Meeresstille und Glückliche Fahrt (Mare calmo e viaggio felice), Cantata in re maggiore per coro e orchestra, op. 112 fu eseguita pubblicamente, per la prima volta, al Großer Redoutensaal del Burgtheater di Vienna, il giorno di Natale del 1815, nel corso di un trattenimento artistico a favore dell’Ospedale comunale della città, assieme ad un’altra novità: l’Ouverture Zur Namensfeier in do maggiore, op. 115. Probabilmente, fu eseguito anche il Christus am Ölberge (Cristo sul Monte degli Ulivi), Oratorio per soli, coro e orchestra, op. 85 (1803).
La cantata, come scrive lo stesso Beethoven a Goethe, ripropone i contrasti fra i versi dei due testi: Meeresstille: Sostenuto; Gluckliche Fahrt: Allegro vivace. L’organico è così concepito: coro misto, due flauti, due oboi, due clarinetti, due fagotti, quattro corni, due trombe, timpani, archi.
I testi di Goethe:
Meeresstille (Mare calmo)
Pace fonda dentro l’acque,
senza moto il mare sta,
il navigante scruta inquieto
quella liscia immensità.
Tace il vento da ogni parte!
Una mortale calma da metter paura!
Nella lontananza immensa
Non si muove neppur un’onda.
Glückliche Fahrt (Viaggio felice)
Le nubi si squarciano,
il cielo è sereno
ed Eolo discioglie
la temibile catena.
Sussurrano i venti,
si scuote il nocchiero.
Presto! Presto!
Si separa l’onda,
s’approssima la mèta lontana;
già vedo la sponda!
La prima parte ha un carattere di distesa, solenne compostezza, sebbene parte del testo evochi una cupa inquietudine (“Tace il vento da ogni parte!/Una mortale calma da metter paura!”). Il paesaggio marino è, sì, quieto, ma, al tempo stesso, conturbante. Qui l’orchestra è impiegata in maniera misurata, sebbene non marginale: “il coro, sull’immota superficie monocroma delle lunghe note tenute dagli archi”, evoca la fissità delle acque, “mentre i fiati, sottolineando brevemente con uno «sforzato» la parola Weite (lontananza)” del penultimo verso (“In der ungeheuern Weite/Nella lontananza immensa”), “sono come una rapida, cupa pennellata su uno sfondo uniforme, un brivido di angoscia panica di fronte all’immensità tremenda dell’oceano” (Giovanni Carli Ballola, 1977).
Nella seconda parte l’orchestra ha un ruolo più incisivo nel sostenere il movimento vivace. In apertura, un tempo di barcarola in sei ottavi infrange quella specie di sortilegio e il coro manifesta l’esultanza per la fine di quell’opprimente bonaccia e per il ritorno della brezza marina, che annuncia la possibilità di riprendere la navigazione.
Se una parte della critica ha visto nella cantata una sorta di rappresentazione dei condizionamenti del destino sulla volontà dell’individuo, nella lotta per l’esistenza – tema assai caro a Beethoven – altri vi hanno letto una trasposizione corale lirico-descrittiva di quel sentimento della natura già tradotto in puri valori strumentali nella Sesta Sinfonia.
Nel 1828, le due poesie di Goethe avrebbero ispirato anche Felix Mendelssohn per l’omonima ouverture da concerto in re maggiore per orchestra, op. 27 MWV P5. La fortuna critica della versione di Mendelssohn avrebbe, purtroppo, ingiustamente oscurato quella di Beethoven, tanto che il titolo del dittico di Goethe è ormai legato indissolubilmente all’ouverture del compositore più giovane.
PER APPROFONDIRE
BIBLIOGRAFIA
CARLI BALLOLA, Giovanni, Beethoven, Milano, Edizioni Accademia, 1977.
DOTOLI, Giovanni (a cura di), Goethe e la musica: atti del convegno internazionale, Martina Franca, 29 luglio 1999, Fasano, Schena Editore, 2000.
GOETHE, Johann Wolfgang, Scritti sull’arte e sulla letteratura, Torino, Bollati-Boringhieri, 1992.
MAGNANI, Luigi, Goethe, Beethoven e il demonico, Torino, Einaudi, 1976.
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