Francesco Moretti: silenzio e acqua, due elementi indispensabili nella vita e nella musica

Fisarmonicista profondo, curioso e colto, nonché musicista a tutto tondo, poliedrico, dalla mente elastica, Francesco Moretti traccia un ricchissimo excursus del suo vissuto personale e artistico, passando dal racconto della sua formazione musicale da studente alle esperienze professionali più significative, fino ai suoi nuovi progetti futuri, il tutto impreziosito da alcuni aneddoti molto interessanti.

Cominciando a parlare del tuo percorso di studi, nel 2017 concludi la tesi presso l’Accademia Reale di musica di Stoccolma a termine del biennio europeo di alta formazione musicale e ricerca performativa NAIP (New Audience Innovative Practice). La tesi è ispirata e dedicata a una prestigiosa figura della storia italiana: Umberto Eco. Potresti illustrare, nel dettaglio, le ragioni di questa tua scelta?

«Questa tesi ha avuto inizio, prima di tutto, da una mia profonda crisi personale e intellettuale che mi ha permesso di crescere molto durante la mia permanenza in Svezia. Risultato di un’accurata ricerca biografica, mette in discussione i ruoli, modernamente disgiunti, dei protagonisti della musica classica come quello dell’interprete, dell’arrangiatore, del compositore e del direttore, valorizzando il ruolo dell’improvvisazione in musica. Nella performance oggetto di tesi, dal titolo “Musicians Can Fly” e ispirata da Generazione di Messaggi Estetici in una Lingua Endenica, testo fondamentale per lo sviluppo delle riflessioni sulla semiotica di Umberto Eco, presentai uno spettacolo che volutamente sperimentava la rottura di certi cliché della musica classica e promuoveva il coinvolgimento dei musicisti, di formazione prettamente scolastica, nella creazione di paesaggi sonori e nell’interpretazione di musica italiana rinascimentale in forma di improvvisazione. Ne consiglio la lettura a chiunque sia curioso. Infatti, è disponibile online nel sito delle pubblicazioni universitarie “DiVA”, insieme alla mia tesi in fisica, anch’essa conclusasi a Stoccolma. Inoltre, ci tengo a specificare che la musica altro non è che un linguaggio. Nel 2016 Umberto Eco ci lasciava, oltre a saggi e romanzi, come disse lui stesso molto più belli e interessanti de Il Nome della Rosa, il lavoro collaborativo con Luciano Berio e le sue preziose considerazioni sull’arte e sulla musica in Opera Aperta. Nel 2013 giunsi in Svezia per terminare sotto la guida di Ola Karlsson, primo violoncellista dell’orchestra sinfonica della radio svedese, il biennio in musica da camera iniziato in Italia, a seguito del diploma decennale tradizionale in fisarmonica presso il conservatorio di Milano. Avevo quasi trent’anni e sentivo la necessità di esplorare più da vicino mondi e culture diverse. La Svezia, almeno inizialmente, è stata una scelta quasi del tutto casuale. Come spesso mi piacere ricordare: il più delle volte non è importante cosa si sceglie, ma semplicemente scegliere».

In precedenza, precisamente nel 2015, grazie alla frequentazione di un anno di formazione solistica post-laurea all’interno della stessa accademia, autoproduci un disco solista intitolato Repetita, con il supporto dell’azienda di fisarmoniche Bugari. Com’è stata la gestazione dell’album e qual è il mood di questo lavoro discografico?

«Anche questa esperienza è stata molto formativa e, come gran parte di quelle svedesi, così come alcune italiane, ad esempio la costruzione del mio sito internet, mi ha obbligato ad affrontare praticamente da solo tutto il processo produttivo. Tanta fatica, come sempre, ripaga perché insegna, quindi produce capacità e, se non il miglior risultato sul mercato, almeno uno autentico. L’album Repetita è costituito da una raccolta di mia scelta, in ordine cronologico dal Rinascimento al XX secolo, principalmente di trascrizioni musicali originali, da autori di varia provenienza europea e uno statunitense, i cui brani si svolgono su un frammento, un basso o comunque su una qualsiasi cellula melodica ripetuta. Gli unici brani originali sono gli ultimi due e più recenti: la Berceuse di Krysztof Olczak e Discontinuum, scritto appositamente per l’incisione del disco dal compositore milanese Mauro Di Vincenzo. Nel breve spazio di un compact disk, ho sentito il bisogno di racchiudere sia il percorso formativo classico ereditato dalla tradizione conservatoriale italiana, come l’Introduzione e Passacaglia di Max Reger che eseguii al diploma di strumento, sia il fascino che mi ispiravano le forme di musica ipnotica e ripetitiva. Per esempio, il Passacalio per archi di Biagio Marini, è una composizione che scoprii solo poche settimane prima di registrare. Negli studi di registrazione ho lavorato quasi esclusivamente con il tecnico del suono Erik Metall, poi alla regia degli altoparlanti e delle luci durante Musicians Can Fly. Nel disco ho voluto creare un’atmosfera acustica che, innanzitutto, fosse più verosimile possibile alla delicatissima intimità del suono diretto dello strumento, come lo potrebbe sentire il musicista stesso, senza l’aggiunta di artificiosi riverberi, ma solo con la piccola presenza di ambienti collegati al contesto storico di ciascun brano».

La Svezia, per te, non rappresenta soltanto un Paese fondamentale per la tua formazione musicale, ma anche una nazione che ti offre moltissimo in ambito concertistico, forse anche più che in Italia. Ad esempio, basti pensare alle borse di studio vinte, alle tue collaborazioni con i compositori locali, con Anita Agnas, alle partecipazioni nei festival di musica contemporanea e alla collaborazione con orchestre sinfoniche. Oltre a raccontare gli aneddoti legati a queste esperienze, dal tuo punto di vista, quali sono le sostanziali analogie e quali le differenze culturali fra Svezia e Italia?

«Innanzitutto, avere la fortuna di viaggiare e vivere un po’ in tutta Europa, non solamente in Svezia, mi ha permesso di comprendere veramente quanto la grande bellezza italiana risieda nella profonda e infinita diversità al suo interno, che si riflette dalla variopinta bellezza dei territori dei suoi abitanti, ancora prima di considerare gli innumerevoli scambi culturali e commerciali, le invasioni e le dominazioni che nella storia hanno reso questo Paese unico al mondo. Come le Dolomiti che, a detta dei più grandi esploratori alpinisti, sono le montagne più belle del mondo, perché in un brevissimo spazio raccolgono paesaggi meravigliosi e profondamente diversi. Allo stesso modo, anche se con meno variabilità, non si può parlare di una sola Svezia. Io ho vissuto principalmente l’ambiente di Stoccolma, conoscendo soltanto di passaggio Dalarna, Uppland e alcune regioni del sud. Però, posso raccontare quello che ho trovato in Svezia e difficilmente ritrovo ora che vivo nuovamente in Italia, pur vivendo attualmente fuori dalla popolatissima Lombardia e, per la prima volta nella mia vita, in una zona di campagna: il silenzio. Il silenzio nella vita di tutti i giorni, nei luoghi pubblici, nelle case private, nelle nuovissime aule studio con perfetta insonorizzazione dell’accademia reale. È quello stesso silenzio che rende la musica corale svedese così ricca di sfumature e delicatezze nell’intensità acustica che, per noi italiani, va dal nulla al pianissimo. Per questo motivo ho stretto collaborazione con il coro Uppsala Vokalensemble, diretto dalla appassionata Sofia Ågren e invitato il Maestro Irlando Danieli, insegnante di composizione al conservatorio di Milano, a scrivere per noi. Dopotutto, come solista insieme a loro, ho tenuto proprio in Italia i concerti con il pubblico più riconoscente e caloroso. Certamente la ricchezza italiana non credo esista così concentrata in alcun altro posto del nostro piccolo pianeta, anche per questo motivo sono tornato. Quindi credo di aver avuto pari opportunità durante la mia permanenza a Milano e a Stoccolma, sia in numero di concerti sia di collaborazioni con i compositori e con i musicisti locali. Ricordo infatti con estremo piacere sia l’esperienza come fisarmonica solista con l’orchestra Milano Classica nel 2012 sotto la direzione di Timoty Brock per l’esecuzione dal vivo di Golden Rush di Charlie Chaplin presso l’auditorium della università Bocconi di Milano sia, nel 2014, come solista con l’orchestra sinfonica Akademiska Kapellet di Uppsala diretta da Stefan Karpe, l’esecuzione in prima svedese di Correspondances di Henri Dutilleux, dove i brevi interventi della fisarmonica scandiscono anche due momenti intensissimi della composizione. Il primo è costituito da una sequenza ritmica come solo, in dialogo alternato coi legni, e il secondo il raddoppiando di un canto appassionato al soprano, accompagnato dagli archi».

Per quanto concerne invece i confini nazionali, nel lontano 2013 ricevi il premio “Rotary Club”, in duo con la violinista Elena Imparato, durante il biennio in musica da camera in Italia, appunto per la musica da camera con l’esecuzione della tua rielaborazione, edita da Suvini Zerboni, da fisarmonica a bottoni a fisarmonica a piano di Dario Di Viaggio di Giorgio Colombo Taccani, e inoltre il premio speciale “Rancati” per la migliore esecuzione di musica contemporanea, interpretando la trascrizione dell’autore stesso per violino e fisarmonica di “In die Tiefe der Zeit”di Toshio Hosokawa. Ci sono altri brani editi che ti hanno visto coinvolto?

«La prima musica che chiesi di scrivere ad un compositore, poi edita da Physa, è legata ad una storia un po’ buffa. Era il 2013 e mancavano pochi mesi al mio primo esame di repertorio di musica da camera per il biennio. Avevo trovato musicisti interessati alla nuova musica e stavo provando con loro in formazione di duo con chitarra, con violino e cominciavo anche un brano con sassofono. Mancavano ancora alcuni minuti di musica per la realizzazione del programma d’esame e ho sperato di poter trovare in letteratura della musica che coinvolgesse fisarmonica e più di uno degli strumenti dei colleghi musicisti coi quali duettavo. Non trovandone, osai allora chiedere, più per gioco che seriamente, a Mauro Di Vincenzo, allora studente di composizione presso lo stesso conservatorio, un brano che includesse violino, fisarmonica, sassofono soprano e chitarra. Da questa improba sfida nacque appunto Divertimento, ed ebbi una prova di come la creatività non solo fiorisca proprio dalle limitazioni, ma ne abbia persino la necessità. A tal proposito avrei molti altri aneddoti di collaborazioni con compositori, sia italiani sia svedesi. Anche Discontinuum, ultimo brano del mio disco e dello stesso autore, fu edito da Physa e collaborai inoltre con Giovanni Pavesi per il brano De Bruna Löven, edito da Berben nel 2013 e, come recita la biografia dell’autore, fu da me eseguito in prima assoluta a Milano e ripetuto nel 2016 a Stoccolma in un concerto che includeva celebri autori quali Salvatore Sciarrino, Jonh Cage e Toshio Hosokawa».

A proposito di altre nazioni, hai tenuto un concerto solistico anche in Olanda, ma soprattutto in Islanda hai organizzato e suonato per un evento piuttosto singolare e a dir poco suggestivo: uno spettacolo presso la “Library of Water” di Stykkisholmur, una sapida commistione fra musica, poesia, teatro e danza. Dunque, nella tua musica, è presente il tema dell’acqua. Questo preziosissimo elemento naturale è una tua fonte di ispirazione sotto l’aspetto interpretativo?

«L’acqua è stata fonte di ispirazione soprattutto per compositori, i quali hanno incantato gli ascoltatori di musica classica. Ricordiamo alcuni celebri brani come Le fontane di Roma di Ottorino Respighi, Jeux d’Eau e La Mer di Claude Debussy, L’isola dei Morti di Sergej Rachmaninov, Scheherazade di Maurice Ravel e tantissime altre composizioni, direttamente o indirettamente influenzate dall’elemento vitale. A Stykkisholmur ho avuto l’opportunità di gestire alcuni musicisti internazionali per la creazione di una performance creativa, pur con scarsità di mezzi e di tempo, ispirandomi al luogo dove mi trovavo. Interlacciare diverse arti facendole dialogare è qualcosa che certo non contraddistingue solo me, ma che oggi si osserva sempre di più e fa parte di un processo naturale nella programmazione di eventi artistici su tematiche significative, per avere maggiore intensità ed efficacia nella comunicazione e conseguentemente facilità di fruizione per il pubblico. Nel tema dell’acqua mi ci sono trovato per un paio di volte sia per interesse al ruolo cruciale che questo elemento svolge per la vita sul nostro pianeta, tema ormai sempre più delicato, sia per pura fortuna. Dopotutto, per quanto riguarda la formazione e ricerca continua che mi hanno finora caratterizzato, si potrebbe citare un personaggio i cui scritti sono stati recentemente per me di grande interesse, ossia Bruce Lee: «Non essere un’unica forma, adattala, costruiscila su te stesso e lasciala crescere. Sii come l’acqua. Libera la tua mente, sii informe, senza limiti. Come l’acqua».

Focalizzando per un momento l’attenzione sul tuo strumento, utilizzi fisarmoniche Bugari. Quali sono le principali caratteristiche tecniche del modello che hai usato in studio di registrazione e utilizzi dal vivo?

«Utilizzo un unico strumento da quindici anni: un modello Artist piuttosto standard, compatto, dall’intonazione affidabile e ben bilanciato nel timbro fra le due tastiere, ma con la variante, per me utilissima, di avere due rinforzi meccanici ai bassi, che mi permettono maggiore varietà timbrica nel basso profondo. Ricordo ancora con gioia confusa il momento in cui imbracciai per la prima volta questo strumento e capii che finalmente molte di quelle sfumature e dinamiche di suoni che avrei voluto realizzare con il piccolo strumento da studio, che utilizzai fino alla licenza media di conservatorio, stavano per diventare finalmente possibili. Col tempo mi accorsi anche che le voci fatte a mano avrebbero avuto una resa di gran lunga migliore dopo alcuni anni di intenso uso dello strumento. Non ci sono state quindi differenze di strumento dal vivo o registrando, poiché ho sempre sentito lo strumento appunto come uno strumento, un mezzo, e non come un fine di ricerca, ma anche come un oggetto molto personale, come la bicicletta. Infatti, se si osserva bene la bici, nei primi minuti che la provi, non sembra nemmeno dritta. Pur essendo solo una bicicletta come tante, che a molti può sembrare un oggetto definitamente rigido, si è nel tempo microscopicamente adattata al corpo e alla pedalata del tuo amico. E anche il tuo amico, con essa, ha una confidenza e una resa speciale».

Alla tua intensa attività concertistica, affianchi quella di didatta. Oltre ai più svariati ed elogiabili progetti che ti vedono impegnato come docente, che tipo di rapporto cerchi di instaurare, in primis a livello umano, con tutti i tuoi allievi?

«Prima di andare in Svezia ho insegnato molti anni. Infatti, poco dopo maggiorenne, iniziai presso la Civica Scuola di Musica e Danza di Desio, nella quale ho lavorato dieci anni istruendo numerosi alunni e per la quale scrissi anche i nuovi programmi di studi. Ho inoltre avuto la fortuna di collaborare a progetti come il progetto Rom per l’integrazione, all’interno del conservatorio di Milano, e l’accademia Oliver Twist, in via Santa Marta, che avevano come scopo la crescita della personalità dei giovani, spingendoli a coltivare passioni ed emozioni positive attraverso l’arte, la quale può essere un linguaggio condiviso che supera barriere fisiche, sociali e culturali. Queste esperienze didattiche e la condivisione del lavoro e delle riflessioni con colleghi più esperti di me, tanto per citare una figura fondamentale per la città di Milano, Pilar Bravo, mi hanno arricchito come persona e quindi anche come insegnante. Posso confessare di avere ancora il grosso difetto di pormi con ogni allievo alla pari, qualunque cosa io insegni. Dopo l’esperienza in Svezia non ho più insegnato fisarmonica, se non sporadicamente, ma sarei certamente felice di avere ancora occasione di condividere e donare quanto ho avuto l’opportunità e la volontà di imparare».

Pensando al futuro, hai in animo nuovi progetti?

«Nel nuovo territorio dove mi sono trasferito sto sviluppando alcuni progetti artistici e culturali e qualcosa di molto interessante sta nascendo nuovamente, dopo alcuni anni da una mia precedente prima esecuzione, dalla collaborazione con Christofer Elgh, attivissimo compositore svedese e docente presso la reale accademia di musica di Stoccolma. Inoltre, presto, verrà pubblicata una raccolta di musica che ho eseguito in prima assoluta e che ha visto il mio contributo nella stesura. Tra questi i giovani svedesi emergenti Kristin Boussard, Gustav Lindsten, il norvegese Nemanja Lakicevic, il già citato Christofer Elgh, il bergamasco Filippo Manini e lo jesino Saverio Santoni. Credo fermamente che la condivisione, esempio ne sia la struttura fondamentale del mondo scientifico, sia a vantaggio sempre di tutti poiché si tratta di qualcosa che arricchisce sia noi stessi nel momento in cui lo facciamo, sia il mondo in cui viviamo e al quale chiediamo sempre qualcosa perché ne dipendiamo. Infatti, quando posso, cerco sempre di condividere nel web, e in forma gratuita, i video o gli audio dei miei concerti, le mie esperienze e ricerche artistiche, tra cui anche le tracce del mio disco. Quindi, buon ascolto!»

 

(foto di Terese Ekman)

 

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