Come ti sei avvicinato alla musica e quali sono state le tappe fondamentali della tua formazione? E perché la fisarmonica continua ad essere il tuo strumento?
La musica è arrivata nella mia vita in età prescolare, grazie ad una fisarmonica giocattolo regalatami dai miei genitori. Le tappe fondamentali della mia formazione musicale coincidono soprattutto con una serie d’importanti incontri. Il primo, con Ernesto Bellus, con il quale ho costruito le mie solide fondamenta musicali. Quindi con Gervasio Marcosignori, le cui carismatiche interpretazioni mi avvicinarono al repertorio della fisarmonica classica. Negli anni Settanta, con alcuni ottimi allievi della Scuola Boschello (Romano Benetello, Enzo Roberto e Ivano Paterno, in primis) e, soprattutto, con Evandro Dall’Oca, mio amatissimo maestro di fagotto. Dall’Oca mi trasmise la sua autorevole esperienza di primo fagotto dell’Orchestra del Teatro alla Scala di Milano e mi introdusse, appena maggiorenne, nella professione didattica (nel 1978 ero già professore di fagotto al Conservatorio di Padova) e orchestrale. “Don Giovanni” di Mozart e “Macbeth” di Verdi, con interpreti come Renato Bruson, Leyla Gencer e Ferruccio Furlanetto, al Teatro Comunale di Treviso e tra le fila dell’Orchestra Sinfonica di San Remo, furono i miei primi impegni come professore d’orchestra. Subito dopo, sempre come fagottista, collaborai con John Eliot Gardiner, Salvatore Accardo, Riccardo Chailly, Jean-Pierre Rampal, Maurice Bourge, i “Solisti Veneti”, ecc.
Gli anni Settanta si concludono con due memorabili eventi per la mia carriera musicale: la vincita del XXVIII Trofeo Mondiale della Fisarmonica, a Pola, e una serie di concerti al Teatro alla Scala di Milano, come fagottista. Ma è soprattutto negli anno Ottanta che le mie scelte musicali si indirizzarono sempre più verso la fisarmonica. Nell’estate del 1980, su invito di Veikko Ahvenainen, mi recai in Finlandia per tenere una serie di concerti e due masterclass e in quell’occasione ebbi modo d’incontrare Friedrich Lips e Hugo Noth. Ascoltare Noth per me fu una grande illuminazione: un suono della fisarmonica così nitido, intenso e pieno d’anima non l’avevo mai ascoltato! Le perplessità che prima nutrivo nei riguardi della fisarmonica, il cui suono mi sembrava molto meno bello di quello orchestrale, improvvisamente sparirono e mi fu subito chiaro che non è lo strumento a fare il concerto ma chi lo suona! Per diversi anni continuai a dividermi tra i due strumenti, ma si faceva in me sempre più insistente la domanda: suonare in orchestra o “suonare l’orchestra”? Poco a poco, la vita mi portò verso questa seconda opzione, un po’ per volontà ma anche un po’ per caso, citando Pierre Boulez. (…)
L’intervista completa a Ivano Battiston è disponibile sul sito di Ars Spoletium.