Livio Bartolo Variable Unit, Don’t beat a dead horse
Etichetta discografica: Dodicilune Edizioni Discografiche e Musicali
Anno produzione: 2020
di Stefano Dentice
Talvolta, vi sono musicisti (soprattutto italiani) che preferiscono di gran lunga esprimersi artisticamente attraverso produzioni discografiche di facile ascolto, di grande appeal, che per una scelta senza dubbio rispettabile ma a volte anche perlomeno discutibile, strizzano l’occhio soltanto alla commerciabilità. Al contrario, invece, esiste un’altra categoria di musicisti che intende comunicare praticando strade artistiche più impervie, rischiose, affrancandosi totalmente dal concetto di riscuotere facili consensi. Ebbene sì, di questa schiera (ahimè non troppo nutrita) fa parte l’ardimentoso ed eclettico chitarrista/compositore Livio Bartolo, autore di una nuova creazione discografica firmata Livio Bartolo Variable Unit intitolata Don’t beat a dead horse. Con lui, cinque formidabili e talentuosi compagni di viaggio, non solo in ambito musicale ma anche nella quotidianità: Aldo Davide Di Caterino (flauto), Pietro Corbascio (tromba, trombone in Bagnara), Giacomo Eramo (sax alto), Andrea Esperti (contrabbasso) e Marco Calabretti (batteria, sax tenore in Sator Arepo Tenet Opera Rotas). Cinque i brani presenti nel CD, di cui solo Bagnara è cofirmata da Bartolo ed Esperti, mentre Torre Ovo-Librari-Trullo di Mare, Campomarino, Monacizzo e Sator Arepo Tenet Opera Rotas sono composizioni originali figlie della magmatica meninge di Livio Bartolo. Il climax di Bagnara è (quasi) inquietante, concitato, ipnotico. In una baraonda apparente, il sestetto dialoga torrenzialmente in pieno solco free, dando vita a scenari sonori, armonici e ritmici assai interessanti, che lasciano con il fiato sospeso. Monacizzo, fin dalle primissime misure, è calamitante. Qui il mood è acquietante, sobrio. Un brano dal quale emerge la preziosa e colta musicalità di Di Caterino, Corbascio, Eramo, Bartolo, Esperti e Calabretti, che si raccontano e si descrivono in note. Di evidente matrice free, avant-garde jazz e contemporary jazz, Don’t beat a dead horse, dedicato alla memoria del compianto Gianni Lenoci, strepitoso pianista e compositore al quale Livio Bartolo è profondamente legato da uno smisurato affetto, è un album ricco di humus. Un disco che brilla per nobile spirito di ricerca, di innovazione stilistica, nel quale il sound è curato con dovizia di particolari, dove l’effetto sorpresa è sempre dietro l’angolo, frutto di un’abbacinante creatività che ispira, illumina e guida le mente di Bartolo e dei suoi cinque partner.
(Foto di Marco Calabretti)
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