Cosa può desiderare un uomo di più che ballare un tango con una bella donna? La sensualità della danza del tango (grazie anche allo stretto contatto che c’è tra i ballerini) colloca in modo quasi automatico il ruolo delle donne come le destinatarie principali dei desideri degli uomini (ballerini) che entrano nel Café (o Milonga o Academias, ecc.). Che l’uomo miri anche a far conoscenza della donna e, magari, possa anche sperare nella nascita di una relazione, viene dopo, rimane secondario: l’uomo tanguero che ha ballato con una bella donna esce dal locale comunque soddisfatto. Come non ricordare che gli uomini ballavano il tango tra di loro per allenarsi e così poter fare una bella figura una volta messi alla prova con una donna? Questi aspetti hanno sicuramente tenuto lontano le donne dalle orchestre di tango, perlomeno nella fase iniziale della diffusione di questa danza/stile musicale. Ciò non significa che alle donne non fosse consentito di suonare e studiare uno strumento; quelli più frequenti nella pratica femminile, in Argentina, erano, all’epoca, il pianoforte e la chitarra. Però, molto spesso, l’esecuzione di fronte ad altre persone era relegata, per le donne, al solo ambito domestico. Non era facile per una donna strumentista entrare nel circuito dei musicisti di professione; inevitabilmente, gli uomini professionisti nelle orchestre di tango erano piuttosto avvezzi a fumare molto, bere alcolici e giocare d’azzardo: tutte cose disdicevoli per delle donne rispettabili. Se queste erano le motivazioni che tenevano le donne alla larga dalle orchestre di tango, al riguardo dell’esecuzione al bandoneón ce n’era una in più. Ben lontani ancora dall’Astor Piazzolla dagli anni Sessanta, che appoggiava il suo bandoneón sulla sola gamba destra rialzata da un piccolo sgabello, la posizione tradizionale dei bandoneonisti prevedeva l’adagiarsi del mantice sulle due gambe, le quali accompagnavano l’apertura dello stesso allargandosi per fare da supporto per il peso. Tenendo ben presente che i bandoneonisti, di solito, si collocavano in prima fila, immaginate voi una donna su di un palco rialzato che allargava e restringeva ripetutamente le gambe…
Ebbene, nonostante tutte queste complicazioni, nel 1900, a Buenos Aires, nacque Paquita Bernardo, la prima donna bandoneonista della storia del tango. Inizialmente, Francisca Cruz Bernardo (questo era il suo vero nome) si era dedicata allo studio del pianoforte. Ma, nella stessa scuola di musica da lei frequentata, veniva insegnato anche il bandoneón: così, lei conobbe lo strumento a mantice e se ne innamorò sfrenatamente. Dapprima, iniziò a studiarlo segretamente; in seguito, dopo aver persuaso il padre, più apertamente. Com’era usanza all’epoca, le famiglie erano solite far incontrare i propri figlio/figlia per farli “accasare” in modo “adeguato”. Bene, ad uno di questi tentativi Paquita smorzò subito gli approcci del rampollo di turno chiosando ruvidamente: “ma io sono già sposata: ho sposato il mio bandoneón”. Di certo, il suo anticonformismo fu uno degli elementi fondamentali che fecero di lei una grande musicista. Sviluppò la tecnica strumentale con maestri di primissimo piano come Pedro Maffia, Augusto Berto (anch’egli autore di un Metodo per bandoneón come Maffia) e Enrique García. Dopo essersi formata le ossa in varie orchestre, a soli ventuno anni, quindi nel 1921, formava l’Orquesta Paquita, che iniziò ad esibirsi nel Café Domínguez. Si narra che la polizia fosse costretta a deviare il traffico a causa della lunga fila che si formava all’esterno del locale: tutti, infatti, erano desiderosi di vedere e ascoltare il tango, così come lo dirigeva una donna.
Un aspetto di rilievo di questa orchestra era costituito dalla presenza di due adolescenti di indubbio prestigio: al violino Elvino Vardaro e al pianoforte Osvaldo Pugliese (entrambi cinque anni più giovani di Paquita), figure su cui la perspicace direttrice era stata disposta a scommettere nonostante un intuibile difetto di esperienza. La sua fama cresceva sempre più e, nel 1923, Paquita era l’unica donna tra una miriade di uomini invitata a partecipare al Teatro Coliseo a La gran fiesta del tango. Come compositrice ci ha lasciato circa quindici brani; tra questi i più noti sono Soñando, Villa Crespo (il nome del quartiere in cui lei aveva vissuto da bambina), Cerro divino (valzer composto in omaggio alla città di Montevideo), Floreal (inciso dall’orchestra di Juan Carlos Cobián); poi c’è Cachito (tango dedicato al figlio del titolare del Café Domínguez) a cui Francisco García Jiménez aggiunse in un secondo momento un testo trasformandolo in La Enmascarada (brano di grande successo che sarà cantato dal grande Carlos Gardel e poi anche inciso da Roberto Firpo). Francisca Cruz Bernardo non arrivò a compiere venticinque anni: una polmonite fatale ne interruppe bruscamente la carriera impedendole anche di arrivare per la prima volta (come donna bandoneonista) in una sala di incisione discografica.
Per comprendere ancor di più l’importanza della figura di Paquita Bernardo, meritano un approfondimento le vicende del Café Domínguez. Il locale si trovava a Buenos Aires, al n. 1537 dell’Avenida Corrientes (una delle strade principali del tengo e della vita notturna della città). Dapprima, aveva inaugurato sulla stessa grande Avenue al numero 925; al numero 1537, questo Café si era andato a collocare affianco al Café Iglesias, di fronte al Nuovo Teatro, luogo dove, negli anni a seguire, sarà edificato il Teatro Generale San Martín. Si sono esibite per dei periodi, in questo importante Café, le orchestre di Francisco Canaro, Roberto Firpo e del bandoneonista Juan Pacho Maglio. Il Café Domínguez è stato celebrato da Angel D’Agostino in un tango che porta il suo nome, e anche dai versi poetici di Celedonio Flores (nella poesia Tristezas) e del grande Enrique Cadícamo (nella poesia intitolata Bar Domínguez). Comprendiamo, così, l’importanza del fatto che un locale di tale popolarità fosse arrivato a offrire, nel 1921, ben seicento dollari al mese con un regolare contratto alla giovane bandoneonista Paquita. A posteriori, potremmo dire una scelta più che azzeccata. Chissà cosa ci avrebbe musicalmente lasciato Paquita se fosse vissuta più a lungo…