L’avena sonora delle “benas”

I parenti meno professionali delle "launeddas"

La bena è uno strumento musicale aerofono primitivo, antichissimo e originario della Sardegna, e presenta molte similitudini con l’antico aulos greco e con la tibia o fistulae impares romane. Il termine bena deriverebbe dal latino avena, nome che già in epoca classica indicava gli strumenti musicali realizzati in canna palustre. Questa pianta, al suo interno, è cava e la sua lunghezza è regolata da nodi che la dividono in più pezzi di simile misura. La canna palustre è facilmente lavorabile ed elastica, e proprio per questo, storicamente, è stata impiegata dai popoli del Mediterraneo per la costruzione di tubi sonori di vario genere. Spesso, questo strumento viene erroneamente confuso con le launeddas.

La bena, o benas quando presenta più canne, è, sostanzialmente, una cannuccia chiusa da un nodo nella parte superiore e da cui viene escissa un’ancia con l’apertura verso il basso (in sardo chiamato cabitzinu, come utilizzato per le launeddas). Le dimensioni dello strumento variano in funzione del numero dei fori, del diametro e dello spessore della canna e possono oscillare tra i 12 e i 25-30 centimetri. Lo strumento può presentare, oltre ai rinforzi alle estremità con spago impeciato, legature di vario tipo per tenere insieme più canne, così come fori  per regolare l’intonazione. Si possono legare insieme, come si è accennato, due o tre canne (benas doppie e triple), ma, in questo caso, una sola canna presenta i fori.

Alle benas semplici si possono applicare anche dei padiglioni che ne arricchiscano la sonorità, aumentando il volume e modificandone il timbro, ma lasciando pressoché invariata l’intonazione. Questi padiglioni possono essere ricavati da corna di ovini o bovini o da zucche secche private dell’estremità inferiore. Possiamo riconoscere, a livello costruttivo, quattro tipologie principali di benas:

bena semplice. In questo caso abbiamo un’imboccatura che si incastra in un tubo risuonatore con quattro fori;

bena doppia o tripla. In questo caso solamente una canna è forata, mentre le altre fungono esclusivamente da supporto armonico;

bena cun corru. Bena semplice con l’aggiunta di un padiglione in corno di ovino o bovino;

bena cun crocoriga. Bena semplice con l’aggiunta di un padiglione di zucca (essiccata e privata dell’estremità inferiore).

 

Struttura e Costruzione

La bena ha subito un processo evolutivo che ha portato, nel tempo, a strumenti organologicamente differenti. Una modifica è stata sicuramente il prolungamento della canna, che ha consentito l’apertura di fori per le dita, solitamente fino a un massimo di quattro. Grazie alla resistenza della materia prima, inoltre, si è via via realizzato il canneggio separato dall’ancia, anche se sono attestate con frequenza le benas ricavate da un’unica porzione di canna.

Differenza dalle launeddas

L’ancia delle benas, come quella delle launeddas, si apre dal basso verso l’alto, ma differisce da quest’ultima per l’assottigliamento e l’appiattimento della superficie esterna. L’intonazione dello strumento si ottiene, infatti, levigando l’ancia e non aggiungendo o togliendo il grumo di cera, come si usa fare con le launeddas. Inoltre, viene utilizzato un capello, un crine di cavallo o un filo di cotone per tenere sollevata la linguetta quando questa tende a bloccarsi. Altro elemento distintivo tra le benas e le launeddas è dato dall’evidente differenza della forma geometrica dei fori: nelle launeddas sono rettangolari o quadrati, intagliati con una lama affilata; nelle benas, invece, sono circolari e, solitamente, realizzati con il punzonamento di un ferro arroventato. In linea di massima, le benas (sia semplici, sia doppie o triple) sono considerate meno professionali delle launeddas , che, infatti, vantano una tradizione costruttiva e musicale più evoluta e accurata.

 

Esecuzione/modalità di utilizzo dello strumento

L’utilizzo delle benas, che l’etnomusicologo Giulio Fara (1880 – 1949) includeva tra i “giochi sonori infantili” e chiamava trumbittas, è attestato nella media valle del Tirso. Com’è facilmente immaginabile, la presenza di soli quattro fori limita molto la possibilità esecutiva dello strumento, impiegato per melodie «ristrette». Con una buona tecnica, però, se ne può ampliare il range, aggiungendo alcuni semitoni (questo si può ottenere con il posizionamento del dito sul foro più o meno aperto e con una corretta gestione dell’immissione d’aria nel tubo). Lo strumento è utilizzato, prevalentemente, per l’accompagnamento melodico delle danze tradizionali, ma, recentemente, come accade per altri strumenti di stampo popolare, viene impiegato in ulteriori contesti, dal jazz alla musica sperimentale.

 

Questo articolo è frutto della collaborazione tra Accademia di Musica Sarda e “Strumenti&Musica Magazine”.

 

BIBLIOGRAFIA

SPANU, Gian Nicola (a cura di), Sonos. Strumenti della musica popolare sarda, Nuoro, Ilisso,1994.

 

Foto Articolo:

Da – “Sardaigne. Les Maîtres de la musique instrumentale” (immagine 1)

“Bena cun Corru” – dallo Shop di Accademia di Musica Sarda (immagine 3)

Da – Museo Sardo di Antropologia ed Etnografia

Da – Shop del Sito Web www.accademiadimusicasarda.com

benaGiulio Faralauneddas