Nell’arco della tua lunga e gratificante carriera hai calcato i palchi di tutto il mondo, suonando in Francia, Germania, Belgio, Svizzera, Austria, Polonia, Svezia, Finlandia, Estonia, Lituania, Romania, Bosnia, Grecia, Ucraina, Repubblica Ceca, Russia, Nigeria, Cina, Stati Uniti. Come grado di attenzione all’ascolto e partecipazione emozionale durante i tuoi concerti, quale fra questi Paesi ti ha lasciato il ricordo più profondo?
È difficile rispondere, perché in trent’anni di attività concertistica le esperienze sono state davvero molto varie ed è cambiata anche la mia sensibilità, oltre al repertorio che propongo. Non è la stessa cosa trasmettere emozioni suonando Piazzolla o eseguendo Bach e Scarlatti, per cui è difficile paragonare l’approccio alle prime tournée a vent’anni con i concerti più recenti. Posso dire di aver capito che un pubblico freddo nelle proprie manifestazioni non è necessariamente annoiato o poco coinvolto (vale anche il contrario), quindi sto apprezzando sempre di più i concerti nei paesi del Nord Europa che, a inizio carriera, mi lasciavano spesso qualche perplessità. Tra le esperienze del passato non dimenticherò mai l’irrefrenabile e spontaneo entusiasmo degli studenti nigeriani che assistevano alle mie performance a Lagos.
Hai registrato per Rai 1, Rai Radio 3 (per i programmi “La Stanza della Musica” e “Piazza Verdi”), per l’”African International Television” e per emittenti nazionali polacche e greche. Queste esperienze mediatiche così significative hanno contribuito in modo determinante a incrementare la tua visibilità artistica?
L’hanno fatto in misura molto minore rispetto a quanto mi sarei aspettato. Mi riferisco soprattutto alle esperienze italiane più recenti (“La Stanza della Musica” e “Piazza Verdi”), dove ho proposto le mie collaborazioni con il violinista barocco Alessandro Tampieri e il violoncellista barocco Alessandro Palmeri. Ho presentato un repertorio nuovo per la fisarmonica, con uno strumento mai ascoltato prima col diapason a 415 e il “Temperamento Vallotti”, con due grandissimi musicisti piuttosto noti nell’ambiente della musica antica, ma al di là dei tanti apprezzamenti le ricadute concrete sono state davvero scarse.
Nella tua discografia sono presenti produzioni solistiche e collaborazioni con formazioni cameristiche che spaziano dal duo al sestetto nell’ambito della musica antica, del repertorio contemporaneo e del tango. Per affrontare stilemi differenti come questi è necessario essere stilisticamente il più eclettico possibile?
Penso che l’eclettismo faccia parte del nostro strumento, pertanto ritengo estremamente salutare praticare generi diversi sfruttando le grandi possibilità espressive della fisarmonica. L’importante è affrontare tutti i repertori con serietà e scrupolo, cercando di comprendere i diversi linguaggi e di maturare una consapevolezza espressiva che permetta di elaborare una proposta personale. Negli ultimi anni ho sentito l’esigenza di concentrarmi molto sul repertorio antico, quindi sono assai meno poliedrico di quanto lo fossi a inizio carriera, ma ribadisco che imbattersi in stili musicali diversi è fondamentale per la formazione di un esecutore. Aggiungo che, per i musicisti classici, è molto importante fare qualche esperienza nella musica leggera o almeno in quei repertori di confine, come il jazz o il tango, poiché questo genere di musica, soprattutto se praticato con altri strumentisti, aiuta ad ampliare la propria visuale, ad acquisire elasticità e a esplorare modalità espressive particolari che completano la tavolozza a disposizione dell’esecutore.
Nel corso della tua attività concertistica hai stretto numerose collaborazioni con musicisti del calibro di Michele Andalò, Fiorella Andriani, Luigi Attademo, Francesco Baroni, Bruno Cavallo, Luca Giardini, Kreeta-Maria Kentala, Lorenzo Micheli, Paola Nervi, Alessandro Palmeri, Rocco Parisi, Emanuele Segre, Jani Sunnarborg, Giorgio Tabacco, Alessandro Tampieri, Imbi Tarum. Potresti raccontare un aneddoto o un’esperienza particolare vissuta con uno di questi musicisti?
Sono tutte esperienze che mi hanno segnato e la maggior parte di esse, per le caratteristiche del mio strumento e per le mie scelte di repertorio, hanno assunto tratti originali e sperimentali. Ricordo con piacere per la sua particolarità la collaborazione con Kreeta-Maria Kentala (violinista barocca) e Jani Sunnarborg (fagottista barocco e danzatore), in un concerto inserito nella XXI edizione del Festival di Kokkola, in Finlandia. Il vulcanico Raimo Vertainen, direttore artistico della rassegna, mi invitò a partecipare al festival, chiedendomi di collaborare con dei musicisti finlandesi che non conoscevo e che avrei incontrato solo un paio di giorni prima del concerto. Kreeta-Maria e Jani sono dei musicisti straordinari, ma si trattava di inventare un ruolo per la fisarmonica nei brani in trio e un altro ruolo nei brani in duo con il violino barocco, mentre Jani lasciava lo strumento e danzava. Dunque, dato il pochissimo tempo a disposizione, fu un’impresa davvero ardua! Nonostante tutto, il concerto riuscì davvero bene e venne chiuso col botto dall’istrionico Raimo, che organizzò uno sketch conclusivo nel quale lui salì sul palco e, letteralmente, cacciò via a calci il danzatore che mostrava di voler continuare ad esibirsi!
Attraverso il tuo lavoro cerchi di valorizzare la fisarmonica a trecentosessanta gradi, contribuendo a far oltrepassare a questo strumento il perimetro dell’ambito popolare riconducibile alla sua genesi. Nello specifico, in cosa consiste questo genere di processo evolutivo?
All’inizio della carriera sentivo molto forte l’esigenza di riscattare in qualche modo il mio strumento, che era automaticamente associato all’ambito popolare e leggero e, spesso, ad esecuzioni approssimative e superficiali. Si trattava di mostrare al pubblico e ai colleghi musicisti che la fisarmonica aveva una sua nobiltà e che poteva inserirsi in un ambito colto ed elevato. Negli anni ho maturato la convinzione che il problema non sia tanto il repertorio, quanto il modo di affrontarlo e l’uso che si fa dello strumento, perciò ho imparato a contestualizzare le esperienze e ad apprezzare anche il lavoro dei fisarmonicisti che ci hanno preceduto e che hanno operato in ambiente classico-leggero o addirittura popolare. Non mi vergogno delle radici del mio strumento, restando convinto che siano una risorsa che molti altri strumenti colti non possiedono. Certamente, senza il lavoro di tutti i fisarmonicisti che hanno esplorato e adattato il repertorio del passato e che hanno incrementato il repertorio originale scrivendo nuova musica o sollecitando i compositori contemporanei ad avvicinarsi alla fisarmonica, il nostro strumento sarebbe ancora confinato in un ambito popolare, quindi sarebbe molto più povero di quanto lo sia adesso. Diciamo che, nel mio piccolo, lavoro per allargare le possibilità della fisarmonica e per proiettarla nel futuro, senza dimenticare la lunga strada che abbiamo percorso fino ad ora.
Negli ultimi anni hai focalizzato la tua attenzione particolarmente sullo studio del repertorio barocco e colto, portando la fisarmonica all’attenzione degli specialisti del genere e divulgando tra i fisarmonicisti, tramite seminari e masterclass, l’idea di una rigorosa ricerca filologica e stilistica applicata alla musica antica. Qual è stato il fattore scatenante che ti ha spinto e invogliato ad intraprendere questo lavoro?
È iniziato tutto al termine del mio percorso in conservatorio, nel 1996, quando cominciai a guardarmi intorno chiedendomi cosa avrei voluto fare da grande. All’epoca non era normale, come lo è adesso, andare a studiare con qualche docente importante, magari all’estero. Ma comunque io non vedevo dei fisarmonicisti che potessero aggiungere qualcosa di significativo agli insegnamenti ricevuti in conservatorio a Pesaro da Sergio Scappini. Fino a quel momento avevo affrontato diversi generi musicali e non avevo una particolare inclinazione per uno specifico stile, anche se i molti brani sei-settecenteschi imposti dal programma del cosiddetto “Vecchio Ordinamento” mi avevano incuriosito. Nonostante ritenga che la scelta di dedicare più di metà dei programmi di esame alle trascrizioni fosse assurda e costringesse docenti e studenti a destreggiarsi tra pezzi spesso non adatti alla fisarmonica e tra stili musicali complessi e a volte incomprensibili, la voglia di capire come suonare quella meravigliosa musica barocca mi spinse ad approfondire l’argomento. Da perfetto sconosciuto, chiamai Emilia Fadini chiedendole di impartirmi delle lezioni e da lì iniziò il mio lungo percorso di ricerca, che non si è ancora concluso e che mi ha spinto molto oltre le mie più rosee aspettative iniziali.
Ho iniziato da qualche anno una collaborazione con la ditta Scandalli, dopo aver suonato gli strumenti Bugari per una ventina d’anni e sono entusiasta del lavoro di sviluppo che mi ha coinvolto in maniera importante. È a dir poco gratificante per un musicista confrontarsi con interlocutori capaci e ricettivi e avere la possibilità di portare il proprio contributo alla crescita di uno strumento che è ancora molto giovane e che ha ampi margini di sviluppo. Il risultato più recente della nostra collaborazione è il modello “Extreme Diva”, che mi è stato consegnato in primavera e che è davvero straordinario per maneggevolezza, equilibrio e sonorità. Lo strumento è accordato a 442hz con il temperamento equabile, ma ne possiedo anche uno specifico per l’esecuzione del repertorio antico con il diapason a 415hz e il “Temperamento Vallotti”. Si tratta di un prototipo costruito qualche anno fa che è servito per sviluppare il modello “Diva”. Anche lo strumento “all’antica” è in via di sostituzione e tra qualche mese riceverò una nuova fisarmonica nella quale abbiamo deciso di togliere il convertitore e di lasciare solo le note singole a sinistra.
Oltre alla tua prolifica attività concertistica, sei impegnato come docente presso il conservatorio “Arrigo Boito” di Parma. Se a tuo giudizio c’è, qual è la sostanziale differenza fra l’essere un buon concertista e un buon insegnante?
Amo l’insegnamento, che pratico da quasi quarant’anni e sono convinto si tratti di un lavoro importantissimo, ma completamente diverso rispetto alla performance esecutiva. Non necessariamente un ottimo concertista è un ottimo docente e viceversa. Mentre per l’esecutore, però, il giudizio del pubblico ha un’importante e decisiva funzione di controllo e di stimolo – dunque le responsabilità sono essenzialmente personali – per il didatta, almeno in Italia, non ci sono di fatto seri meccanismi di selezione e di verifica della qualità del lavoro e purtroppo le responsabilità sono ben più ampie. In maniera del tutto casuale (parlo dei conservatori che conosco piuttosto bene e che, tra l’altro, dovrebbero essere le università della musica), possiamo trovare ottimi docenti o figure dalle scarsissime capacità didattiche e relazionali. Non c’è una selezione seria, non esiste una progressione di carriera, non ci sono verifiche credibili dell’operato degli insegnanti, dunque tutto è lasciato al caso e alla coscienza dei singoli. Chiedo scusa per lo sfogo e per essere andato un po’ fuori tema rispetto alla domanda, ma si tratta di una situazione grave, che diventa particolarmente evidente quando ci si confronta con la maggior parte dei sistemi educativi musicali all’estero.
Cosa c’è scritto nell’agenda artistica di Giorgio Dellarole da qui ai prossimi mesi?
Terrò alcuni concerti e seminari in Italia e, con l’arrivo dell’autunno, dovrebbero riprendere i viaggi all’estero: ho in programma una masterclass a Lubiana (Slovenia) a settembre e masterclass e concerti a Cracovia (Polonia) e a Danzica (Polonia) ad ottobre, mentre, a causa della pandemia e della difficile situazione geopolitica, dovrò ancora rimandare i viaggi che avevo pianificato verso Paesi come Cina e Russia. Al centro della mia attenzione, al momento, c’è la musica di Johann Sebastian Bach, che sto proponendo in concerto e che registrerò presto, dedicando un’incisione alle Suites francesi e un’altra ad alcuni Preludi e Fughe dal “Clavicembalo Ben Temperato”. Il progetto più importante che sto preparando è l’esecuzione dei tre concerti di Bach per due clavicembali e orchestra (BWV 1060, 1061 e 1062) con due fisarmoniche “all’antica”, con il diapason a 415hz e il “Temperamento Vallotti”. Il fisarmonicista che mi accompagnerà sarà Mirco Patarini che, oltre a dirigere la ditta Scandalli, è un ottimo esecutore attivo e curioso verso il repertorio antico. L’ensemble che condividerà il nostro lavoro sarà “L’Astrée” di Torino, uno dei gruppi di riferimento per quanto riguarda l’esecuzione informata della musica barocca e classica. È davvero entusiasmante avere la possibilità di interagire con un’orchestra così prestigiosa e penso che sia una testimonianza della credibilità che il nostro giovane strumento ha ottenuto presso i musicisti colti grazie al grande lavoro svolto fino a questo momento da esecutori, compositori e artigiani.
(Foto di Roger Berthod e Gianluca D’Amico)