“COMBATTERE PUÒ ESSERE UNA FESTA”
Borges, il tango, Buenos Aires
(prima parte)
I miti nordici e Mark Twain, l’antica lingua inglese e l’erudizione islamica, Kipling e Dante Alighieri, i sogni e gli specchi, Shakespeare e il vicino oriente antico, le biografie immaginarie e l’infinito, le visioni e i labirinti inquietanti, il doppio e i libri. I libri, soprattutto. E i viaggi: Spagna, Svizzera, Stati Uniti, Italia, Egitto, Cile, Israele, Canada, Francia, Giappone. La mente e il corpo di Jorge Luis Borges sono perennemente in movimento. Eppure, allo stesso tempo, non si allontanano mai dalla sua Buenos Aires. E dal tango. Insieme mitici e reali.
“Le strade di Buenos Aires
ormai sono le mie viscere”[1]
scrive in una poesia giovanile pubblicata nel 1923, a due anni dal rientro in Argentina, dopo un lungo soggiorno in Europa con la famiglia.
Il tango di Borges è il tango delle origini, quello nato, secondo lui, nei bordelli di Buenos Aires e diffusosi poi nelle periferie, nel quartiere Palermo in particolare. È il tango del compadre e del compadrito, sempre pronti a battersi con il coltello, non quello «addomesticato» di Carlos Gardel, triste e malinconico, che sarà tanto in voga nei locali alla moda di Parigi. “Si può discutere sul tango, ed è quanto facciamo, ma esso racchiude in sé, come tutto ciò che è autentico, un segreto. I dizionari musicali ne danno, universalmente accettata, una breve e sufficiente definizione; è una definizione elementare che non promette nessuna difficoltà, ma il compositore francese o spagnolo che, facendovi affidamento, compone correttamente un tango, scopre, non senza meraviglia, di aver ordito qualcosa che i nostri orecchi non riconoscono, che la nostra memoria non alberga e che il nostro corpo rifiuta. Si direbbe che senza i crepuscoli e le notti di Buenos Aires non possa nascere un tango, e che in cielo ci attende, noi argentini, l’idea platonica del tango, la sua forma universale […]”[2].
Palermo è anche il quartiere di Buenos Aires nel quale la famiglia Borges va a vivere pochi anni dopo la nascita (1899) di Jorge Luis. Il padre, Jorge Guillermo, è un avvocato e insegnante di psicologia e decide, nel 1914, di trasferirsi a Ginevra con tutta la famiglia (la moglie, Leonora Acevedo Haedo, la seconda figlia, Norah, la suocera e, in seguito, la madre). Per il giovane Borges questo è un periodo molto impegnativo. Al Collège Calvin affronta lo studio del latino, del francese e del tedesco e legge gli autori inglesi, tedeschi, francesi e spagnoli. Nel 1919, dopo un breve soggiorno a Lugano, la famiglia si sposta in Spagna: Maiorca, Siviglia, Madrid. È qui che scrive i suoi primi due libri, rimasti inediti, che inizia lo studio dell’arabo e che collabora (1920) alle riviste Ultra e Grecia. Il 4 marzo del 1921, i Borges s’imbarcano nel porto di Barcellona per fare ritorno a Buenos Aires.
“Questa città che credetti mio passato
è il mio avvenire, il mio presente;
gli anni vissuti in Europa sono illusori,
io stavo sempre (e starò) a Buenos Aires[3].
“[…] le strade indolenti del quartiere,
quasi invisibili poiché abituali,
intenerite di penombra e di crepuscolo
e quelle più fuori mano
libere di alberi pietosi
dove austere casette appena si avventurano,
schiacciate da immortali distanze,
a perdersi nella profonda visione
di cielo di pianura”[6].
“Un emporio rosa come rovescio di carta da gioco
brillò e nel retro giocarono un truco[9];
l’emporio rosa fiorì un compare[10],
già padrone della cantonata, già risentito e duro.
Il primo organetto attraversava l’orizzonte
Col suo traballante incedere, la sua habanera e il suo straniero.
[…]
A me sembra una fandonia che Buenos Aires ebbe inizio:
La giudico tanto eterna come l’acqua e l’aria”[11].
“…Organetto che traversi la strada sfinito
macinando l’eterno
famigliare motivo che l’anno passato
gemevi alla luna d’inverno:
con la tua stridula voce dirai per la via
l’ingenua canzone, quella di sempre, magari
quella che preferisce la nostra vicina
la sartina che compì quel passo sventurato.
E poi sul filo di un valzer
te ne andrai come una pena
che attraversa la strada deserta,
e ci sarà chi rimane a contemplar la luna
da qualche porta.
…Ieri notte, dopo che te andasti,
mentre tutto il quartiere ritornava alla quiete
-che tristezza-
piangevano gli occhi del cieco”[12].
Borges è cosciente di quanto Carriego abbia contribuito ad inserire elementi di tristezza nel tango: “Lui, più di chiunque altro, ha incupito i chiari colori delle periferie; lui ha la colpa innocente se nei tanghi le ragazzine del popolo finiscono unanimi all’ospedale e se i guappi sono distrutti dalla morfina”[13]. Confessa, tuttavia, che la visione di Carriego ha un’importanza lirica travolgente.
Nel suo Evaristo Carriego, Borges dichiara di preferire la milonga (“autenticamente rappresentativa […], naturale espressione dei quartieri periferici”[14]) al tango, ma la differenza tra di essi è irrilevante, tanto che, spesso, una stessa canzone è stata classificata come appartenente all’una o all’altro.
NOTE
[1] Jorge Luis Borges, “Fervore di Buenos Aires” (“Le strade”), in Tutte le opere, Milano, Mondadori, 1986, vol. I, p. 11.
[2] J. L. Borges, Evaristo Carriego, in op. cit., pp. 274-275.
[3] J. L. Borges, “Fervore di Buenos Aires” (“Sobborgo”), in op. cit., vol. I, p. 43.
[4] J. L. Borges, “Prologo” a “Fervore di Buenos Aires”, in op. cit., vol. I, p. 7.
[5] Idem.
[6] J. L. Borges, “Fervore di Buenos Aires” (“Le strade”), in op. cit.
[7] J. L. Borges, “Prologo” a “Luna di fronte”, in op. cit., vol. I, p. 93.
[8] Idem.
[9] Gioco di carte molto popolare in argentina.
[10] Compadre, in spagnolo. Di questa figura, così importante nella storia e nel mito di Buenos Aires e del tango, torneremo a parlare più diffusamente nella seconda parte di questo articolo, che sarà pubblicata il prossimo 10 maggio.
[11] J. L. Borges, “Quaderni di San Martín” (“Fondazione mitica di Buenos Aires”), in op. cit.
[12] Questi versi di Evaristo Carriego sono riportati in J. L. Borges, Evaristo Carriego, in op. cit., p. 235.
[13] J. L. Borges, “Carriego e il sentimento della periferia”, in La misura della mia speranza, Milano, Adelphi, 2007, p. 32.
[14] J. L. Borges, Evaristo Carriego, op. cit., p. 229.
[15] Monica Maria Fumagalli, Jorge Luis Borges e il Tango, Stuttgart, Abrazos, 2013.
[16] J. L. Borges, Evaristo Carriego, in op. cit., p. 266.
[17] Ibidem, p. 267.
[18] J. L. Borges, Evaristo Carriego, in op. cit.
[19] Ibidem, p. 268.
PER APPROFONDIRE
BIBLIOGRAFIA
ABADI, Sonia, Il bazar degli abbracci cronache della milonga di Buenos Aires, Stuttgart, Abrazos, 2008.
BORGES, Jorge Luis, Io, poeta di Buenos Aires. Interviste, Roma, Datanews, 2006.
BORGES, Jorge Luis, Tutte le opere, 2 voll., (a cura di Domenico Porzio), Milano, Mondadori, 1986,
BORGES, Jorge Luis, VÁZQUEZ, M. Esther, Letterature germaniche medievali, Milano, Adelphi, 2014.
CARRIEGO, Evaristo, La canción del barrio y otros poemas, Buenos Aires, Editorial Biblos, 1985.
COLLO, Paolo e FRANCO, Ernesto, Tango, Torino, Einaudi, 2002.
GUZZO VACCARINO, Elisa, Il tango, Palermo, L’Epos, 2010.
LAO, Meri, Voglia di tango, Milano, Sugarco, 1986.
MANGUEL, Alberto, Con Borges, Milano, Adelphi, 2005.
MURACA, Elisabetta, Il Tango. Sentimento e filosofia di vita, Milano, Xenia, 2000.
PAPANIKAS, Dimitri, La morte del tango, Bologna, Utorpheus, 2013.
SAVATER, Fernando, Borges, Bari, Laterza, 2005.
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