Nel corso del tuo ricchissimo percorso di studi hai approfondito la conoscenza di strumenti come pianoforte, fagotto, organo e fisarmonica, oltre a studiare composizione organistica. Ma oggi sei particolarmente legato al fagotto e alla fisarmonica. Rispetto al piano e all’organo, senti di esprimerti meglio artisticamente da fagottista e fisarmonicista?
Il destino ha scelto per me quale fosse la strada più adatta. Ogni strumento si caratterizza per le diverse opportunità espressive. Il pianoforte, per me, rimane il compagno ideale per comporre, creare e cercare nuovi orizzonti musicali, quindi non potrei farne a meno. Il fagotto, invece, mi permette di eseguire tutta la letteratura classica dal 1700 a oggi, che possiede una vastissima gamma interpretativa, e infine la fisarmonica, quel “cavallo danzante” che mi libera dalle gabbie accademiche dell’orchestra facendo emergere il mio istinto musicale.
Dopo esserti brillantemente formato sotto l’aspetto accademico, il tuo fulgido talento ti ha permesso di calcare palchi praticamente a tutte le latitudini: dalla Svizzera alla Francia, dalla Germania alla Russia, dalla Georgia al Canada, dagli Stati Uniti all’Austria, passando per Slovenia, Ungheria, Svezia, Norvegia, Giappone. Fra tutte queste nazioni, hai riscontrato una maggiore educazione all’ascolto di una piuttosto che un’altra?
Suonando anche come secondo fagotto in una delle più importanti orchestre europee, quale l’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino di Firenze, ho avuto l’opportunità di esibirmi in trentacinque Paesi del mondo circa e nelle sale più importanti. Credo che i Paesi in cui ho percepito una maggiore attenzione all’ascolto siano Russia, Giappone, Germania, Austria e Ungheria. Tuttavia, la mia sensazione generale è che il livello della cultura musicale si sia abbassato notevolmente. Oggigiorno il pubblico batte le mani anche fra un tempo e l’altro di una sinfonia, indice di una superficiale conoscenza della musica classica.
Proprio in Russia, per esempio, hai tenuto dei concerti che ti hanno particolarmente segnato: quello alla sala della “Philharmonia” di San Pietroburgo e nella sala “Tchaikovsky” a Mosca. Potresti raccontare i momenti più significativi legati a queste due esperienze?
Esperienze, quelle in Russia, molto formanti, anche perché si sa che in quei luoghi hanno suonato i più grandi musicisti e compositori di tutti i tempi, per cui è come respirarne la storia. Inoltre, sono sale in cui l’acustica è sublime: rimane invariata dalla prima poltrona fino all’ultima, nonostante siano molto capienti. La prima volta in cui abbiamo suonato nella sala della Philarmonia di San Pietroburgo abbiamo commesso quasi un’eresia. Era inverno, tutta l’Europa era sotto uno strato di ghiaccio e San Pietroburgo a trenta gradi sottozero. Le nostre valigie sono andate perse, quindi non avevamo i vestiti, compreso quello da concerto. La sera dell’esibizione siamo apparsi in anfibi infangati e jeans sporchi. Si è sentito un forte brusio in sala, perché per loro era come profanare un tempio. Fortunatamente, il nostro violinista, che parla russo, ha spiegato loro l’imprevisto e il concerto è stato accolto magnificamente, malgrado il nostro outfit. Mentre a Mosca eravamo stati invitati dalla famosa violoncellista Natalia Gutman per onorare suo marito, Oleg Kagan, uno dei più bravi violinisti mondiali, due nomi che fanno tremare le gambe, e il tutto nella “Sala Tchaikovsky”. L’emozione era alle stelle: la responsabilità dell’evento, la sala, la città, tutto portava a una fortissima tensione. Per giunta, le prove erano state un delirio, perché il violinista sentiva maggiormente la responsabilità, ma alla fine fu un successo travolgente.
Sono state entrambe due esperienze magnifiche e totalmente differenti. Entrare negli studi della Rai fa già un grande effetto, ma camminare nei corridoi in cui sono passati tutti i più famosi musicisti, attori, registi, presentatori, fa altrettanto un certo effetto. Poi entri finalmente nello studio e il cuore batte a mille! Pensi: «Ci siamo, ora tocca a noi, dobbiamo suonare e onorare al meglio la storia, visto che per pochi minuti ne faremo parte». Mentre ai Concerti del Quirinale, sebbene entrare nella casa del Presidente faccia una certa impressione, è un po’ più semplice, poiché suoni davanti a un pubblico, quindi questo ti rinfranca diversamente dal suonare di fronte a un microfono.
Nel 2011 hai iniziato a studiare il bandoneón. Rispetto alla fisarmonica, ci sono sostanziali differenze tecniche ed espressive e particolari analogie fra questi due strumenti?
Non avendo fatto una scelta a monte su che tipo di bandoneón avessi voluto suonare, se bisonoro o cromatico, la casualità dettò la mia scelta e presi un Double A cromatico. Però, provenendo da una fisarmonica a piano con i bassi per quinte, è stato come approcciare a uno strumento completamente nuovo. Non aveva niente in comune con la fisarmonica. Per quanto riguarda l’espressività, invece, ritengo che non ci siano differenze sostanziali, tranne che nell’esecuzione dei tanghi: lì si apre un mondo totalmente differente. La marca, l’arrastre, gli accenti, le articolazioni esasperate, la libertà di fraseggio, bisogna approfondire il linguaggio del tango, non solo la tecnica dello strumento, altrimenti si corre il rischio di suonare il bandoneón come se fosse un organetto, allontanandosi dalla sua vocazione.
A proposito di strumenti, che modello di fisarmonica utilizzi nei concerti e in studio di registrazione?
Ho tre fisarmoniche: due Victoria a bassi sciolti e una Scandalli Air Vi a bassi tradizionali. Fondamentalmente, dipende dal genere musicale che vado ad affrontare. Tendenzialmente, adopero la Scandalli per la world music, mentre per il tango e per la musica classica la Victoria.
Soffermandoci invece sulla tua discografia, ha visto la luce un nuovo album, pubblicato dalla EMA Vinci, dal titolo Viaggio, realizzato con il Modern Trio Quartocolore. Quali sono le peculiarità stilistiche e comunicative di questo disco?
Dopo aver pubblicato due CD con il mio storico gruppo Klezmerata Fiorentina, in cui si eseguono brani della tradizione yiddish, questo è il mio primo disco di composizioni originali. È un concept album, incentrato sul viaggio fra diversi generi musicali, adoperando un linguaggio più consono che ci permetta di evocare nell’ascoltatore (appunto) viaggi, ricordi, storie e personaggi in equilibrio fra realtà e fantasia. Ma è anche l’inizio di un percorso alla scoperta di quali varietà timbriche si possono mescolare fra gli strumenti che ho scelto per la produzione del disco. Tutti i brani sono associati a diversi colori che formano anche il disegno della copertina del CD. Con me suonano Gabriele Savarese al violino e alla chitarra e Pietro Horvath al violoncello e al contrabbasso.
(Foto band di Alessandra Luppino – Foto solista Michele Monasta)