“COME MARE SQUARCIATO D’ESTATE”
Il futurismo musicale
(terza parte)
Il Vocabolario Treccani online recita così: “quadratura s. f. [dal lat. tardo quadratura, der. di quadrare «ridurre a quadrato»]. […] In musica, la formazione di una melodia strofica che si snoda in frasi composte di quattro misure ciascuna”. Francesco “Balilla” Pratella consacra il terzo manifesto del futurismo musicale alla sua demolizione.
Con incedere tipicamente futurista, Pratella introduce così il manifesto: “Il ritmo è un cuore umano che pulsa; i suoi accenti di posa e di moto sono ondate di sangue vivo che ad esso affluiscono e da esso traboccano”. Poi, qualche cenno storico-letterario e musicale necessario a focalizzare la questione della quadratura. Verso la fine del medioevo, al tempo dei trovatori, accanto alla musica religiosa e a quella popolare nasce, ricorda Pratella, la musica borghese, un genere, secondo lui, “facile, buono per la digestione tranquilla” e al quale va imputato il preconcetto della quadratura nella composizione, una vera e propria epidemia, che ancora oggi “infetta l’intero campo musicale”. A quei tempi, poesia e musica erano sempre congiunte e condividevano termini come “sirventese”, “ballata”, “canzone”, “sonetto”, ecc., così come le forme simmetriche, misurate, replicate dopo dati periodi con lo stesso ritmo. “Il poema di Dante e la sinfonia di Beethoven” – prosegue Pratella – “vanno soggetti entrambi alla tirannia di una quadratura di piccola danza borghese”.
Conseguenza di tutto ciò deve essere anche la caduta dei termini di “andante”, “allegro”, “allegretto”, ecc., che Pratella ritiene insignificanti. I tempi di una composizione musicale esigono di essere chiamati con espressioni che corrispondano allo stato d’animo dell’artista nel momento della creazione. Con l’ottimismo e il trionfalismo che li contraddistingue, i futuristi, per mezzo di Pratella, proclamano, concludendo il manifesto, di aver definitivamente distrutto la quadratura secolare, e acclamano “al sentimento libero del ritmo e dell’espressione […]. Nessun direttore d’orchestra potrà mai sottomettere i battiti del cuore al dominio di una bacchetta — melanconico pendolo sonnecchiante. L’ordine è un vecchio poliziotto, che non ha buone gambe per correre; noi, futuristi, creiamo il nuovo ordine del disordine”. Obiettivo mancato, certamente, ma al quale va riconosciuto «l’onore delle armi» per essere stato elaborato prima degli epocali sovvertimenti operati da Schönberg e da Stravinsky, che dei futuristi fu sì, amico, ma non sodale.
Nella prima parte di questo articolo, avevamo lasciato il compositore russo in compagnia di Marinetti, Russolo e altri, che gli illustravano l’Intonarumori. Nonostante il parere (taciuto) non esattamente entusiastico su quello bizzarro strumento, la collaborazione tra Stravinsky e i futuristi non era morta in quell’occasione. Nel 1915 (secondo i ricordi di Stravinsky, 1917), a Roma, Giacomo Balla dipinge il fondale del balletto Fuochi d’artificio.
Spassose, ma, a dir poco, riduttive alcune delle affermazioni di Igor Stravinsky. Non tanto sulle dinamiche musicali del futurismo, quanto su altri aspetti di quell’avanguardia. Sono diversi gli studiosi a ritenere che la scenografia di Fuochi d’artificio rappresenti addirittura un punto di svolta nel lavoro di Balla per il teatro.
Nel 1916, è Fortunato Depero a concepire le scene per un nuovo balletto di Stravinsky, Le Chant du Rossignol. Sergej Djaghilev (1872-1929), impresario, creatore e direttore dei Ballets Russes, gli affida la realizzazione dello scenario, al quale Depero aggiunge i costumi, che descrive così: “rigidi, solidi nello stile, meccanici nei movimenti; allargamenti grotteschi di braccia e gambe larghe e piatte; mani a scatola, a dischi, a ventagli di dita lunghissime, appuntite o suonanti. […] Feci anche per quello stesso ballo uno scenario costruito, che consiste in una gigantesca flora tropicale meccanica; […] intricato giardino meccanico florescente; sonorità plastiche; autentica cristallizzazione di un’orchestra festante”.
Ma il lavoro, felice e interessantissimo sotto il profilo artistico, non risulta adeguato alle esigenze della danza e Djaghilev rigetta il progetto, che stride con la propria concezione della scena, che deve essere un semplice fondale pittorico, bidimensionale, davanti al quale il ballerino si muove valorizzando la propria fisicità.
PER APPROFONDIRE
BIBLIOGRAFIA
DE MARIA, Luciano (a cura di), Per conoscere Marinetti e il futurismo, Milano, Mondadori, 1973.
FOSSATI, Paolo, La realtà attrezzata. Scena e spettacolo dei futuristi, Torino, Einaudi, 1977.
PRAMPOLINI, Enrico, Lineamenti di scenografia italiana, Roma, Carlo Bestetti – Edizioni d’Arte, 1950
PRATELLA, Francesco Balilla, Autobiografia, Milano, Pan Editrice, 1971.
RANDI, Elena, Protagonisti della danza del XX secolo. Poetiche ed eventi scenici, Roma, Carocci, 2014.
ROSSI, Mattia, Rumorosi pentagrammi. Introduzione al futurismo musicale, Chieti, Solfanelli, 2018.
SERT, Misia, Misia, Milano, Adelphi, 2012.
STRAVINSKY, Igor, CRAFT, Robert, Colloqui con Stravinsky, Torino, Einaudi, 1997.
STRAVINSKY, Igor, Cronache della mia vita, Milano, SE, 2006.
LINK AUDIOVISIVI