Grazie, Astor

Gli innumerevoli meriti di un musicista straordinario

Il centesimo anniversario della nascita di Astor Piazzolla è un evento assolutamente importante nel mondo musicale. E lo è ancor di più nel mondo degli strumenti ad ancia libera. Ci sono molte ragioni per le quali dover ringraziare questo grande musicista e per essergli riconoscenti per il repertorio, per la discografia e per le trasformazioni che si sono innescate a seguito della sua vicenda artistica (vedi per primi i grandi esiti della sua riforma del tango). Ad onor del vero, prima ancora, bisognerebbe dire grazie a Vincente Piazzolla, suo padre, la figura che suscitò in lui la curiosità per il tango e, soprattutto, lo fece innamorare del bandoneón. Quando Astor aveva sei anni – e la sua famiglia viveva a New York – suo padre andò al banco dei pegni per procurarsene uno. Quello strumento non era certamente di grande qualità. Nel libro intervista di Natalio Gorín, Astor dichiarò che la sua profonda passione per il bandoneón era dovuta all’ascolto di dischi di grandi esecutori, ma, soprattutto, alla possibilità – che la straordinaria carriera gli aveva concesso – di avere tra le mani un “Doble A” (A-A ovvero Alfred Arnold), uno strumento di produzione tedesca della massima qualità.

Un altro grande grazie va detto a Nadia Boulanger. Il mondo musicale le deve molto, a prescindere dalla vicenda di Astor Piazzolla. Boulanger fu allieva di Louis Vierne e Maurice Ravel e insegnante (tra molti altri che sicuramente sfuggono a questo sommario elenco) di Leonard Bernstein, Jean Françaix, George Gershwin, Virgil Thomson, Aaron Copland, Robert Casadesus, Dinu Lipatti, Yehudi Menuhin, Philip Glass, Roy Harris, Daniel Barenboim, Igor Markevitch, Jacques Ibert, Herbie Hancock, Elliott Carter, John Eliot Gardiner, Walter Piston, Quincy Jones. La “somma” lezione della grande didatta francese ad Astor (quella in cui dopo aver ascoltato Triunfal disse “qui c’è il vero Piazzolla, non lo abbandonare mai”) consistette nell’aver messo al primo posto una piena valorizzazione dell’identità del compositore, del suo unicum culturale prima ancora che musicale. Si possono padroneggiare le competenze tecniche ai massimi livelli, ma se non si ha un progetto, un percorso, uno scopo, l’atto del creare rimane vuoto o debole. Boulanger trasmise tutto questo,  efficacemente, a Piazzolla. Leggendo l’elenco poc’anzi esposto, si può subito notare come ognuno di quei celebri nomi abbia fatto un percorso molto diverso rispetto agli altri. Boulanger non li costringeva ad adeguarsi a un modello, ma tirava fuori il potenziale che era già in ognuno di loro. E Piazzolla (di nuovo, GRAZIE) ha seguito questo consiglio.

Per caduta, dobbiamo quindi dire grazie ad Astor per aver caparbiamente fatto il proprio percorso, cercato la propria identità. Se ci pensiamo bene, la musica di Piazzolla non è “una” delle musiche scaturite da una corrente di riforma del tango: il suo fu un cammino solitario. E questo non lo scoraggiò affatto. Un altro grazie può arrivare da una riflessione su cosa ascoltava Piazzolla, chi ammirava: Stravinsky, Bartók, Gershwin, Miles Davis, Gil Evans, Chick Corea… grazie Astor per averci lasciato “un’ulteriore musica” importante del Novecento; sì, perché quella di Piazzolla è totalmente musica del Novecento, anche se non ha del tutto rinunciato alle buone prassi dell’armonia e del contrappunto.

Un grande grazie lo devono dire tutti i fisarmonicisti a Piazzolla, anche se non ha mai messo le mani sul loro strumento. L’esecuzione della musica di Piazzolla alla fisarmonica è per certi versi discutibile, ma non può essere considerata un controsenso. Tecnicamente, nel bandoneón gli accenti si generano con la forza di due braccia, nella fisarmonica con quella di un braccio solo. Questo è un limite tecnico. L’altro limite è storico-culturale (lo percepiscono maggiormente gli argentini): il bandoneón è uno strumento della città, mentre la fisarmonica è (stato anche) lo strumento della campagna; in Argentina queste culture, quella urbana e quella extra-urbana, erano e sono diverse, per certi versi in contrasto. Però occorre fare una precisazione: il suono che ha reso celebre la fisarmonica nella musica folk è stato molto spesso quello dato dalle voci pari con i battimenti (in gergo tecnico, il tremolo). Quei personaggi della musica colta – Casella per primo negli anni Quaranta – che si sono espressi circa “la bruttezza” del suono della fisarmonica, avevano ascoltato di certo quelle sonorità. Probabilmente, la stessa cosa vale per i puristi del bandoneón. Oggi, le fisarmoniche sono progredite dal punto di vista tecnico-costruttivo e la diffusione di strumenti con cassotto (cassa di risonanza interna) hanno accorciato di molto la distanza tra il suono del bandoneón e quello della fisarmonica. Ovviamente, restano alla fisarmonica tutta una serie di altre prerogative che la rendono uno strumento ben diverso dal bandoneón (i registri, l’oscillazione del mantice, il convertitore, ecc.). Dal punto di vista produttivo è avvenuto che la produzione di fisarmoniche di qualità ha avuto un incremento (pur se, con una angolatura storica, con un calo delle quantità globali), mentre la produzione di bandoneón ha subito una brusca contrazione. Questo fa sì che chi volesse suonare la musica di Piazzolla avrebbe con molta più facilità a portata di mano un fisarmonicista che non un bandoneónista. E non si può non constatare un ulteriore ‘innesto’. Le composizioni di Piazzolla sono entrate a pieno titolo nei repertori eseguiti nei Conservatori e nelle Accademie di tutto il mondo. Anche la fisarmonica (in alcuni paesi prima, in altri dopo), negli ultimi cinquant’anni, ha varcato prepotentemente la porta delle Istituzioni musicali, trovando nella musica di Piazzolla un terreno fertile per l’esecuzione di buona musica da camera. Quindi, a mio modo di vedere, i fisarmonicisti devono dire grazie ad Astor Piazzolla, molto di più che non i bandoneónisti.

Infine, con uno sforzo d’immaginazione, dobbiamo pensare che lo stesso tango argentino debba dire un grande grazie ad Astor Piazzolla. Dopo lo sbarco in Europa (anni Dieci-Venti del Novecento) e l’epoca d’oro (anni Trenta-Quaranta dello stesso secolo), il tango è sempre più andato in crisi di ideali e di mercato. Mentre Piazzolla stava attraversando le doglie del parto della sua “nuova musica”, le varie dittature che susseguirono in Argentina ostacolarono la diffusione del tango fino ad arrivare agli anni Settanta, quando nel Paese erano sopravvissute pochissime orchestre professionali. Poi, fortunatamente, è arrivata l’onda di una grande riscoperta internazionale del tango (come musica, come danza, come cultura) che lo ha fatto diffondere notevolmente in Europa, in Nord-America, in Giappone e poi in Cina e in Corea del Sud.

L’alfiere che ha sfondato più porte in questa riscoperta del tango è stato proprio Astor Piazzolla. Quindi, potrebbe non essere azzardato affermare che egli non abbia solamente riformato il tango, ma che, probabilmente, lo abbia anche salvato.

Grazie, Astor.

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