“Goethe è qui!” (1ª parte)

Beethoven, Goethe e l’intesa mancata

Teplitz, luglio 1812. Ludwig van Beethoven sta trascorrendo un periodo di vacanza e di cura nella cittadina termale boema. Spera che quelle acque salutari possano aiutarlo nella cura contro la sordità. In quello stesso periodo, vi soggiorna anche la giovane imperatrice d’Austria, Maria Luisa. Il luogo è ameno e si presta agli incontri mondani. Beethoven, però, non ama le frivolezze, si sente estraneo a quell’ambiente: “Di Teplitz non c’è molto da dire” – scrive amareggiato a Karl August Varnhagen von Ense, diplomatico e scrittore – “poca gente e tra questa niente di speciale. Quindi vivo solo, solo, solo”. Poi, una sorta di epifania. Il suo umore cambia in modo repentino. In città è arrivato l’uomo che, forse, ammira più di ogni altro: “Goethe è qui!”, riferisce, esultando, al suo editore Breitkopf.

Beethoven desidera ardentemente incontrare Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832), il più fine – e venerato – intellettuale dell’epoca, scrittore, poeta, drammaturgo, naturalista, genio fra i più possenti e versatili di tutti i tempi, protagonista assoluto di un profondo mutamento nella coscienza culturale tedesca ed europea. Lo desidera almeno dal 1809, da quando, cioè, ha ricevuto l’incarico di scrivere le musiche di scena per il suo Egmont, tragedia in cinque atti (1787). E, tanto più, da quando, nel 1810, ha iniziato a stringere alcune importanti relazioni nel mondo della cultura, a partire dall’amicizia con Bettina Brentano, scrittrice, sorella di Clemens, anche lui scrittore e poeta, e moglie di Achim von Arnim, uno dei maggiori esponenti del Romanticismo tedesco. Bettina Brentano, oltreché amica di Beethoven, è in stretti rapporti con Goethe. Il grande scrittore, in passato, ha frequentato la nonna di Bettina ed è stato innamorato della madre, che lo ha ispirato per I dolori del giovane Werther. Pubblicato nel 1774, quando Goethe ha venticinque anni, il romanzo epistolare appartiene a quella stagione che vede l’autore ancora partecipe della temperie preromantica dello Sturm und Drang. Successivamente, Goethe prenderà le distanze da quell’esperienza giovanile, fino ad avversare il Romanticismo. Con la maturità, sceglie, infatti, un «olimpico equilibrio», “il contenimento classico delle passioni” (Alfio Squillaci).

Beethoven è anche oggetto di profonda stima da parte di Ernst Theodor Amadeus (meglio noto come E. T. A.) Hoffmann, già famoso per i suoi racconti fantastici, che, avendo ammirato la Quinta Sinfonia, la recensisce per il periodico “Allgemeine Musikalische Zeitung” di Lipsia: “La musica di Beethoven muove le leve del terrore, del brivido, del dolore, e appunto per questo suscita quel palpito d’infinita nostalgia che è l’essenza stessa del Romanticismo”.

Anche se autodidatta, Beethoven è un compositore colto. Il suo mondo musicale è tutt’altro che avulso dal contesto letterario dell’epoca. Tra i contemporanei, oltre a Goethe e Hoffmann, predilige Schiller e Klopstock; tra i classici ama soprattutto Shakespeare e Omero: di Iliade e Odissea trascrive numerosissime pagine. La letteratura gli è indispensabile, “contribuisce a fargli comprendere il significato del proprio fare musica, a nutrire un umanesimo, che per lui rappresenta quasi un’idea religiosa della realtà. Beethoven usa la letteratura come uno scandaglio nella profondità della propria coscienza” – sostiene Alessandro Zignani, musicologo e germanista – “come una forma di autoanalisi. Da parte sua c’è una vera e propria immedesimazione nei personaggi letterari di cui si occupa”.
Sempre in quel 1810, Beethoven porta a termine la composizione delle musiche per l’Egmont.

Il personaggio celebrato da Goethe, il conte di Egmont, è un uomo di guerra – ma anche di pace – olandese, vissuto nel XVI secolo. Governatore e comandante generale delle Fiandre e dell’Arlois, aveva, infatti, cercato un accordo tra cattolici e protestanti. Goethe lo rappresenta come un uomo forte e pacato, fiero del proprio passato di militare, ma, anche, di quello presente di mediatore: un eroe che affronta il nemico a viso aperto – gli spagnoli che opprimono i Paesi Bassi – fortemente ancorato ai propri ideali di libertà, e che, pur avendone l’opportunità, non fugge davanti all’ombra del patibolo.

Quando il direttore dell’Hofburgtheater di Vienna, nel 1809, chiede a Beethoven di scrivere le musiche di scena per un nuovo allestimento della tragedia, il compositore accetta con entusiasmo. Nel progetto convergono, infatti, due elementi che gli sono particolarmente cari e congeniali: la smisurata ammirazione per Goethe e l’incarnazione, nel protagonista dell’opera, dei propri ideali – di derivazione kantiana – di libertà, di patriottismo e di estremo sacrificio, tesi a un scopo elevato e al bene collettivo. Come ha sottolineato Massimo Mila, uno dei nostri più autorevoli musicologi e storici della musica: “La vicenda individuale del personaggio storico viene superata in un’omerica celebrazione di ogni oppresso che lotta per la libertà. Per questa ragione si tratta di una delle composizioni in cui si manifesta più compiutamente il nobile idealismo eroico dell’animo di Beethoven, alimentato dalla lettura dei classici e dalla partecipazione appassionata agli eventi storici della sua età”.

Nell’ottobre di quell’anno, e fino al giugno del 1810 (il 15 di quel mese è la data della prima esecuzione), Beethoven lavora alla partitura, che comprende un’Ouverture, quattro intermezzi, due Lieder per soprano e orchestra, due melodrammi e una Sinfonia di vittoria.

Nell’Ouverture, in fa minore, Beethoven resta fedele ai principi della forma sonata. Volendo sottolineare l’intensità dell’azione sia sul piano drammatico, sia su quello psicologico, però, permea la musica di un vigore che affascina e coinvolge immediatamente l’ascoltatore. Un accordo all’unisono di tutta l’orchestra apre l’introduzione (Sostenuto ma non troppo); poi, un’alternanza, caratteristica di Beethoven, tra gli accordi gravi e inesorabili degli archi e gli spasimi invocanti dei fiati, dei legni, in particolare. Una breve frase lirica affiora, nutrita dal ritmo incalzante degli archi e dei timpani. Progressivamente, le voci «disperse» si richiamano l’un l’altra fino ad accorparsi e a erompere nell’Allegro, che coincide col momento della lotta “quasi a sfida contro la tirannide, ma i rudi accordi degli archi ritornano, riproponendo il tetro clima d’oppressione e la conseguente eliminazione dell’eroe ribelle” (Vincenzo De Rito). Un grande crescendo di archi e, poi, la tensione si smorza per introdurre una variante del primo tema con il confronto tra archi e fiati, che partorisce un clima d’inquietudine simile a quello dell’introduzione. La ripresa è giocata sulla “opposizione timbrica e dinamica tra il fortissimo di quattro corni e una frase dolente degli archi. Tutto improvvisamente si arresta su un accordo in pianissimo, un momento di calma prima del crescendo e dell’accelerazione ritmica” (Gianluigi Mattietti), che sfociano in una fanfara gioiosa dei fiati: è morto l’eroe, sì, ma non i suoi ideali. Non una sconfitta, ma una glorificazione.

Il 12 aprile 1811, Beethoven scrive a Goethe per manifestargli l’entusiasmo con cui si era impegnato a tradurre in musica la sua tragedia e quanto desideri conoscere il suo giudizio in proposito: “Anche se fosse di biasimo sarà proficuo per me e per la mia arte, e sarebbe bene accetto come il più grande elogio”. Goethe è soddisfatto, vede una perfetta coincidenza tra le proprie idee e la musica di Beethoven.

Il rapporto tra quei due geni immortali, tuttavia, non sarà sempre caratterizzato da tanta armonia ed equilibrio. Il futuro di quella relazione, anzi, sarà segnato da un’intesa mancata.

 

PER APPROFONDIRE

BIBLIOGRAFIA

BIETTI, Giovanni, Ascoltare Beethoven, Roma-Bari, Laterza, 2016.
CITATI, Pietro, Goethe, Milano, Adelphi, 1990.
GOETHE, Johann Wolfgang, (a cura di Enrico Burich), Egmont, Milano, Ugo Mursia Editore, 1962.
GOETHE, Johann Wolfgang, I dolori del giovane Werther, Torino, Einaudi, 2014.
PORZIO, Michele (a cura di), Autobiografia di un genio. Lettere, pensieri, diari di Ludwig van Beethoven, Prato, Piano B Edizioni, 2018.
SAGLIETTI, Benedetta (a cura di), La quinta sinfonia di Beethoven recensita da E.T.A. Hoffmann, Roma, Donzelli, 2020.
ZIGNANI, Alessandro, Ludwig van Beethoven. Una nuova interpretazione della vita e delle opere, Varese, Zecchini Editore, 2020.

 

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