In Sardegna, si possono trovare piatti in tante chiese e santuari e in alcuni musei parrocchiali, ognuno con le proprie caratteristiche uniche per materiali, dimensioni e decorazioni. È solitamente lavorato a sbalzo con motivi o scritte di vario genere. Dal tardo Medioevo, è testimoniato il suo utilizzo in vari momenti cerimoniali religiosi come s’iscravamentu o, più ordinariamente, di “supporto per gli oli sacri durante la funzione del battesimo”. La sua particolarità è di essere un oggetto liturgico, ma, al contempo, uno strumento musicale di utilizzo profano.
Diventa tale prevalentemente durante il carnevale, quando, affidato dal parroco alla popolazione, è usato per marcare la ritmica delle danze tradizionali della Sardegna, in particolare in su ballu de s’affuente, danza tipica, che ancora sopravvive nelle zone di Ottana e Ghilarza.
Lo strumento viene anche chiamato: Affoente, Affuenta, Affuente, Piattu ’e rámene, Saffata.
IPOTESI SULL’ORIGINE DELL’USO IMPROPRIO
Un tempo, chi li maneggiava era, spesso, quasi soltanto il sacrestano, che passava tra i fedeli a chiedere l’elemosina e l’obolo per la chiesa. È attestato storicamente che in Sardegna il sacrestano, ogni lunedì, girasse per il paese facendo la questua “per le anime del purgatorio” (come si faceva in Spagna col limosnero/plato petitorio). Occorre specificare che il sacrestano era in possesso di un numero definito di chiavi e nel fare la questua usava percuoterle e sfregarle sull’elemosiniere per richiamare l’attenzione dei fedeli e dei compaesani. Solitamente, le chiavi del sacrestano erano in un numero variabile di cinque/sette. Con quali di esse “suonava” l’elemosiniere? Si dovrebbero escludere quelle troppo piccole per la difficoltà di impugnatura (chiavi dei mobili di casa e della sacrestia) e quelle troppo grosse che avrebbero ammaccato il piatto (chiave del portone della chiesa). Per battere sopra il piatto occorre impugnare la chiave in modo che essa possa percuotere bene e, dunque, la lunghezza ottimale è di circa 15 cm, che si accosta bene con le chiavi femmine a cannello della casa, della canonica e della sacrestia.
Sempre e ovunque, nella storia dell’umanità, la mancanza di cantanti o musicisti nel villaggio ha fatto sorgere nuove tipologie di fonti sonore e nuove figure di musicisti per far muovere a tempo i piedi dei danzatori. Si potrebbe giungere ad affermare che proprio il sacrestano possa essere stato colui che, avendo la possibilità di avere fra le mani un bel piatto di buon metallo risonante, abbia iniziato a percuoterlo a ritmo di danza con quello che aveva a portata di mano, probabilmente una delle chiavi di cui era in possesso, salvo poi cederlo ad altri musicalmente più dotati, col beneplacito del canonico. Quando ciò abbia avuto inizio è difficile a dirsi con esattezza: l’utilizzo profano degli elemosinieri come strumenti musicali è avvenuto intorno alla metà del XV secolo, ma solamente con quelli in ottone, dal suono simile a quello del bronzo delle campane.
STRUTTURA E COSTRUZIONE
Il piatto per le elemosine, propriamente detto piatto elemosiniere, è un contenitore a forma di grande bacile o di piatto, decorato con varie forme, simbologie e scritte. Il materiale è generalmente metallico – bronzo, ottone, argento e oro – sebbene si abbiano rare testimonianze di elemosinieri in legno. Può presentare al centro un supporto per fissare un elemento iconografico (una statuetta) in relazione al motivo della questua o, anche, un portacandele o scomparti per la suddivisione delle elemosine. I classici piatti hanno al centro una decorazione a sbalzo e punzonatura molto varia, sia a carattere sacro che ornamentale, disposta, come le iscrizioni e le baccellature, per giri concentrici rispetto al fondo.
Nella foto possiamo vedere un elemosiniere con doppia serie di girandole e con iscrizione a rilievo nella fascia esterna che recita in gotico tedesco “WIS HN BI RAME” (“I saggi hanno con sé la forza”).
Datato fine secolo XV- prima metà del XVI. Materiale lega di rame e zinco.
Esso è custodito a Ottana, nella Cattedrale di San Nicola. Da questo esemplare sono state fatte molte copie moderne per uso profano (accompagnamento al ballo e questua di carnevale).
In Sardegna, sono presenti molti elemosinieri e quasi tutti sono di ottone e di modulo sia grande (45 cm) che medio (37 cm); non risulta invece presente il modulo piccolo (30 cm).
ESECUZIONE/MODALITÀ DI UTILIZZO DELLO STRUMENTO
Come precedentemente detto, il piatto elemosiniere diventa a periodi s’affuente, e, in tale periodo, viene utilizzato come strumento musicale per l’accompagnamento del ballo sardo, che prende il nome di ballu ‘e s’affuente. Il piatto viene messo in posizione verticale, tenuto da una funicella che passa attraverso un piccolo foro, quindi strusciato o percosso a ritmo con una grossa chiave. Molto importante è la lunghezza del laccio che deve essere idonea a consentirne un’impugnatura corretta. La procedura inizia infilando il pollice sinistro sotto il laccio, si stringe poi il “tratto doppio” con il pugno sino ad arrivare con il mignolo alla tesa del piatto. Questa giusta presa consente alla mano di impedire la rotazione dello stesso durante l’utilizzo, consentendone uno sfregamento perfetto. Questo sfregamento deve essere fatto in due modi: o sulla parte liscia, ottenendo un suono uniforme, o facendo scorrere la chiave sulle parti in altorilievo, il che dà un suono più ronzante, ritmato. Allo stesso modo è di notevole importanza segnalare che il piatto viene generalmente utilizzato dalla parte posteriore, mentre per la parte anteriore si deve sfregare soltanto nel cavetto e non sugli altorilievi del fondo, che non darebbero una resa cromatica buona come quella data dalle cavità posteriori. L’esecuzione dei suoni è ritmata, ma monocorde, intervallata da picchiettii della chiave (tenuta nella destra) contro la tesa o l’interno. Il ritmo per il ballo è, quindi, ottenuto variando la lunghezza dello sfregamento e il numero dei rintocchi. Il risultato è, in qualche modo, un accompagnamento ritmico senza altri suoni che possano formare una melodia.
Recentemente, si è tentato d’inserire s’affuente in piccoli gruppi musicali etnici, con la presenza contemporanea o alternata di altri strumenti della musica tradizionale sarda.
DOCUMENTAZIONE DELLA MUSICA PER S’AFFUENTE
BALLU TZOPPU (OTTANA) – PARTITURA
BALLU NOSTRU (OTTANA) – PARTITURA
Fonte: Mario Galasso http://www.mamoiada.org/_pdf/_curios/Affuente.pdf)
Scritto da Simone Grussu per Accademia di Musica Sarda