Se questa è la premessa, diverso può apparire l’approccio. In questa introduzione alla storia di un uomo si potrebbe fare riferimento a Sigmund Freud e dire che il sogno si sintetizza nella concretizzazione virtuale di un desiderio inappagato nel corso della vita diurna; o rifarsi alla mitologia greca secondo la quale, durante le ore di riposo, ci si adagiava, idealmente, tra le braccia dei divini Oniro e Morfeo e a loro si affidava la custodia dei propri desideri; oppure, addirittura, arrivare a celebrare gli autori de I sogni son desideri, scritta per la Cenerentola di Walt Disney (1950).
La natura dell’uomo, notoriamente ambiziosa, ha da sempre condizionato l’individuo nel conseguimento dei propri obiettivi: osare per valicare quell’ipotetica linea di confine che separa la realtà dall’immaginario. Il concretizzarsi o meno delle aspirazioni e delle mire dell’essere umano è affidato al destino, che può essere supportato dal sacrificio, dalla volontà e dalla determinazione, riverste nel raggiungimento di un determinato scopo.
Non credo che questi fossero i pensieri del piccolo Lorenzo quando ascoltava le performance dei suoi idoli Nini Rosso e Al Hirt, sognando di diventare bravo e famoso quanto loro. Ma, probabilmente, pur non potendo contare sul supporto della fatina e delle magie che trasformano in sfarzose carrozze munite di cocchiere delle semplici zucche, sogno e ambizione erano lì, uniti, ma non legati, presenti, ma, forse, non completamente percepibili.
Eppure, a volte, quello che non si vede c’è e ciò che sembra difficile già solamente da immaginare ad un tratto si realizza e ci si ritrova catapultati, nel bel mezzo di una brillante carriera, non al gran ballo, ma sul palco del Teatro Ariston, nell’Olimpo della canzone italiana: il Festival di Sanremo.
Innanzitutto, diciamo che ha ereditato la passione per lo strumento dal padre Flavio, valido esponente della Banda di Predappio, che ha studiò al Liceo Musicale di Forlì con il Maestro Angelo Masini. Poi, potremmo aggiungere che, dopo una breve parentesi in Svezia, insieme a cinque suoi connazionali romagnoli tra cui Fabrizio Pausini, padre della più celebre Laura, è tornato per unirsi alla storica band di Gianni Pettenati (quello di Bandiera Gialla). Per dovere di cronaca andrebbe anche segnalato che per ventuno anni, dal 1969 al 1990, è stato una delle figure più carismatiche dell’Orchestra Casadei con cui ha inciso decine di brani e, tanto per gradire, ha partecipato ad un Festival di Sanremo (come ricordavamo poc’anzi) e a cinque Festivalbar.
Mi soffermerei su quest’ultimo particolare (mi tolgo un sassolino che porto nella scarpa da anni…) per far notare che i grandi palcoscenici non dovrebbero essere preclusi a priori agli artisti della musica da ballo. Ci sono grandi professionisti, che, con una formazione di base eccellente, derivata in alcuni casi dalla frequenza nei conservatori, decidono di dedicarsi al folk. Questa scelta, a volte dettata dalla passione, altre, magari, da motivi economici, non dovrebbe essere discriminante anche se, nei casi più estremi, sono proprio alcuni musicisti (una minoranza) che contribuiscono, con il loro modo di proporsi, a gettare fango sull’immagine di un genere tanto bello quanto vario e costruttivo. Chiusa questa breve parentesi (polemica, ma indispensabile) torniamo alla carriera di Renzo il Rosso, un artista che, a dimostrazione di una certa poliedricità, ha fatto anche parte del casting di tre commedie cinematografiche italiane: La nottata, con Giorgio Albertazzi, Di che segno sei, con Adriano Celentano e Rimini Rimini, con Paolo Villaggio, e di numerosi varietà della Rai e di Mediaset (su tutti, Domenica In e Buona Domenica).
Questa, in sintesi, è la storia di Lorenzo Vallicelli, il musicista dallo sguardo fiero, un artista in grado di far navigare il suo pubblico in un mare di emozioni forti, base fondante del suo straordinario percorso artistico. Un uomo dalla passione ferrea e dallo stile ineguagliabile, capace di traslare l’immaginario nel reale, legando per sempre la sua vita al sogno.