Un semplice e antico strumento sardo è su pipiolu, pipajolu o sulitu, realizzato in canna comune, appartenente alla tradizione popolare e le cui origini si perdono nella notte dei tempi. A seconda della zona di provenienza, questo strumento ha diversi nomi e differenze sostanziali nella struttura costruttiva. Possiamo distinguerne tre tipologie principali:
1. pipiolu del Logudoro;
2. sulitu della Marmilla;
3. pipajolu della Barbagia.
Sa fentana (la finestra del becco) rappresenta l’elemento di distinzione tra i vari costruttori e le zone di diffusione. Si riscontrano fentanas aperte in maniera molto rudimentale con due tagli a tacca (diffuse nella media valle del Tirso), con una fessura di qualche millimetro di larghezza (Sarrabus), o finestre tagliate con notevole precisione (Campidano di Cagliari). Sia negli strumenti della Marmilla, sia in quelli campidanesi, su tupponi (la zeppa del becco) è di legno (salice selvatico “molle” o “duro”, qualche volta anche oleandro o ferula nel Sarrabus). Nei pipiolus del Ghilarzese è frequente, invece, su tappu o tupponi di sughero, tipico del pipaiolu barbaricino. Da su tupponi dipende la qualità sonora degli strumenti. La sua inclinazione interna deve infatti favorire il fendersi dell’aria insufflata sul bordo tagliente de sa fentana (in sardo s’invitu).
Per costruire un sulitu nelle sue varietà bisogna, anzitutto, procurarsi una buona canna stagionata. Le tecniche di raccolta sono generalmente comuni ai diversi costruttori: la canna deve essere raccolta durante i mesi invernali, quando la pianta è a riposo e contiene una minore quantità di acqua (è importante anche scegliere la fase lunare giusta e l’orario del taglio della canna, ma non tutti i costruttori sono d’accordo su questo punto). La stagionatura prevede un tempo minimo di un paio d’anni; talvolta, i costruttori ricavano la materia prima dagli incannucciati che reggevano il tetto di vecchie case in demolizione e, pertanto, non è raro trovare sulitus fatti con canne ultracentenarie. La sezione migliore della canna è quella tagliata oltre il terzo nodo partendo dal basso, perché risulta la parte più resistente, ma non eccessivamente spessa. Anche per la zeppa del becco è necessario tagliare il legno in un determinato periodo, solitamente in inverno, e si richiede una stagionatura di almeno due anni, mentre il sughero, quando viene usato per realizzare la zeppa, deve essere della migliore qualità e il più compatto possibile.
Nella finitura dei vari strumenti si riscontrano diverse tecniche decorative, dal semplice intaglio alla pirografia, alla pittura ad olio e, in certi casi, al rivestimento in pelle di biscia d’acqua. È inoltre frequente la sottolineatura, attraverso segni grafici, dei vari elementi strutturali dello strumento come fori, finestra, becco, nodi. Oltre alle tecniche di tipo decorativo, è quasi sempre d’obbligo, per dare una certa rifinitura, levigare esternamente il nodo sino a renderlo privo di asperità. In certi casi vengono anche realizzate delle legature che circoscrivono, in alcuni punti deboli, la circonferenza del canneggio, in maniera tale da rafforzarne la struttura.
Alquanto ridotto, come si può immaginare, è l’elenco degli attrezzi necessari per costruire i flauti, che comprende quasi unicamente un coltello per la lavorazione della canna e della zeppa e un tondino di ferro che viene arroventato per aprire i fori.
Esecuzione/modalità di utilizzo dello strumento
La successione semitono, tono, tono e quella speculare di tono tono e semitono, sono le uniche possibili nelle mancoseddas di tutti i cuntzertus di launeddas (fatta eccezione per quello chiamato punt’e organu). E poiché prevalentemente alla mancosedda o destrina (canna sciolta suonata con la mano destra) è affidata la realizzazione della linea melodica, ne consegue che tutti i flauti a becco sardi sono capaci di riprodurre (anche se solo monodicamente) buona parte del repertorio delle launeddas. Sono evidenti, infatti, le strette analogie tra le musiche per sulittus/pipiolus e quelle per launeddas, anche in aree in cui queste non sono attualmente attestate (come la Barbagia); ciò non solo nell’utilizzo di comuni formule melodiche, ma anche, e soprattutto, nello sviluppo dei materiali musicali secondo il principio delle nodas: microvarianti ottenute con permutazioni e sostituzioni di note, fioriture di vario tipo, ecc., di un semplice elemento melodico tripartito.
Simone Grussu per Accademia di Musica Sarda
Fonti: SPANU, Gian Nicola (a cura di), Sonos: strumenti della musica popolare sarda, Nuoro, Ilisso, 1994
Foto: https://viniciosanna.it – Sonos: strumenti della musica popolare sarda