direct box per la mia chitarra e splittò il segnale. Il suono della mia chitarra fu cosi diviso: da una parte quello puro della chitarra, dall’altra un suono più ricco di bassi, più scuro e grosso.
Beh, l’effetto che usci fuori ci piacque molto. Sembrava di sentire il suono dei due strumenti, chitarra e basso, gestiti, però, da una persona sola”. Si parla poi, più nello specifico del suo strumento: “Il mio chitarrista preferito? Ne stimo tantissimi, ma se devo nominarne uno scelgo Robert Fripp, per tutto quello che ha fatto nella sua lunga carriera e, soprattutto, per essere stato uno degli innovatori massimi dello strumento nel Novecento. Per quanto riguarda l’effettistica, devo confessarti che non amo condire il suono con troppe diavolerie. Utilizzo giusto una para direct box e un equalizzatore, non ricordo neanche le marche dei pedali che uso. Ho sempre cercato di tirare fuori il suono con le mani piuttosto che basarmi su mille marchingegni. Forse, anche perché sono un po’ pigro”, mi dice ridendo, Lapo.
A condire il suono con l’effettistica ci pensa, però, l’estroso mandolinista Francesco, che, specie negli ultimi anni, si presenta sul palco con un mandolino solid body, una testata cassa come amplificazione e una pedaliera che non sfigurerebbe al confronto con quella di un truce chitarrista metallaro. Ed è davvero divertente sentire le sfumature sonore del mandolinista che passa da suoni puliti folk a distorsioni, fino a far suonare il proprio strumento come fossero due, grazie ad un pedale harmonizer.
Gli chiedo delle loro esperienze canadesi: “Abbiamo fatto quattro tournée in Canada”, mi dice Lapo con malcelato orgoglio” e sono state tutte esperienze indimenticabili. Mi chiedi come sono nate? Il nostro manager, Andrea Fornai, aveva dei contatti con Marco Calliari, un artista canadese di chiare origini italiane e gli aveva organizzato delle date qua in Italia. Noi gli abbiamo fatto da backing band in più d’un’occasione, ci siamo trovati bene, anzi, benissimo, e Marco ci ha, per così dire, restituito il piacere e si è mosso in prima persona per organizzarci dei concerti in Québec. La prima volta abbiamo suonato nei club, ma poi si è aperta la strada delle “case della cultura”. Devi sapere che ogni città in Canada ha una Maison de la Culture, che sono dei bellissimi teatri dove è possibile fare dei concerti di fronte ad un pubblico attento e preparato”, Lapo fa una pausa, sospira e riprende a parlare: “Beh, come del resto succede in Italia, no?”, aggiunge con quel misto di polemica, humour e rassegnazione che hanno i toscani nel loro DNA. Gli chiedo, poi, delle varie collaborazioni. “Suonare assieme ad altri è meraviglioso. Abbiamo diviso il palco con Gogol Bordello, Muchachito Bombo Infierno, il già citato Marco Calliari e tanti altri, ma, soprattutto, abbiamo avuto l’onore di avere un testo scritto apposta per noi dal grande Eugenio Bennato”. Già, la sognante Gioco di onde. Gli chiedo di raccontarmi come sia nata quell’importante esperienza. “Eravamo a suonare nelle Marche, anni fa, un concerto dove c’era anche Eugenio. Ovviamente, Bennato era l’headliner della serata, ma chiese di poter suonare prima di noi, perché non voleva fare troppo tardi. Finito il trascinante concerto di Bennato & Taranta Power, accordammo i nostri strumenti e salimmo sul palco. Con nostro stupore ci accorgemmo che Eugenio, durante il nostro set non solo non era sparito in albergo, ma, anzi, ci seguiva e si stava divertendo. Il nostro manager si interfacciò subito col management di Eugenio e fu così che, di lì a poco, nacque Gioco di onde, un pezzo sognante e melodico, uno dei cardini della nostra scaletta”.
Chiedo a Lapo anche di un’altra collaborazione importante, quella col compianto Enrico Greppi, in arte Erriquez, della Bandabardò, poeta e autore, che ci ha lasciato nel giorno più poetico dell’anno, il 14 febbraio di questo 2021. La voce di Lapo cambia colore: “Enrico…” una breve pausa. “Abbiamo fatto tante belle esperienze con lui. Enrico è stato un amico e Maestro. Abbiamo fatto cinque brani assieme. Il primo è stato Il bagno della canapa e l’ultimo Ethnic, uscito l’anno scorso. L’ultima cosa che abbiamo registrato con lui uscirà, purtroppo, postuma”. Gli chiedo di parlarmi della sua attività come insegnante. “Sono dieci anni che insegno e mi piace tanto. Prima insegnavo a SpazioArte qua a Follonica, una bella realtà delle nostre zone; da un paio di anni, invece, ad AltriMondi, un centro culturale molto carino, dove coabitano libri, concerti e insegnamento. Insegnare è divertente, e, come dico spesso, ‘insegnando, s’impara’, sai?” ride divertito. “Non scherzo, eh! Sai le cose che ho imparato insegnando? Spesso, vengono allievi che vogliono imparare brani che già conosco o che, comunque, fanno parte del mio mondo musicale, ma capita anche che arrivi il ragazzino che ti chiede di fargli studiare il tale brano di tale artista che magari non conosco e, quindi, devo mettermi a mia volta a studiare. Mi mantengo, così, in costante allenamento mentale e fisico, e, affrontando materiale che non conosco, scopro fraseggi, approcci nuovi. La musica è una costante ricerca; nel momento in cui pensi che sei arrivato, ti sei fregato da solo”.
Si conclude così questa bella chiacchierata con Lapo. I Matti delle Giuncaie, che qualche anno fa hanno inserito il basso nel proprio parco strumenti, con l’arrivo di Simone Giusti e l’abbandono di Andrea Gozzi, che ha deciso di seguire altri progetti, hanno un nuovo album in via di pubblicazione. “Non abbiamo fretta di uscire” – chiosa Lapo – “capiremo cosa fare nei prossimi mesi; però, come puoi immaginare, abbiamo una gran voglia di suonare!”.
E i vostri fans, caro Lapo, Francesco, Mirko e Simone, hanno sicuramente una gran voglia di vedervi suonare.