Massimo Liberatori & La Società dei Musici

Tratturo de Don Durito (Ars Spoletium - Publishing & Recording)

Tratturo /trat·tù·ro/

sostantivo maschile [derivato dal latino tractus, part. pass. di trahĕre «tirare, trascinare»; mutuato dal latino medievale tracturus «via, fosso»].

Larga pista, terrosa o pietrosa, formatasi per effetto dei periodici spostamenti delle greggi per lo sverno e costituente la loro abituale via di passaggio. Il termine è particolarmente usato per le piste che univano l’Appennino abruzzese alle pianure della Puglia e della Calabria.

L’idea di una strada (traballante ma certa, dettata dai ritmi immanenti della natura) come poetica di vita. Massimo Liberatori – cantastorie itinerante, romano di nascita, umbro d’adozione, soprattutto cittadino del mondo: “un po’ tifoso, un po’ più militante anarchico malatestiano e un po’ mistico, ma tutto con un forte senso del pudore”, dice di sé – sceglie la metafora della transumanza per raccontare in musica le storie degli uomini.

Nel 2018 il primo esperimento del concept, Tratturo Zero, con gli spoletini della Società dei Musici (che lo accompagnano alla ricca strumentazione e curano gli arrangiamenti). L’attitudine combat (con una versione in italiano di London Calling, che più propriamente omaggia Joe Strummer, e vari festosi riferimenti anarchici al cantore operaio Joe Hill) è addolcita dal ricorso ai grandi classici (Woody Guthrie su tutti) e alle rielaborazioni in musica di alcune poesie di Trilussa. È un equilibrio felice. Una mappa chiara nel suo poetico errare tra l’Appennino e gli States: folk, country e tradizione popolare si incontrano in una visione pastorale e senza tempo (o forse di tutti i tempi, perché il passato è in dialogo costante col presente). I tratti più intimistici fanno da contraltare ai momenti di rivalsa: “Scrivo canzoni ai fiori e… tiro i sassi…”, dice ancora Liberatori.

Il secondo capitolo della serie, Tratturo de Don Durito, è dedicato al personaggio inventato dal subcomandante Marcos nei suoi comunicati per l’EZLN. Don Durito della Lacandona è uno scarafaggio zapatista che, similmente a Don Chisciotte, pensa di essere un cavaliere errante e tratta lo stesso Marcos come fosse il suo scudiero. L’allegra cançion che lo racconta apre il disco come una dichiarazione d’intenti: colorata passione latina, ironico ritmo mariachi, l’amore da serenata che diventa il fuoco che alimenta la lotta, che lo fa avvampare, fino a renderlo la barriera contro cui infrangere tante battaglie di retroguardia (buon’ultima quella contro il cambiamento climatico). “Questa volta il viaggio si fa subito apertamente critico e di parte, un modo forse politicamente e artisticamente scorretto ma, di questi tempi, necessario”, scrivono i Musici sul retro di copertina.

La scelta del registro ironico non depotenzia la scelta di campo, semmai l’alleggerisce con umoristica sagacia, tutto è giocato sul binario plurimo della metafora, del calembour, della leggerezza. Registrato durante lo scorso lockdown, il disco stesso fa i conti con una “presenza virale che anche fuori pandemia ha sempre qualcosa che gli assomiglia”, scrive Liberatori nelle note. Parassita è una filastrocca in cui il perfido bacillo crea distanze e divisioni. Fisiche. Sociali. Nazionali. Un’epidemia di pessime intenzioni. Anche e soprattutto politiche.

Si ride, dunque, si pensa e a tratti ci si commuove in questa “bisaccia” (sì, i Musici chiamano così questa raccolta di canzoni) zeppa di partigiani, agitatori sindacali, giovani soldati prigionieri in Africa Orientale (Tiritera si ispira a una memoria scritta dal marinaio Mario Parasassi durante la prigionia nel campo di Naivascia in Kenia nel corso della Seconda Guerra Mondiale), briganti gentiluomini (Cinicchia Nazzareno, il Robin Hood del territorio umbro-marchigiano ai tempi dello Stato Pontificio, figura su cui Liberatori è tornato più volte), frati eretici bruciati vivi (Giordano Bruno da Nola è stata scritta e cantata nel 2000 a Roma in piazza Campo de’ Fiori ai piedi della celebre statua in occasione dei 400 anni dal rogo), canti di Sirene (una stornellata gucciniana, in effetti, fra le tracce più musicalmente canoniche dell’album).

Piccoli ritratti per non dimenticare. E per coltivare con animo puro e “gentile” (un aggettivo sorprendente che spesso ricorre nelle liriche) le braci della Rivoluzione.

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