L’ironia musicale dei Folkantina

La band anconetana fra tradizione e contaminazioni

In un territorio fortemente legato alla fisarmonica troviamo i Folkantina, band folk-rock di Ancona nata nel 2009, che nel nome rivendica i valori di aggregazione e comunità di cui sia il folk sia la cantina, come luogo d’incontro, si fanno portatori. L’energia, la sperimentazione e l’ironia sono i punti di forza di questa band, che nelle sue canzoni racconta di storie e viaggi partendo dalla tradizione marchigiana e approdando fino ai Balcani, passando per sonorità variegate. Di questo e di altro abbiamo parlato con Emanuele Storti, il fisarmonicista del gruppo.

Per iniziare, come nasce il vostro progetto? Presentateci il vostro gruppo.

Siamo un gruppo folk-rock che nasce ad Ancona sul finire del 2009. Pur senza essere guidati fin dall’inizio da un progetto definito, siamo subito andati alla ricerca di un suono pieno, carico di energia, arrivando in breve alla formazione attuale con Filippo Ripanti (voce), Andrea Socci (violino), Stefano Accoroni (chitarre/banjo), Michele Pettinari (chitarra/mandolino), Stefano Orlandini (percussioni), Federico Pesco (basso), Valerio Mori (batteria) e il sottoscritto alla fisarmonica, a cui si uniscono, talvolta, dei fiati. Anche se ciascuno di noi viene da un mondo musicale diverso, nel punto di contatto tra il folk e il rock abbiamo trovato una forma di espressione comune in cui sentiamo di poter contribuire in modo libero. Il folk è da sempre, a tutte le latitudini e nelle sue diverse accezioni, una musica di comunità, in cui l’aspetto sociale e di aggregazione è centrale. Con lo stesso spirito vogliamo trasmettere allegria portando la nostra musica su palchi piccoli e grandi e cercando di trasformare ogni concerto in una festa. In questi tredici anni abbiamo imparato a rinnovarci e sperimentare, ma senza perdere l’entusiasmo del primo giorno.

Dal nome e dal vostro slogan “perché il folk ce piace ma la cantina anche de più” si intuisce quali siano le vostre due “passioni”, al punto da farne il vostro emblema. Potremmo dire che nel vostro stile non manca una buona dose di ironia. Quanto incide sulla vostra identità artistica?

Crediamo che l’ironia, e ancora di più l’autoironia, sia uno strumento potentissimo per vivere meglio con sé e gli altri. C’è un proverbio yiddish che lo sintetizza perfettamente: “Se hai fame, canta. Se hai male, ridi” (se hai sete, bevi, aggiungeremmo). Noi la pratichiamo sul palco, dove non mancano mai battute o piccoli “sketch” fra di noi o col pubblico, ma anche fuori. Una delle più grandi soddisfazioni che abbiamo alla fine di uno spettacolo è quando ci dicono di avere passato due ore spensierate, a saltare e cantare. Siamo anche convinti che si possa fare musica in un modo da trasmettere leggerezza senza per questo perdere la capacità di andare in profondità, come ci hanno insegnato maestri quali Jannacci e Gaber tra gli altri. Riguardo al nostro motto, ci segue fin dall’inizio: se la musica è vita, la cantina è il luogo dell’incontro. Ammettiamo che, comunque, nel tempo, siamo diventati più… morigerati.

A proposito di vino, raccontateci la Canzone del vì.

Come avremmo potuto chiamare il nostro primo brano altrimenti? È uscito nel 2019 ed è l’unico cantato in dialetto anconetano. L’abbiamo dedicato alla nostra terra e ai nostri vini, ma anche al piacere di stare assieme, con quello spirito giocoso che è lo stesso degli stornelli. Pur non essendo un saltarello in senso stretto, con La canzone del vì omaggiamo la tradizione popolare marchigiana e le sue sonorità, a ribadire le radici musicali della terra da cui veniamo e che inevitabilmente ci ha influenzato. Ci ha anche permesso di entrare in contatto con molti musicisti e gruppi balfolk della zona, con cui abbiamo instaurato collaborazioni e una reciproca frequentazione.

Nei vostri live vi esibite con delle cover oltre che con i vostri inediti. Si potrebbe dire che nei vostri brani ci sono influenze di altri artisti della scena musicale folk italiana o internazionale?

In effetti abbiamo cominciato proprio riproponendo brani di autori e generi diversi, dal folk-rock italiano al folk irlandese e greco. Non siamo mai stati una cover band però, perché abbiamo sempre cercato una nostra chiave d’interpretazione nel riarrangiare i brani. Dischi per noi significativi sono anzitutto quelli di Fabrizio De André, tra cui Anime salve” e il live con la PFM, con il suo mix di canzone d’autore, folk e rock. Tra gli artisti che amiamo, Bandabardò e Modena City Ramblers sono da sempre punti di riferimento per una vicinanza di genere musicale e per la carica che portano sul palco, così come i fratelli Severini dei Gang lo sono per il loro folk-rock intenso, lirico e senza compromessi. Amiamo molto anche Vinicio Capossela, che col suo eclettismo e la capacità di incantare è per noi uno degli artisti più ispirati nel panorama italiano, mentre la vena ironica si alimenta dell’ascolto di Elio e le Storie Tese.

Nel settembre del 2022, è uscito il vostro primo album. Raccontateci come è nato Sebbene e le canzoni che lo compongono.

Le canzoni sono arrivate da sole quando abbiamo sentito di voler raccogliere su pentagramma frammenti di melodie, frasi e storie custodite nel cassetto. Cantiamo di viaggi vicini e lontani, in un mix colorato di contaminazioni, qualche improvvisazione e, appunto, un po’ di sana autoironia. Farà sorridere, ma è il risultato di quasi tredici anni di lavoro, idee, confronti, che nel tempo ci ha permesso di amalgamarci un po’ e imparare a cedere qualcosa per trovare dei punti di incontro. Tra noi c’è sempre stata molta orizzontalità, e ogni proposta portata in sala prove viene arrangiata insieme, fino a farla diventare un lavoro davvero condiviso. Il disco inizia da ciò che abbiamo vicino, con La canzone del vì e con Paolo, una ballata che narra l’incontro a Castelfidardo, sospeso tra storia e leggenda, tra Paolo Soprani e un pellegrino austriaco da cui poi nacque il primo laboratorio di organetti: una storia di musica, ingegno e passione. Storia di un re è dedicata al diritto di autodeterminarsi senza pietismi, mentre con Un giro di rakija ci spostiamo tra i Balcani con un viaggio a Sarajevo. Nell’album parliamo anche di noi: in Sebbene raccontiamo con ironia la difficoltà di prendere decisioni e i ripensamenti dell’ultimo minuto. Dà il titolo all’album perché in fondo l’abbiamo concluso quando abbiamo imparato a trasformare questo modo di essere in un punto di forza. Nell’atmosfera carioca di Mi ha detto tua madre cantiamo di come le nostre passioni si scontrino con le pressioni sociali. Non mancano anche brani giocosi come Insert coin, un medley di musiche di videogame anni Ottanta o dal ritmo più concitato come Io sono io. Abbiamo curato ogni aspetto in autonomia, dagli arrangiamenti fino al progetto grafico e tutta la comunicazione: il bello di essere in tanti!

Avete altri progetti in mente?

Ora siamo impegnati a promuovere il disco e preparare i prossimi spettacoli. Nel frattempo, stiamo lavorando a dei videoclip in collaborazione con alcuni registi e proviamo a rinnovare il repertorio sperimentando nuovi arrangiamenti. Anche la scrittura ci tiene impegnati: nel solito cassetto abbiamo una miriade di parole e melodie con cui dare corpo a nuove canzoni. Di cosa parleranno, ancora non lo sappiamo, ma l’obiettivo principale rimane sempre quello di fare qualcosa che ci piaccia e riuscire a trasmetterlo.

Qual è secondo voi il ruolo della fisarmonica nella musica folk e nel gruppo?

È uno strumento di cui siamo innamorati, dai mille colori, che nel folk riesce a essere intenso e allo stesso tempo donare leggerezza. Non è un caso che il disco inizi con un’introduzione di sola fisarmonica, come a voler trasportare l’ascoltatore su una dimensione diversa. Sempre alla fisarmonica e all’organetto è appunto dedicata Paolo: un tributo alla comunità di artigiane e artigiani, che da centosessant’anni  si prendono cura di questo meraviglioso strumento con grande professionalità e tanti sacrifici. Certamente, per un gruppo come il nostro l’impiego della fisarmonica è diverso da quello di un gruppo tradizionale o balfolk. Per le recenti generazioni di fisarmonicisti, formate spesso da studi classici e varieté, la musica tradizionale è spesso un genere a cui approdare successivamente. Questo rende, almeno per noi, forse meno rigoroso il nostro rapporto con il materiale tradizionale, ma più aperto alle contaminazioni.

Avete partecipato alla XXXIV edizione di Musicultura. Cosa significa per voi essere stati selezionati tra più di mille proposte per le audizioni live di Musicultura? 

Non avevamo mai partecipato a un concorso di questa importanza. Quando ci hanno comunicato di essere stati selezionati siamo stati davvero felici, molto onorati e un po’ intimoriti. È stato un privilegio poter suonare la nostra musica su un palco così importante per la canzone popolare e d’autore, che ci ripaga del lavoro fatto in questi anni. Ci ha anche confermato che il confine tra la musica d’autore e quella di matrice folk è più labile di quanto si possa pensare: come anche altri artisti saliti su quel palco dimostrano, c’è ancora molto spazio per strumenti e sonorità tradizionali nella musica italiana. Più di ogni altra cosa è davvero bello il clima che si respira e le persone che s’incrociano. Esibirci su quel palco ci ha permesso di aprire nuove opportunità e confrontarci con molti artisti validissimi, con alcuni dei quali, a breve, potrebbero nascere delle collaborazioni.

Che cosa offre Ancona a una band come la vostra?

Siamo molto legati a questa città e a questo territorio, pieni di persone e professionisti di grande livello. Il disco lo abbiamo registrato qui, a chilometro zero, così come sono di qua tutte le persone coinvolte nella sua realizzazione. Allo stesso tempo, ci sentiamo di dire che una città come Ancona potrebbe offrire molto di più in termini di proposta musicale e opportunità. Gli spazi per potersi esprimere ci sembra che siano, purtroppo, sempre diminuiti con il passare degli anni, e solo alcuni operatori culturali particolarmente testardi e ispirati hanno continuato a proporre spettacoli dal vivo. E pensare che sono poche le città con delle location meravigliose affacciate sul mare come qui! Sogniamo una città a misura di amante della musica e di artista, dove organizzare un concerto sia reso più semplice e in cui l’offerta culturale e di spettacoli dal vivo sia più variegata.

 

Foto apertura di Massimo Zanconi

Foto 2 di Fabrizio Redaelli

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