Prima è sbocciato l’amore per la fisarmonica, successivamente quello per il violino. Dal punto di vista tecnico e interpretativo, con quale dei due strumenti senti di esprimerti meglio?
Sono due mondi complementari: l’interpretazione, alla fisarmonica, risente chiaramente dell’attività violinistica svolta in orchestra e come didatta, unitamente all’interesse per le metodologie tecnico-didattiche e allo studio dei manoscritti, in particolare quello dei Capricci di Paganini che ha portato alla revisione da me curata e realizzata negli anni Settanta, citata nel libro “Il Violino nella storia” di Enzo Porta, che è stato uno dei miei maestri.
Nel corso della tua fulgida carriera hai vinto numerosi concorsi nazionale e internazionali, come scritto nel libro “La Fisarmonica Italiana” di Bio Boccosi e Attilio Pancioni, grazie alla tua «tecnica pulita e precisa, oltre alle tue doti interpretative che rispecchiano una sensibilità artistica di grande rilievo». Sotto l’aspetto dello studio e della preparazione, che tipo di percorso hai intrapreso per raggiungere un livello così alto di maturità tecnica e comunicativa?
Iniziai lo studio della fisarmonica a dieci anni, a Luino, con Pietro Bertani, maestro della banda cittadina, e con lui stesso, due anni dopo, cominciai lo studio del violino. Fu lui a introdurmi alla scuola “Farfisa” di Milano diretta da Aldo Ceccato, fisarmonicista prima che famoso direttore d’orchestra, e per violino al compianto Enzo Porta, noto didatta e allievo dello stesso Bertani durante il periodo bellico, docente presso la “Scuola Civica di Musica” di Milano. Fui così il primo allievo della scuola ad essere presentato per l’esame di diploma al conservatorio di Milano che sostenni nel 1962. Per quanto riguarda l’aspetto tecnico, oltre allo studio e alla preparazione per i concorsi, la precoce attività nelle sale da ballo iniziata intorno ai dodici anni, e soprattutto le stagioni estive dal 1957 al 1965 nei caffè-concerto della vicina Svizzera, mi concessero la possibilità di eseguire pezzi originali e trascrizioni in quelli che erano dei veri e propri concerti giornalieri. Nello stesso periodo, su consiglio di Bio Boccosi, diedi vita a una scuola di fisarmonica Farfisa. Inoltre, parallelamente studiavo violino frequentando le lezioni a Milano e partecipando all’attività della Camerata di Cremona come violinista e violista. E fu con questa formazione che iniziarono tournée.
Nel gennaio 1965 venni scritturato come violinista del “Teatro Massimo” di Palermo. Quasi a fine contratto, il 12 giugno, Salvatore Cicero, eccellente violinista e spalla dell’”Orchestra Sinfonica Siciliana”, mi presentò a Orlando Barera, direttore della “El Paso Symphony Orchestra” (Texas), che mi propose la registrazione del concerto consegnandomi la partitura. Due giorni dopo ero nuovamente a casa con la mia “Artist VI”, abbondonata per sei mesi, a studiare il concerto di Creston dalla partitura manoscritta e il programma richiesto per il concorso di violino al “Teatro alla Scala”. La parte di fisarmonica mi venne recapitata solo alla fine del mese (dieci giorni prima della registrazione) e negli stessi giorni cominciai a suonare tutte le sere al solito caffè-concerto. Grazie a un sostituto riuscii a partecipare al concorso il giorno 7 luglio alla “Scala”, per poi correre a Roma per la prova del concerto il 9 e per la registrazione il 10 luglio, in diretta. Mi invitarono a eseguire questo concerto da cima a fondo senza interruzioni, qualsiasi cosa fosse successa. Dell’”Orchestra della Rai” di Roma facevano parte noti concertisti come Angelo Stefanato (violino di spalla), Dino Asciolla (prima viola), Franco Petracchi (primo contrabbasso) e, non ultimo, il flautista Severino Gazzelloni, che possiamo ascoltare notevolmente impegnato nell’Andante pastorale del concerto. Due particolari curiosi: il direttore, Orlando Barera, era figlio del famoso violinista e didatta Federico Barera, che ebbe come allievo il mio primo maestro di violino (il già citato Pietro Bertani n.d.r.). La prima volta, come spettatore al “Teatro della Scala”, il programma diretto da Pierre Monteux comprendeva, oltre al concerto per violino di Antonín Dvořák suonato da Nathan Milstein, oggetto del mio interesse, anche la Seconda Sinfonia di Paul Creston.
In un teatro come la “Scala” la frequentazione di grandi direttori è pane quotidiano. Spesso l’ordine delle prove prevede anche tre figure diverse in un solo giorno, quindi ho avuto l’opportunità di cambiare ruolo e strumento frequentemente all’interno di una giornata. Nell’opera La vera storia di Luciano Berio, la fisarmonica era l’unico strumento solista in scena in duo con le voci di Milva e Daisy Lumini. In Un Re in ascolto, sempre di Berio, la permanenza in scena era continua, su una grande ruota girevole inclinata, così come dietro le quinte e con altri strumentisti. I direttori con i quali ho suonato erano sempre concordi sulla mia scelta dei registri. Un altro titolo che ricordo con soddisfazione è Wozzeck di Alban Berg, che ho suonato molte volte sotto la direzione di Claudio Abbado (alla “Scala” e all’”Opéra” di Parigi), James Conlon e Giuseppe Sinopoli, che durante una prova esclamò: «lei la conosce molto bene!» Nell’opera La condanna di Lucullo di Paul Dessau, su testo di Bertold Brecht, la fisarmonica impersona il protagonista ed è collocata al posto del primo violino. Una delle mie ultime collaborazioni è stata la partecipazione all’esecuzione della Cantata per il “XX Anniversario della Rivoluzione d’ottobre op. 74 di Sergej Prokof’ev con l’orchestra del “Teatro Mariinskij” di San Pietroburgo diretta da Valery Gergiev all’”Auditorium del Lingotto” di Torino. Per quanto concerne il concerto del cinquantesimo anniversario della “Scala” ricostruita, dopo aver suonato tra le file dei violini, sono passato alla fisarmonica con il coro di bambini in una “Scala” gremita e al massimo del suo fascino. L’esibizione è stata principalmente il passaggio da uno strumento all’altro nell’ambito della stessa serata.
A proposito di Riccardo Muti, in veste di fisarmonicista hai suonato in un progetto discografico (prodotto dalla Sony Classical) in cui il maestro ha diretto l’Orchestra Filarmonica della Scala, che ha eseguito e interpretato le musiche di Nino Rota. Sul piano tecnico e soprattutto espressivo, in che modo hai approcciato alle composizioni di un immenso artista come Nino Rota?
Nino Rota è stato il più grande compositore di musica da film, perché non era solamente un compositore di colonne sonore: lo si evince dal famoso tema de Il Padrino, dove la fisarmonica è utilizzata in maniera puramente solistica “con la base di un’orchestra sinfonica”. Invece, quanto agli altri brani, la fisarmonica faceva parte di vari organici jazz, di canzoni e danze popolari, tutti coordinati da Riccardo Muti. L’impostazione jazzistica la ritroviamo anche nel balletto La Strada, composto da musiche dell’omonimo film, che ho avuto l’opportunità di suonare molte volte.
Il mio interesse per le trascrizioni risale ai primi anni della mia attività quando, ancora con pennino e calamaio, trascrissi sinfonie da opere e alcuni Capricci di Paganini con accompagnamento di pianoforte, fino ad arrivare al completamento di tutti i ventiquattro Capricci in anni recenti. Il mio scopo primario è quello di ampliare il repertorio classico per fisarmonica solo con pezzi originali per due o più strumenti invece di un solo strumento. Sono pezzi per fisarmonica standard, ma la scrittura nei bassi corrisponde sempre all’originale, perciò in alcuni casi occorrono i bassi liberi o l’uso dei registri. Il repertorio comprende capolavori che vanno dal Settecento al Novecento, con particolare riguardo ad un accompagnamento dove gli accordi composti funzionino musicalmente e tecnicamente. Ad esempio, le Sonate e Partite di Johann Sebastian Bach, i Capricci di Niccolò Paganini, le Danze ungheresi di Johannes Brahms, la Serenata di Franz Joseph Haydn e il Largo dal Triplo concerto di Ludwig van Beethoven (dedicato alla memoria dell’amico Gervasio Marcosignori).
Digitando www.aldoturconi.com è possibile scaricare questi brani su richiesta».