Oltre alla fisarmonica suoni il bassotuba. Dal punto di vista squisitamente emozionale, hai una particolare predilezione per uno dei due strumenti?
Dunque, sotto l’aspetto emozionale non c’è una vera e propria predilezione, perché sono due strumenti che hanno funzionalità differenti. Quando mi ritrovo in formazioni dixieland, ad esempio, la tuba è lo strumento principe di questo genere. Chiunque abbia intrapreso lo studio accademico per qualsiasi strumento sa perfettamente che la strada è molto complessa. Ho sempre sostenuto, negli anni, che con la tuba ho studiato, ma con la fisarmonica mi sono divertito. Fin da bambino sentivo suonare questo strumento in casa e ho iniziato – a orecchio – a imitare tutto quello che ascoltavo con la clavietta. Poi, alcuni miei insegnanti delle scuole medie (con i quali suono tuttora) hanno insistito affinché io intraprendessi seriamente lo studio della musica indirizzandomi dal maestro di composizione Guido Donati, con il quale ho studiato per anni. Successivamente sono passato alla tuba (per altri sette anni), ma la fisarmonica restava sempre lì nel cuore – e cercavo di trasferire quello che studiavo con altri strumenti anche su di essa. Proprio per questo non mi sono mai reputato un fisarmonicista a tutti gli effetti.
Nell’arco della tua intensa carriera concertistica hai partecipato a numerosi e prestigiosi festival di livello nazionale e internazionale. Ce n’è uno in particolare che ti ha maggiormente gratificato sotto l’aspetto umano e artistico?
Negli anni passati ho avuto modo di poter partecipare a svariati festival e contesti concertistici differenti. Quello a cui sono più legato è sicuramente il “Moncalieri Jazz Festival”, diretto dal maestro Ugo Viola, noto fisarmonicista. Lui, in qualsiasi programmazione internazionali di altissimo livello, ha sempre lasciato spazio alla fisarmonica, in quasi tutte le edizioni. Questa è l’unica maniera per diffondere e portare lo strumento in altri lidi. Con Ugo Viola stiamo cercando di organizzare qualcosa di culturalmente interessante per chi ama e studia la fisarmonica, dove la si potrà ascoltare declinata in vari contesti. Ci saranno seminari, concerti e tanto altro ancora.
Durante il tuo percorso hai stretto varie e significative collaborazioni con una sfilza di artisti blasonati in ambito nazionale e mondiale, fra i quali: Dave Glasser, Duško Gojković, Gianni Basso, Fulvio Chiara, Riccardo Zegna, Paul Jeffrey, Pietro Tonolo, Giampaolo Casati, Fabrizio Bosso, Claudio Chiara, Fulvio Albano, Domenico Torta, Mario Piovano, Marcel Azzola, Stefano Calcagno, Fabio Gorlier, Mauro Battisti, Renata Tosi, Paolo Conte, Paolo Dutto e moltissimi altri ancora. Ma c’è una collaborazione che spicca fra tutte: quella con Lee Konitz, icona sacra della storia del jazz, uno fra i sassofonisti più rappresentativi di sempre di questo genere musicale. Potresti raccontare qualche aneddoto legato a questa esperienza?
Probabilmente, grazie al fatto di suonare più strumenti, ho avuto l’opportunità di collaborare con molti artisti. Ricordo come fosse oggi la telefonata del maestro Claudio Chiara, mio carissimo amico e musicista formidabile, che mi invitò nella formazione The Birth of the cool Today che avrebbe dovuto suonare l’omonimo disco del nonetto di Miles Davis, di cui ne fece parte anche Lee Konitz. Con ogni probabilità, fosse stato oggi (a quasi quarant’anni), non so se avrei accettato così rapidamente l’incarico, ma con l’incoscienza di allora non esitai nel confermare la mia partecipazione. Dopo la prima prova ho realizzato di cosa si trattasse realmente – e dalla paura che provai ricordo di aver studiato a memoria per un mese circa, suonando insieme al disco originale, tutte le parti di tuba per nulla semplici (la tuba era in sezione insieme alla tromba, al sax e via discorrendo). Ai tempi ero ai primi anni di conservatorio. Diciamo che come primo concerto nell’ambito del jazz fu molto significativo per me. Dopo quella esibizione compresi che la strada sarebbe stata lunga e tortuosa, ma tutto andò nel migliore dei modi. Grazie a quei concerti, oltre a Lee Konitz, conobbi altri artisti fantastici tra i quali Gianni Basso, del quale ricordo il suo amore e affetto vero per i giovani come me che, all’epoca, ero poco più che ventenne.
Grazie al tuo talento cristallino sei molto apprezzato anche fuori dai confini nazionali, per esempio in Spagna, Egitto, Turchia. Che tipo di accoglienza hai ricevuto in queste nazioni e quali riscontri hai ottenuto da parte del pubblico?
Sicuramente trovarsi in altri luoghi con culture differenti ci arricchisce e ci aiuta a capire tantissime cose. L’accoglienza è sempre stata stupenda e molto rispettosa. Per quanto mi riguarda, cerco di portare sempre il mio bagaglio artistico e culturale nella mia musica, poiché questa credo sia un po’ la chiave dell’espressione artistica: cercare di essere sé stessi (nel bene e nel male) – ed è quello che il pubblico apprezza maggiormente.
A proposito di riscontri positivi, nel 2020 ti sei classificato al primo posto al PIF (Premio Internazionale di Fisarmonica – Città di Castelfidardo) per la “Categoria Jazz”. Quali sono i ricordi più vivi di quel momento in cui sei stato premiato in uno tra gli eventi più prestigiosi per il mondo fisarmonicistico?
Personalmente non ho mai creduto molto nelle competizioni nell’ambito artistico, perché mi sembra come se fossero gare di Formula 1, ma credo che il premio sia un po’ un modo di confrontarsi con il resto del mondo, anche per capire cosa succede fuori dal nostro Paese. Il lockdown, per il mio morale, è stato il colpo finale dopo anni di seri problemi di famiglia (primo tra tutti, la perdita di mia madre nel 2019). Per cui il concorso era un modo per uscire un po’ da quel periodo così difficile. Per via della pandemia il premio si è svolto online, quindi si trattava di fare dei video (ovviamente live), perciò ho chiesto a un grande trombettista con il quale collaboro oramai da anni, ossia il maestro Fulvio Chiara, se gli andasse di partecipare in duo. Senza troppi indugi e prove, abbiamo avviato la videocamera del telefono e abbiamo registrato tre brani. Per me è stato molto interessante, non solo per il premio in sé, ma per quello che poi mi ha portato a livello umano. Dopo il PIF sono stato contattato da tre (gli unici) musicisti e fisarmonicisti fenomenali: il primo è stato Roberto Gervasi, a cui ho chiesto subito di mandarmi qualche suo lavoro, restando felicemente esterrefatto ed emozionato nell’ascoltare, finalmente, la fisarmonica suonata nel jazz come un qualsiasi vero jazzista suonerebbe il proprio strumento. Successivamente mi contattarono Antonino De Luca e Federico Gili. Potrei scrivere altre mille parole su ognuno di loro, ma in questi casi non servono, basterebbe avere un po’ di orecchio e di buon gusto per capire che abbiamo a che fare con ragazzi talentuosi e musicalmente preparati (ribadisco, non solo a livello strumentale). Ecco, a parte loro, molti altri hanno polemizzato (cosa che purtroppo accade spesso nell’ambito fisarmonicistico) riguardo il fatto che secondo loro sono un fisarmonicista autodidatta, quindi non ho passato del tempo a studiarla (perché probabilmente non ho studiato sui loro stessi metodi). Vorrei solo ricordare che sarebbe bene, oltre a suonare tante note con la fisarmonica, conoscere la musica.
Come da te già in parte anticipato, mettendo a frutto la tua creatività e il tuo eclettismo, hai ideato e fondato il gruppo D’Accordéon Quintet e il TPF Production, oltre a collaborare con la cantante cubana Nora Delgado e a far parte del Duo Accordéon Jazz insieme a Roberto Gervasi. Quali sono i repertori e le peculiarità stilistiche di queste formazioni?
Fin da ragazzino ho sempre suonato con musicisti molto più bravi di me, dunque questa è una delle cose che ti spinge ad andare avanti e a imparare oltre che ad approfondire lo studio stesso. Il gruppo TPF Production riunisce appunto Roberto Gervasi, Antonino De Luca, Federico Gili e il sottoscritto. La peculiarità è rappresentata proprio dal linguaggio e, soprattutto, dal medesimo pensiero che ci unisce. Infatti tra noi è nata una amicizia fraterna. Abbiamo cercato di concepire lo strumento in modo differente dal solito, inserendolo in sezione dove ognuno suona una voce (come per le sezioni dei sax, trombe, tromboni o nelle Big Band). Per me, nello stile, è fondamentale il proprio pensiero. La caratteristica è insita sempre nella maniera di rappresentare la musica, non solo la fisarmonica, il basso tuba o lo strumento stesso. Ecco, questa è un po’ la peculiarità delle mie varie formazioni.
Sia per le registrazioni in studio che per le performance live, che modello di fisarmonica utilizzi?
Fino allo scorso anno, non avendo ancora a disposizione il primo prototipo della Chiovarelli Jazz System Accordion, ho sempre suonato un vecchio modello anni Sessanta della Scandalli, il Super Sesto. Ora, invece, uso sempre il CJS Accordion, uno strumento da me prodotto.
Nel corso della tua attività hai inventato e brevettato un sistema armonico per il manuale sinistro della fisarmonica intitolato “Chiovarelli Jazz System”, per poi pubblicare un libro – proprio su questo metodo – attraverso il quale spieghi il percorso evolutivo dal “Sistema Standard” al “Chiovarelli Jazz System”. Com’è nata questa brillante idea e perché l’esigenza di creare questo particolare metodo?
Chiunque decida di varcare seriamente la soglia del repertorio storico della fisarmonica (che sia folk, liscio o altri generi) si imbatterà in problemi tecnici sul manuale sinistro dello strumento. Gli accordi precomposti del sistema Standard sono perlopiù a tre voci (alcuni vecchi modelli anche a quattro per alcuni accordi) e sviluppati nell’ambito di una settima maggiore (Do – Si, poiché i tamponi delle armonie sono dodici), le altre file di voci delle armonie non fanno altro che replicare quello per le ottave superiori (un po’ come il registro “terza mano” dell’organo). Ricordo sempre che una nona sul manuale sinistro è una seconda, proprio perché supera il range della settima maggiore. Se sovrapponiamo più accordi per creare armonie più complesse li formiamo con intervalli strettissimi, note attaccate suonando per forza di cose “note inutili”. Il CJS (“Chiovarelli Jazz System, n. d. r.) nasce proprio dall’esigenza di creare armonie composte e con risoluzioni delle voci corrette. Pertanto, anziché avere un sistema per triadi, ne abbiamo uno a bicordi che apre un mondo di colori armonici (ad oggi) inesplorati per lo strumento. Diventa molto simile a quello che potrebbe fare un pianista con la mano sinistra. Ho presentato il sistema lo scorso anno al PIF – e alcuni addetti ai lavori – dopo aver compreso l’argomento – lo hanno denominato “Il nuovo sistema Standard”. Questo perché chiunque prenda in mano la fisarmonica con il CJS potrà suonare comunque lo strumento come il vecchio sistema Standard (gli accordi maggiori, minori e le settime sono sempre nella medesima posizione, ma con note in meno) senza alcuna differenza se non quella sonora, cioè di un’armonia molto più leggera, equilibrata e pulita. Inoltre, combinando più bicordi, le possibilità diventano davvero infinite.
Da qui ai prossimi mesi, quali saranno i tuoi impegni artistici particolarmente degni di nota?
Sicuramente, come ho fatto negli ultimi anni, porterò avanti il discorso del “Chiovarelli Jazz System” il più possibile, magari facendo presentazioni anche nei conservatori e in contesti di rilievo, perché credo sia una vera evoluzione per lo strumento. Invece, nei prossimi mesi, avrò altri eventi che segnalerò sul sito www.chiovarellijazzsystem.com e sulla mia pagina Facebook.
(Foto orizzontale di Alberto Ferrero, foto verticale di Af Photography)