Corrado Castellari: la mia vita è la mia musica

Tra gli ingredienti fondamentali per la realizzazione di una succulenta pietanza figurano inequivocabilmente le materie prime, meglio se di ottima qualità: dedizione, esperienza e soprattutto uno chef capace di dosare e coniugare tutte le componenti necessarie. In fondo, questo è un teorema applicabile a tutte le tipologie di lavoro, una regola imprescindibile per chiunque voglia ottenere il meglio dalle proprie capacità: anche in ambito musicale. Avete mai pensato a quante persone lavorano dietro ad un brano di successo e quanti piccoli tasselli bisogna collocare nell’intricata elaborazione di un puzzle musicale? Musicisti, arrangiatori, fonici, editori… tutti professionisti di cui difficilmente si parla, perché generalmente i consensi e le ovazioni spettano esclusivamente alle star che interpretano le canzoni e che mettono la faccia nella copertina del disco. Pur riconoscendo a tanti cantanti la paternità delle opere che eseguono (musica e testo), vanno attribuiti dei meriti, nel caso in cui l’autore delle parole non sia il compositore stesso, ad una tipologia di professionisti che hanno il potere di trasformare una bella melodia, semplice ed orecchiabile, in un “tormentone”. Provate solo per un attimo ad intonare la vostra canzone preferita e successivamente a modificare le parole tanto da ricavarne un testo completamente diverso dall’originale: vi renderete conto di quanto sia difficile coniugare sillabe, rime e senso compiuto anche in una sola frase. “Le canzoni nascono da sole, vengono fuori già con le parole” recita Vasco Rossi durante i suoi affollatissimi concerti; beato lui che ci riesce! Ma per tanti comuni mortali la soluzione più ovvia e scontata ha un’identità ben precisa: il paroliere. Potremmo parlare per anni dei Mogol, Bigazzi, Migliacci… ma, in virtù della mia modestissima esperienza nel settore della musica da ballo, vorrei presentarvi un professionista con cui ho il piacere di collaborare da anni e che ha legato il suo nome e la sua genialità a tanti brani di successo: Corrado Castellari.

Corrado, ti sei avvicinato alla musica suonando, prima, la fisarmonica e poi la chitarra. Che ricordi hai dei tuoi primi anni di “vita artistica”?

Fino agli anni Sessanta, la musica leggera italiana era governata da melodie e cantanti come Nilla Pizzi, Luciano Taioli, Claudio Villa… rappresentanti di un genere assolutamente “classico-romantico”. Restai “fulminato sulla via di Damasco”, dalle nuove realtà americane (rock-blues-folk) e da artisti del calibro di Paul Anka, Elvis Presley, i Platters e tantissimi altri che portavano una ventata di modernità, di creatività, di ritmo esagerato. Letteralmente sconvolto da questi generi musicali, chiesi immediatamente ai miei genitori di poter imparare a suonare qualche strumento. Allora c’era la fisarmonica ed ecco le prime lezioni di musica. Poi, però, fui attratto da uno strumento che stava insinuandosi nella mente e nello spirito di noi giovani: la chitarra (meglio se elettrica), quindi abbandonai la fisa e abbracciai la chitarra che ancora oggi è lo strumento col quale compongo le canzoni.

Dalle esibizioni nei night-clubs al fianco di Dino Sarti, ai lavori per la Ri-Fi Records fino alle composizioni di successo come “Susan dei marinai”. Che cosa ti ha spinto al grande salto nei primi anni di carriera?

Era in me talmente forte la voglia e la quasi certezza che il mio mestiere sarebbe stato quello di autore/compositore, che andai avanti come un treno cominciando a suonare la chitarra nei night con Dino Sarti, grande esponente della canzone bolognese (le musiche delle sue canzoni in seguito furono scritte quasi tutte da me a cominciare da Spometi, Viale Ceccarini, etc.). Poi cominciarono, dopo che abbandonai il mondo del night, i miei viaggi nella speranza di farmi ascoltare nei circuiti della discografia che allora era quasi totalmente rappresentata dalle grandi case discografiche milanesi. Da Bologna prendevo l’auto di mio padre (una Fiat 600 grigio topo) e andavo a fare ascoltare i miei provini in queste sedi prestigiose. Ma componente fondamentale per proseguire nella carriera furono la fortuna – e io ne ho avuta – e, ovviamente, le mie capacità creative: quasi subito fui notato e messo sotto contratto discografico dalla RI-FI Record. Dopo poco tempo scrissi il mio primo successo, si trattava di Susan dei Marinai cantata da Michele, un cantante che andava molto forte allora. Arrivarono i primi guadagni che mi permisero di continuare con tranquillità.

Cosa ha significato per un musicista poco più che ventenne iniziare a collaborare con artisti del calibro di Fabrizio De Andrè?

Nel giro di pochissimo tempo ero diventato un autore conosciuto ed apprezzato nella cerchia dei così detti cantanti di serie A. Con Fabrizio De Andrè l’incontro è avvenuto, come spesso succede, in modo del tutto casuale. Il Faber mi consegnò il testo del suo Testamento di Tito, provai a musicarglielo e la mia interpretazione gli piacque tantissimo tanto che la scelse e l’incise. Toccai il cielo con un dito per questo mio traguardo raggiunto in così breve tempo. Per me fu la consapevolezza di poter conseguire risultati importanti e duraturi nel mondo della musica leggera: bastava impegnarsi e lavorare con grande determinazione e spirito di sacrificio, componenti che nel mio carattere non sono mai mancate.

Scorrendo la tua biografia quello che colpisce è la capacità di cambiare, di alternare esperienze con i grandi artisti della musica italiana a delle vere e proprie esplorazioni musicali. Da dove nasce questa tua incredibile versatilità?

Non mi è mai piaciuto ripetermi o seguire sempre gli stessi schemi. La curiosità fa parte del mio carattere quindi, anche nello scrivere canzoni mi piace cambiare, esplorare, fare tentativi e, soprattutto, ascoltare e studiare i miei colleghi più bravi.

Mina, Milva, Iva Zanicchi, Lucio Dalla, Fabrizio De Andrè, Loredana Bertè, Patty Pravo, Franco Califano, I Nomadi, Nino Manfredi, Johnny Dorelli, etc. Quanto è stato importante poter condividere una parte del tuo percorso artistico con personaggi di questo calibro?

Come già ho detto prima, in breve tempo ero diventato, nella convinzione comune, un compositore quantomeno interessante e capace di andare incontro ai gusti del pubblico con prodotti originali, ma sempre popolari. Dagli anni Settanta agli Ottanta, sono stato un autore molto di moda, presente nei 45 giri o almeno nei 33 giri che i big realizzavano: da qui deriva la mia presenza frequente e abbondante negli LP di allora. Credo di essere uno dei pochi autori che ha scritto per quasi tutti i cantanti famosi di quel periodo.

Da cosa è nato il desiderio di cimentarsi nella composizione di canzoni per bambini, delle sigle per i cartoni animati e di vivere l’esperienza dello Zecchino d’Oro?

Sempre la mia versatilità e curiosità mi hanno permesso di cimentarmi nel mondo interessantissimo dei bambini, vincendo varie edizioni dello Zecchino d’Oro. Scrivere per bambini non è facile, soprattutto i testi che devono avere un particolare taglio, non devono essere banali ma semplici e pieni di fantasia. In questo mondo ho quasi sempre scritto solo le musiche, musicando testi di autori specializzati e bravissimi in questo settore (Vittorio Sessa Vitali, Sauro Stelletti, Mitzi Amoroso).

Chi erano le Mele Verdi? Puoi raccontare qualcosa ai nostri lettori?

Le Mele Verdi erano un gruppo di bambini guidati da Mitzi Amoroso, creativissima autrice di testi. Negli anni Settanta-Ottanta si cominciarono a vedere sulle reti nazionali i primi cartoni animati realizzati in Giappone. Fu proprio una rivoluzione dal momento che, fino ad allora, il monopolio dei cartoni l’aveva la Walt Disney Productions. Le sigle che introducevano questi cartoni giapponesi erano improponibili nelle versioni originali per il nostro mercato, quindi, dalla RCA italiana, furono indette delle proprie gare per riscrivere queste canzoncine. Fui interpellato anch’io ed assieme a Mitzi Amoroso vincemmo molte di queste gare con brani che ancora oggi, tra i ragazzi di allora, sono ricordate con tanta emozione ed entusiasmo; sto parlando di Ranatan e la banda dei ranocchi, Gli gnomi delle montagne, La principessa Sapphire, Ippotommasso, Sendibelle e tante altre.

Poi il trasferimento da Milano, l’arrivo nell’Oltrepò, la scoperta della musica da ballo.

Decidemmo, a un certo punto della vita, con mia moglie e mia figlia Melody (talentuosa cantautrice e vocalist per molte produzioni, soprattutto per il mercato mondiale) di trasferirci da Milano in provincia di Pavia, nelle colline dell’Oltrepò pavese. Sentivo che era proprio arrivato il momento di cambiare aria, di cercare di trovare nuove vie per poter continuare a fare il mestiere dell’autore. Purtroppo, la vendita dei dischi, dagli anni Novanta in poi, cominciò a registrare flessioni sempre più consistenti e, per altri motivi che qui sarebbe lungo spiegare, l’autore puro quale sono io cominciava ad avere sempre più difficoltà nel sopravvivere in questo mondo. Così scoprii, vivendo in provincia, la musica da ballo.

Che esperienza è stata quella con Franco Bagutti?

Conoscere Franco Bagutti è stata la mia fortuna, ho potuto così ricominciare con grande entusiasmo in questo nuovo settore molto stimolante. Per me è come scrivere per Iva Zanicchi o Orietta Berti, ci metto lo stesso impegno e la stessa creatività poiché il pubblico che ascolta e che balla è sempre lo stesso. In più c’è la possibilità gratificante di comunicare direttamente con la gente semplice e schietta che si incontra in queste sale da ballo e nelle feste di paese che mi esprime direttamente il suo apprezzamento per le mie canzoni. È una bellissima sensazione!

Più volte hai dichiarato di vivere per la musica, tua unica e grande passione. Che consigli ti sentiresti di dare a chi si avvia oggi alla carriera di musicista?

È sempre difficile e scomodo dare consigli agli altri; se si ha questa passione non si può soffocarla, mi rendo conto che la vita oggi è difficile per tutti, bisogna proprio impegnarsi a fondo. Se si ha talento e la fortuna di poter vivere con questo mestiere, vi garantisco che è la cosa più bella del mondo. VIVA LA MUSICA e in bocca al lupo!

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