La tua passione per la musica e per la fisarmonica scaturisce da una tradizione familiare. Potresti raccontare qualche aneddoto a tal proposito?
Sì, esattamente. Mio nonno era un fisarmonicista che ha studiato anche musica classica, per cui mi ha trasmesso questa passione attraverso l’ascolto di alcuni vinili e dischi delle grandi orchestre, delle più importanti big band, oltre a Frank Sinatra. Ma la sua particolarità, mentre mi indirizzava all’ascolto della buona e vera musica, era quella di farmi notare come essa non dovesse mai essere soltanto un sottofondo. Addirittura mi consigliava di sdraiarmi sul letto, di chiudere la porta a chiave e di prestare molta attenzione a tutta la sezione dei fiati quando si trattava di un’orchestra, piuttosto che degli archi, ad esempio. Grazie a lui, tutt’ora, sono sempre molto attento all’ascolto della musica, dagli arrangiamenti alle linee di basso. Oggi possiedo la sua fisarmonica, la “Paolo Soprani”. Poi, purtroppo, è venuto a mancare, dunque ho proseguito gli studi con Giuseppe Pagni. Successivamente, poiché all’epoca non esisteva il diploma in fisarmonica, perchè era un titolo che non veniva riconosciuto, ho intrapreso lo studio del clarinetto per raggiungere (appunto) il classico “pezzo di carta”, per tre anni circa, per poi entrare in conservatorio. Questo, anche perché le classi di pianoforte erano già tutte al completo. Contestualmente, però, iscrivendomi al “Cedem”, studiavo parallelamente clarinetto e pianoforte, poichè lo studio del piano rappresentava realmente il mio obiettivo in quel momento. A proposito dell’approfondimento vero e significativo dello strumento, noto che oggigiorno molti ragazzi si perdono d’animo quando non riescono a eseguire tecnicamente un determinato passaggio nel modo corretto. Io, invece, al contrario, già da ragazzino, mi dedicavo ore intere per cercare di trovare la tanto agognata pulizia esecutiva.
Dal punto di vista del genere musicale, sotto l’aspetto stilistico, come ti collochi?
Sicuramente non mi ritengo un jazzista, però ho avuto la fortuna di suonare con alcuni jazzisti di assoluto livello come Fabrizio Bosso, Marco Tamburini, Luca Bulgarelli, Massimo Moriconi, Glauco Di Sabatino, Arturo Valiante. Per queste collaborazioni sento di ringraziare soprattutto Glauco Di Sabatino e Paolo Di Sabatino, che mi hanno dato l’opportunità di conoscere questi eccellenti musicisti jazz.
Dal lato compositivo, quali sono le peculiarità principali delle tue composizioni originali e quale la tua visione della musica in generale?
Senza dubbio la padronanza tecnica dello strumento è fondamentale, ma io punto molto di più sulla riconoscibilità, su un profondo senso melodico.
Visto e considerato lo studio sia dalla fisarmonica che del pianoforte, ti senti più fisarmonicista o pianista?
Con la fisarmonica sono indubbiamente più a mio agio. Infatti, se mai dovessi fare un concerto in “Piano Solo” sarei molto più teso, perché non mi sentirei tanto nella mia comfort zone. La fisarmonica, a mio avviso, è uno strumento molto più fisico rispetto al piano, quindi la prediligo anche per questo motivo.
Restando in tema di fisarmonica, c’è qualche fisarmonicista in particolare al quale ti ispiri?
In realtà no, perché grazie a tutto l’ascolto che mi ha sempre suggerito mio nonno e che anche io, tutt’ora, continuo a praticare, ho sempre cercato di attingere da svariati musicisti e generi musicali. Quando compongo un nuovo brano sono piuttosto celere. Una volta scritto sullo sparito, il giorno dopo è praticamente già depositato in SIAE. Addirittura, durante la pandemia, ho composto una sonata per pianoforte in una sola settimana, con tutti i tre tempi. In sostanza, in due settimane, l’ho scritta e incisa in studio di registrazione.
Attualmente che modello di fisarmonica stai suonando?
Ho una “Brandoni” doppio cassotto che mi soddisfa parecchio, soprattutto per il suo suono molto potente. Devo dire che ho un rapporto idilliaco con questa azienda, anche perché viaggiamo sulla stessa lunghezza d’onda sul piano della mia concezione artistica, questo perché sono piuttosto intransigente sulla scelta della musica da proporre.
Senza ombra di dubbio i concerti a Castelfidardo, poi le esperienze jazzistiche con Marco Tamburini, Fabrizio Bosso, Massimo Moriconi e Arturo Valiante. Il mio mantra è «Vai con chi è meglio di te e pagaci le spese». Questo detto mi accompagna sempre per migliorarmi. Soprattutto dai quattro musicisti sopracitati ho imparato diverse cose, perché li ho ascoltati con grandissima attenzione, ho ammirato il loro fraseggio, il loro modo di suonare, proprio per crescere sempre di più.
Sei anche impegnato in qualità di didatta. Come affronti l’attività di docente?
Dirigo una scuola privata che si chiama “MusicaHdemia”. Son partito sedici anni fa con un mio socio, Sergio Rapagnà. Dopo il diploma in pianoforte volevo fare concerti e concorsi, ma avevo necessariamente bisogno del piano a coda che, notoriamente, costa un occhio della testa. Pertanto, avevo l’esigenza di cercare un lavoro per potermi compare il pianoforte a coda. Poi, grazie a mio cugino, sono riuscito a trovare un posto da operaio per la sua ditta di bevande, mestiere che ho fatto per tre anni e che mi ha consentito di pagare il pianoforte. Lui, vedendomi assai provato, mi diceva che avrei dovuto continuare a perseverare sulla strada della musica, tanto da dirmi di aprire una scuola. Così, sono riuscito ad aprire la mia scuola di musica, adibendo un locale di suo padre, che era un costruttore. All’inaugurazione, tramite una brillante intuizione di mio cugino, si esibirono singolarmente tutti i maestri che poi avrebbero insegnato lì. Ogni giorno organizzavamo fino a otto concerti, e anch’io feci un concerto in una chiesa, eseguendo la stessa sonata che suonai per il diploma, suscitando anche l’entusiasmo del sacerdote! Ci fu un boom di iscrizioni, e così l’avventura partì nel migliore dei modi.
Focalizzando l’attenzione sulle tue composizioni originali, qual è il brano che non potrai mai dimenticare?
I miei brani originali sono quasi tutti dediche a mia moglie. E probabilmente, proprio per questo, perché sono innamorato della mia dolce metà, emerge ancor di più la mia vena melodica. Alcune composizioni sono piuttosto articolate, ma sempre con la melodia al centro di tutto.
Invece, per quanto concerne la tua attività discografica?
Il mio primo disco in assoluto fu pubblicato nel 2008, in “Piano Solo”, un album di brani neoclassici. Successivamente incontrai a Roma, all’Arciliuto, una pianista che mi invitò a casa sua dicendomi che aveva una fisarmonica. Non la suonavo da venticinque anni, ma grazie a lei mi tornò la voglia di imbracciarla. Dunque, in due settimane circa, registrai circa dieci brani dal quale nacque un disco intitolato Ricomincio da Qui. Mandai alcune composizioni a Vincenzo Barbalarga, dell’etichetta discografica Barvin, e lui apprezzò molto la mia musica, tanto da invitarmi a suonare a Castelfidardo. Riuscii a vendere anche diverse copie del CD e ricevetti anche i complimenti dell’immenso fisarmonicista internazionale Frank Marocco.
Quali sono i tuoi obiettivi futuri?
Vorrei realizzare un mio Real Book, per il quale ho già un’idea di sound molto precisa. La particolarità dei miei brani è che, addirittura all’interno della stessa composizione, cambiano gli stili: dal latin jazz cubano a quello brasiliano, dalla musica gitana al jazz e così via. Io intendo sempre portare il mio contributo alla musica, senza pretendere chissà quale riconoscimento. Vorrei fosse sempre immediata: questa è l’espressione che amo utilizzare per la mia musica. Inoltre, vorrei che la mia fisarmonica “cantasse”, per far risaltare il più possibile il potere emozionale della melodia.
(Foto in evidenza Sergio Rapagnà – Foto nell’articolo Valter Sguerzi)