La fisarmonica, metafora di festa, dolcezza e bellezza

Intervista a Marcello Squillante, voce e fisarmonica degli Ars Nova Napoli

Questo è il mese delle feste e “festa” è sinonimo di calore. Per cui, il nostro regalo agli amanti del folk è l’intervista a una band che viene da una delle città più calorose d’Italia. Questa volta, abbiamo infatti intervistato gli Ars Nova Napoli: una band giovane per l’età dei suoi componenti, ma con un’importante esperienza pluridecennale alle spalle che dai vicoli di Napoli e di altre città italiane li ha portati su grandi palchi d’Europa e del mondo, non da ultimo su quelli di India, Corea del Sud e Cina, coinvolgendo i rispettivi popoli con il calore dei ritmi mediterranei. Ringrazio Marcello Squillante, voce e fisarmonica degli Ars Nova Napoli per avermi concesso l’intervista.

Per iniziare, che cosa ha portato un gruppo di ragazzi a dare vita agli Ars Nova Napoli più di dieci anni fa? Come vi siete incontrati?

Alla base del gruppo ci sono tre amici: Marcello, Antonino e Vincenzo, che si conoscevano dai tempi della scuola e avevano già condiviso tante cose insieme. Poi, alla fine del liceo, hanno iniziato a dividersi tra università e lavoretti vari per un anno, fino a che non hanno conosciuto dei musicisti di strada nel centro di Napoli. Così, insieme a un loro amico, Joy, hanno iniziato a provare anche loro la “strada del cappello”. Dopo poco, hanno incontrato Michelangelo e Bruno, che suonavano al Vomero con un altro gruppo, e da allora sono passati quattordici anni. Sicuramente siamo stati spinti dalla voglia di suonare, ma anche dalla possibilità che vedevamo di poter viaggiare grazie alla musica. Tanto è vero che con i soldi dei primi ingaggi abbiamo subito comprato un camper!

Pensando al vostro nome, la domanda che mi viene da porvi è: che cosa ha in comune la vostra Ars Nova odierna con quella del Trecento e in che cosa, invece, differisce?

Innanzitutto, la scelta del nome è stata del tutto casuale. Non avevamo mai deciso che nome dare al gruppo e ogni volta che andavamo a suonare la persona che ci ingaggiava decideva un nome al posto nostro da mettere in locandina. Alla fine, ci siamo ritrovati con Ars Nova, al quale abbiamo poi aggiunto Napoli per facilitare la ricerca sui vari canali internet. Con il periodo storico musicale dell’Ars Nova, in realtà, condividiamo veramente poco. Si tratta di un momento molto particolare per la musica di corte in Italia e in Francia, che segna una fase di rottura, ma ci indica che anche nelle composizioni colte lo spunto da cui partire è molto spesso un sentimento popolare. In quel periodo nascono ballate che hanno per spunto scene di vita quotidiana come la caccia o l’amore: questo magari possiamo dire che sia il sentimento che ci unisce a qualsiasi periodo musicale, sia di estrazione popolare che di estrazione colta.

Infatti, fin dagli inizi, rivendicate l’amore per la musica popolare e l’appartenenza alla strada; lo avete dimostrato anche partecipando a importanti festival di busker. Che cosa vi ha insegnato la musica di strada e che cosa vi portate dietro dalle esperienze nei vicoli di Napoli e in quelli di tutta Italia?

Abbiamo avuto la fortuna immensa di nascere in una città che da sempre è predisposta alla vita di strada: una grande scuola che ci ha dato la possibilità di lavorare sin da subito e, soprattutto, ci ha insegnato a dividere il palco con chiunque. Dagli anni vissuti da busker ci portiamo sempre dietro la spontaneità e il gioco che la strada insegna. Anche se oggi le cose sono un po’ cambiate e non suoniamo più in strada da un bel po’, resta il fatto che tutti gli incontri avvenuti durante quegli anni ce li porteremo con noi per sempre.

Durante questi oltre dieci anni di carriera non vi siete fermati solo al pubblico italiano, ma avete portato la vostra musica in giro per il mondo solcando importantissimi palchi in Francia, Spagna, Germania, Svizzera, Grecia, Corea del Sud, India e Cina. Come pensate che venga percepita la vostra musica fuori dai confini nazionali e quale pensate che sia l’elemento che porta la musica delle aree del Mediterraneo a essere apprezzata fino in Asia?

Anche in questo caso abbiamo la grande fortuna di essere nati in una città che garantisce un patrimonio musicale enorme e riconosciuto nel mondo. Napoli è da sempre una chiave per aprire centinaia di porte. La nostra musica popolare è conosciuta veramente in tutto il mondo e, laddove non sia già arrivata la musica, sono arrivati altri fattori a far conoscere la nostra città anche nei posti più impensabili in cui siamo stati negli ultimi anni. Questa è un po’ la storia di tutto il Mediterraneo, che da sempre è una culla di civiltà: musica, cibo, lingua e letteratura dei Paesi che condividono la vita su questo mare sono il segno di un grande passato e di un particolare presente conosciuti in tutto il mondo. Per questo, quando ci capita di cambiare nazione ci troviamo di fronte molto spesso un pubblico preparato all’ascolto e che già conosce le basi della nostra cultura musicale. Tutto questo è possibile grazie all’incredibile lavoro svolto negli anni precedenti da grandi artisti della nostra città che sono riusciti nell’impresa di portare la nostra musica nel mondo. Di sicuro, negli ultimi viaggi in Paesi veramente lontani come l’India, la Cina e la Corea il collante tra noi e il pubblico è stato il ritmo: è stata una gioia enorme, infatti, vedere saltare i ragazzi a Mumbai, a Rabat, a Deli grazie al ritmo della Tarantella.

Nel 2016, esce il vostro album Chi fatica se more ‘e famme in cui raccogliete canzoni e repertori incontrati nei vostri primi sette anni di carriera. Che cosa vi ha spinto a portare la musica popolare dalla strada all’album?

Il nostro primo disco in realtà risale al 2013: stampammo in casa un bel po’ di copie di un lavoro molto artigianale. La spinta ci era stata data dalla quantità enorme di richieste che ci veniva fatta in strada ogni volta che ci fermavamo a suonare. Poi, nel 2015, sono arrivati i primi festival più importanti ed è quindi nata anche la voglia di creare un prodotto un po’ più elaborato da poter portare in giro. Grazie all’ appoggio di Apogeo Records, che da poco nasceva in una splendida basilica del Rione Sanità, abbiamo deciso di incidere il primo disco prodotto in cui abbiamo inserito i pezzi più significativi dei nostri primi sette anni di viaggi e incontri.

Nel vostro ultimo album E senza l’acqua la terra more (2019), invece, troviamo per la prima volta cinque vostri inediti. Come avete capito che fosse il momento giusto per creare qualcosa di vostro e inserirlo nell’album insieme alle reinterpretazioni delle tradizioni musicali mediterranee?

Come il resto delle nostre esperienze, anche questa svolta è stato tutto molto spontaneo. Qualcuno di noi aveva delle melodie scritte, qualcun altro aveva un testo scritto, io avevo recuperato due brani di Davide “Puffo” Chimenti che non erano mai stati incisi e allora abbiamo deciso che era il momento di incidere qualcosa di nuovo. Di sicuro non è stato semplice perché inserire delle nuove melodie e dei nuovi testi in un repertorio così consolidato nel tempo può anche essere controproducente, ma sentivamo che era quello che volevamo fare e siamo stati felici così.

A proposito del vostro ultimo album, il fatto che ci siano anche degli inediti è sinonimo di una nuova versione degli Ars Nova Napoli? Ci sono nuove uscite e nuovi inediti all’orizzonte?

Abbiamo un disco quasi finito che non riusciamo a concludere a causa dei troppi viaggi. Ci saranno anche stavolta degli inediti e il disco si chiamerà Fortuna, che è anche il titolo di un brano: si tratta di una mia traduzione di un brano conosciuto in Turchia con il titolo Fortuna e in Grecia con il titolo di Sto Pa Kai Sto. Abbiamo scoperto successivamente che in turco Fortuna vuol dire “tempesta” e che anche in alcune zone marittime del Sud Italia “con la Fortuna (il vento Fortunale) non si va per mare”. Questa sicuramente è la versione di Ars Nova Napoli che vogliamo tenere nel tempo: mossa dalla ricerca continua delle connessioni musicali che nel tempo hanno attraversato la nostra città, per arrivare a un suono che si possa mischiare il più possibile.

Infine, una domanda che non può mai mancare qui riguarda la fisarmonica, strumento al centro di questa rivista, che, spesso, è anche al centro del genere folk nelle sue accezioni più ampie. Nel vostro caso, si intreccia anche con l’organetto: che ruolo ricopre questo strumento nella vostra musica?

La fisarmonica è un elemento chiave della musica in Campania. Potremmo definirla una metafora delle tante facce che esistono nella nostra cultura musicale: è la festa nelle tammurriate e allo stesso tempo è la dolcezza in una canzone napoletana del Novecento. Per anni è stata un simbolo di bellezza in tutte le province della nostra regione, tanto è vero che quando giriamo per i paesi si avvicina sempre qualcuno per farci vedere la fisarmonica di famiglia che purtroppo però molto spesso nessuno suona più.

Lasciate un messaggio ai nostri lettori se vi va.

Speriamo di incontrarci presto dal vivo, lungo la strada. Viva la Musica!

 

DISCOGRAFIA

Chi Fatica Se More e Famme (Apogeo Records, 2016)

E Senza Acqua La Terra More (Apogeo Records, 2019)

 

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