Come e dove vi siete incontrati? L’idea di mettere su un ensemble così eterogeneo, non solo dal punto di vista delle origini personali, ma, soprattutto, dal punto di vista dei background artistici, è stata una naturale conseguenza del vostro incontro o un’idea “studiata a tavolino”?
Nubras nasce tre anni fa, da un nucleo di musicisti con la passione per la musica dei Balcani. La formazione era un po’ diversa da quella attuale e prevedeva, diciamo tra i fondatori, me, Carla Mulas González (violino) e Giorgio Gadotti (sax). Questa formazione si è evoluta poi nel tempo, arrivando a quella stabile, che prevede l’inserimento di una voce, quella di Roxana Ene, di Igor Legari al contrabbasso, di Nino Conte alla fisarmonica e Giovanni Lo Cascio alle percussioni. Inizialmente, c’era anche un fisarmonicista libanese, Samah Boulmona, che è stato l’inventore di questo nome. Facendo tutti parte della Balkan Lab Orchestra, che è composta soprattutto da fiati, era molto complesso, per noi musicisti più delicati come violini e fisarmoniche, non essere totalmente sovrastati dal suono dei brass (le formazioni dei fiati, appunto) e quindi, all’inizio, volevamo chiamarci No Brass Orkestar, che sarebbe però stato discriminatorio nei confronti degli amici che suonano gli strumenti a fiato. Quindi Samah, per assonanza, ha detto: “ma sapete che c’è, invece di No Brass, Nubras, in arabo è un nome maschile e significa coraggioso”. Abbiamo poi scoperto che in urdu significa anche “lanterna”, la lanterna che illumina nuove strade: questa definizione ci è piaciuta molto, tant’è che compare anche nel nostro logo, in cui, oltre al nome, c’è questa figura umana un po’ trasfigurata (uomo-donna) che regge infatti una lanterna, in questo disegno che ci ha fatto un’amica illustratrice che si chiama Federica di Carlo.
Una bella coincidenza aver pensato originariamente ad un nome che avete poi scoperto avere un’assonanza con un termine che, in un’altra lingua, indica qualcosa di più profondo.
Esatto, è molto più affascinante e anche molto più giusto rispetto a temi e valori di cui ci facciamo portatori, anche singolarmente.
In che modo, quindi, questa metafora della luce, della lanterna, vi rappresenta nel concreto?
Io direi in questo senso: Nubras è composto da identità, persone, che vengono ovviamente da percorsi di vita, innanzitutto, molto diversi, da contesti sociali diversi e anche da formazioni musicali diverse. Io e Carla (le due violiniste) abbiamo una formazione classica, Roxana Ene (voce) e Nino Conte (fisarmonica) vengono invece più dal mondo del folk, Igor, Giovanni e Giorgio vengono dal mondo del jazz; anche se tutti, ovviamente, abbiamo questa comune passione per le musiche tradizionali. L’idea è di mettere insieme questi linguaggi, e anche le nostre estetiche, ciò che noi vogliamo raccontare, anche individualmente, costruendo però un nuovo percorso per la musica folk in Italia, che sia anche molto legato a delle sonorità più cameristiche e che, credo, sia anche il motivo per cui siamo riusciti a destare l’interesse di Rai Radio3 (abbiamo registrato una puntata de La Stanza della Musica, trasmissione particolarmente prestigiosa per i musicisti, a cui partecipare): rispetto alle classiche formazioni folk, ci sono degli arrangiamenti molto ricchi che richiamano formazioni di carattere cameristico, piuttosto che prettamente folkloristico. Questa ricchezza, in termini di arrangiamenti, oltre che di capacità tecnica ed esecutiva, credo sia stata anche uno dei motivi per cui, quest’anno, abbiamo vinto il premio “Ethnos Generazioni”, che ha riconosciuto questa caratteristica di cui ci facciamo portatori.
Quindi, il fatto di essere un gruppo eterogeneo, nasce comunque da una passione comune per la musica delle tradizioni, soprattutto dei Balcani.
Il nostro legame è proprio nato dallo studio del ricchissimo patrimonio di musiche dei Balcani, di cui in Italia è arrivata, fortunatamente, negli anni Novanta, una prima ondata legata al lavoro che Goran Bregović ed Emir Kusturica hanno fatto durante la guerra nei Balcani, portando fuori questa complessità; anche se Bregović è stato più portatore di un’estetica legata al mondo dei brass e delle orchestre di fiati serbe e macedoni. In realtà, stiamo parlando di un territorio molto vasto (geograficamente, i Balcani arrivano fino alla Turchia) e, per esempio, paradossalmente, la Romania è esclusa da questo apparato geografico, anche se, culturalmente, si avvicina molto. Se parliamo di Grecia, Turchia o Bulgaria (che rappresenta una sorta di ponte tra la parte settentrionale e quella più meridionale dei Balcani), parliamo di tantissime lingue e linguaggi musicali, in cui cambiano l’ornamentazione della musica, i modi di suonarla e i perché: è un mondo più complesso di quanto sia giunto a noi in Italia. Secondo me, tutto ciò dipende anche molto da quanto sono vive le comunità, di diversa nazionalità, all’interno dei vari Stati. Pensiamo, per esempio, alla comunità turca in Belgio: una comunità importante che ha portato con sé tantissimi musicisti che vivono di musica e alimentano la scena culturale di quel Paese, interagendo con i musicisti locali e portando, anche in maniera molto tradizionale, le loro estetiche. Questo non sta succedendo in Italia, o succede in maniera molto parziale, e fa sì che ciò che arriva sia una ricchezza, secondo me, meno complessa.
Quindi voi, in qualche modo, vi fate portatori di una complessità che riguarda quest’area così variegata in un Paese, come il nostro, che ha conosciuto solo in minima parte questa cultura.
Sì, abbiamo lavorato un anno con l’Istituto Bulgaro di Cultura, al fine di portare qui in Italia questi tre musicisti bulgari, con cui abbiamo fatto or ora una piccola tournée che è partita da La Stanza della Musica, poi siamo sbarcati a Firenze all’H/Earthbeat Festival (festival di world music), per poi arrivare a questa serata, da noi introdotta a Roma, proprio per dare la possibilità al pubblico di appassionati di non solo sentire la nostra versione e il nostro colore bulgaro, ma essere trasportati nel vivo della tradizione originale di quel Paese.
A proposito, avete anche inciso il vostro primo disco con questi musicisti bulgari: Bulgarian Routes (2023)
Esatto, il primo disco di Nubras è stato registrato nel 2023 in Bulgaria, grazie a un incontro che c’era stato, nel 2022, con alcuni musicisti che sono Borislav Galabov (suonatore di gadulka) e Kiril Belezhkov (suonatore di kaval), che insegnavano in un corso di musica bulgara, in Bulgaria: li abbiamo incontrati, abbiamo studiato con loro e abbiamo vinto il bando europeo “Culture Moves Europe”, con cui siamo riusciti ad andare in Bulgaria e coinvolgerli in questa registrazione, insieme anche a Diyana Vasileva (voce).
Quindi avete avuto modo di vivere ancora più da vicino la cultura di quell’area, non solo facendo ricerca a distanza, ma toccandola con mano
Assolutamente, è fondamentale andare nei Paesi di origine: essendo immersi lì, in quel suono, in quei colori, in quell’estetica, e anche ascoltando la lingua, si comprende molto di più.
Nei vostri brani troviamo sonorità che rimandano alla raffinatezza della musica da camera, ma anche all’energia della musica popolare, con sfumature jazz. Come è possibile riuscire a unire elementi sonori (apparentemente) così distanti, con una naturalezza e un’armonia tali che sembrano figli della stessa “matrice musicale”? Come nascono i brani?
Intanto, abbiamo la fortuna di avere all’interno del gruppo persone come Roxana, che è nata in Romania e cresciuta poi, dall’adolescenza, a Roma, nel quartiere Centocelle, e quindi è una portatrice diretta di questo patrimonio musicale; ma, in generale, siamo dei grandi ascoltatori di musica e, quando ci incontriamo, cerchiamo di portare le idee, di fare degli ascolti insieme a cui ispirarci, a cui ci piacerebbe dedicarci, iniziamo a provare, a scrivere delle melodie e, piano piano, poi, i brani prendono forma.
Poi, c’è una seconda fase in cui le idee musicali un po’ più strutturate vengono prese e arrangiate in maniera più corposa, in modo tale da creare dei contrappunti, delle seconde voci.
Solitamente, la musica tradizionale ha uno schema più semplice: devono essere delle musiche che più persone devono poter riuscire a suonare in maniera istantanea, e c’è un tema che viene fatto da tutti, in genere all’unisono, con un accompagnamento più o meno standard a seconda dei brani. Invece, arrangiare un brano in maniera più cameristica significa costruire dei colori, degli intrecci, che non pescano direttamente dalla tradizione folklorica, ma si rifanno anche a una tradizione classica, più colta.
Sempre a proposito di questo, nel corso della vostra attività concertistica, che è anche piuttosto intensa, avete suonato in contesti anche molto diversi tra loro: dai festival di stampo più folk all’Accademia Chigiana di Siena, per esempio. Come riuscite a modellare le varie anime del gruppo in base alla situazione in cui poi andate a suonare? Immagino che un vostro concerto non sia sempre uguale…
Questo è un tema non indifferente, nel senso che, spesso, nei festival più ballabili in cui il pubblico si aspetta di poter ballare, con ritmi molto più incalzanti, è necessario costruire un repertorio che sia più idoneo a quel contesto e anche una modalità interpretativa molto diversa, rinunciando magari a una ricerca del suono, che per noi è fondamentale, e cercando invece di trasmettere un tipo di energia molto più coinvolgente.
In un contesto più classico, come possono essere Rai Radio3 o l’Accademia Chigiana, il lavoro si fa, da un certo punto di vista, molto più interessante, attento e anche complesso, perché, per me, quello che è stimolante nel suonare è da una parte sicuramente far ballare le persone, che è una cosa stupenda, e quindi avere quel tipo di feedback e dare quel tipo di energia, dall’altra parte, invece, fare un lavoro molto più complesso sull’ascolto, sul suono, crea una ricchezza anche a noi musicisti ed è molto più sfidante, più affascinante e più complesso.
Sì, ricordo uno degli ultimi concerti molto grossi, in termini di pubblico, che è stato quello al Forte Prenestino di Roma, all’interno del festival Enotica, dove c’erano migliaia e migliaia di persone, anche con un certo grado alcolemico: è chiaro che i pezzi più d’ascolto, più delicati, che necessitano proprio una presenza diversa, vengono tolti in favore di brani ben suonati, ma che hanno un tiro e un timing diversi, e di una rimodulazione di brani, che magari vengono fatti con più respiro, in maniera più da festival.
Secondo me è un po’ un limite italiano il fatto che, per forza, la musica di un ensemble debba avere una voce: sembra molto strano quando proponiamo solo dei brani strumentali, perché magari nei contesti classici è molto diffuso ascoltare un concerto esclusivamente strumentale (e forse anche nel mondo del jazz), mentre nel mondo pop, world music e folk, la presenza di una cantante o di ritmi anche più incalzanti, solitamente, viene data per scontata. Poi, teniamo presente che la voce è stato, probabilmente, il primo strumento umano che sia esistito, quindi è chiaro che la presenza di una cantante o di un cantante è ipnotica, cattura e ha un potere gigantesco. Noi, spesso, ci chiediamo come riuscire a integrare sempre di più questa figura negli strumentali (magari con le prossime sperimentazioni), con la voce che non ha più una parola, ma è uno strumento-corpo che risuona insieme agli altri.
Mi sembra di capire che il vostro non sia un progetto finito: o meglio, lo è dal punto di vista della vostra identità ma, allo stesso tempo, potremmo definirlo una sorta di progetto aperto, in continuo divenire, pur partendo da delle radici solide.
Il nostro è un progetto a cui piace sperimentare: una delle cose, secondo me, più importante è che ha acquisito un suo suono definito; poi è chiaro che, in questa continua sperimentazione, il progetto si evolve, assolutamente.
Un vostro proposito per il 2025 era quello di dare più spazio a vostre composizioni originali. Qual è il processo compositivo in questo caso?
Sì, esatto, è quello che stiamo facendo. Come ti dicevo prima, ci sono due strade che seguiamo: la prima è che, se qualcuno ha fatto degli ascolti particolarmente interessanti, in cui ci sono degli elementi affascinanti che vorrebbe in qualche modo riprendere, iniziamo suonando insieme, quindi con un approccio più empirico (suonare e tirare fuori delle cose che poi verranno strutturate in un secondo momento); l’altra, invece, è quando qualcuno del gruppo porta già delle idee più strutturate, che quindi vengono provate, modellate e riarrangiate in maniera più definitiva. Tra l’altro, abbiamo in cantiere il nuovo album, che dovrebbe essere registrato a gennaio 2026, e conta quasi esclusivamente brani originali del gruppo. Qui, raccoglieremo in parte il lavoro che abbiamo presentato quest’anno, in vari contesti, più, appunto, dei brani nuovi, e questo sicuramente è un progetto importante per noi.
La nostra rivista ha come focus il mondo della fisarmonica. Tu suoni il violino ma, visto che la fisarmonica è uno strumento versatile che si adatta molto a diversi generi, tanto a quello popolare, quanto a quello più classico, vorrei chiederti il ruolo, o i ruoli, che questo strumento assume all’interno di Nubras.
Per quanto riguarda Nino e la modalità in cui suona la fisarmonica, lui è un grandissimo appassionato soprattutto di musica rumena ed è come se fosse il “burattinaio”, il regista sonoro: innanzitutto, perché ha in mano l’armonia, quindi ha un po’ le fondamenta su cui noi riusciamo ad appoggiarci e andare, poi, ha una funzione ritmica fondamentale. Spesso, peraltro, nelle formazioni – per esempio rumene – non vi è la percussione, ma la percussione è data dai ritmi portati dalla fisarmonica e dal contrabbasso (o dal cimbalom), per cui non è detto che sia necessaria una percussione per sostenere i ritmi. Poi, essendo un musicista di livello molto, molto alto, ha ovviamente una capacità melodica e improvvisativa particolarmente spiccata: lui e Giorgio sono un po’ gli improvvisatori del gruppo. Nino ha un approccio molto folk, è abituato a suonare decine di ore le tarantelle campane, o comunque suoni legati alle tradizioni folk del Sud, dove, più che prove, c’ è una performance continua.
Quindi abbiamo detto che per gennaio 2026 avete in cantiere il nuovo album, e invece i concerti?
Noi abbiamo avuto una serie di concerti: il 6 dicembre al Museo Nazionale degli Strumenti Musicali di Roma, il 18 a Rivoli (Torino), il 19 a Milano e il 20 a Lubiana (Slovenia). Il concerto per chiudere l’anno sarà, invece, il 26 dicembre alla Basilica di Santa Maria in Ara Coeli, a Roma: non sarà un concerto di Nubras, ma uno storico concerto organizzato e diretto da Luigi Cinque, il quale metterà insieme una serie di musicisti, tra cui anche musicisti Nubras.
Lasciaci un messaggio per i lettori, se ti va.
Inviterei tutti, più che ad ascoltare la nostra musica, a venire ai nostri concerti, quindi sicuramente avere questa esperienza della musica dal vivo, che è importante ed è un grande sostegno per gli artisti, soprattutto in questi tempi di guerre, di continui tagli alla cultura e di fallimento del genere umano. Ritrovarsi a un concerto per poter parlare insieme di ciò che sta accadendo è sicuramente importante per noi.
DISCOGRAFIA
Bulgarian Routes (autoprodotto, 2023)
Live in Rome (autoprodotto, 2024)
Foto: Andrea Melaranci
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