Il country come metafora dell’esistenza

Stefano Frapolli, “Country Music”

La letteratura in lingua italiana sulla musica country non ha mai brillato per numero di pubblicazioni, né per completezza d’informazioni. Eppure, gli appassionati, anche nel nostro Paese, sono in crescita, così come sempre più numerose sono le manifestazioni dedicate a questo genere, dal Trentino-Alto Adige all’Abruzzo, passando per Roma e per la Lombardia. Il bel libro di Stefano Frapolli, Country Music, colma, finalmente, questo vuoto ed è in grado di soddisfare i lettori/ascoltatori più esperti (che vi troveranno una storicizzazione e una sistematizzazione razionale e completa del proprio genere preferito), così come i curiosi, accompagnati, capitolo per capitolo, da un “invito all’ascolto”, che potrebbe tenerli impegnati per anni (dunque, il consiglio è di avere a portata di mano, durante la lettura, qualche dispositivo per la ricerca dei brani suggeriti). A confermare lo scarso interesse dell’editoria italiana per il genere country c’è l’autopubblicazione di questo libro, che, proprio a causa di ciò, risente, inevitabilmente, di qualche “pecca”: una su tutte la mancanza di uno strumento utilissimo come l’indice dei nomi e dei luoghi, mentre l’apparato delle note è davvero completo. A coronare il lavoro di Stefano Frapolli c’è poi una narrazione molto coinvolgente ed evocativa, che comprende anche molti, interessanti, spunti di riflessione di carattere filosofico.

Stefano, quando e perché un laureato in filosofia di Pavia ha iniziato a interessarsi alla country music?

Beh, l’incontro con la musica country è stato – come spesso capita – assolutamente casuale, anche se le occasioni si verificano quando le condizioni sono favorevoli: pur avendo fatto studi classici di violino e pianoforte, sono sempre stato appassionato di musica “leggera”, quindi molto permeabile anche a tutto l’ambito riconducibile alla grande famiglia della musica legata alla “forma-canzone”; ero anche, quindi, abbonato alla rivista “Billboard” (era il 1997), la bibbia della musica americana, con uno sguardo dettagliatissimo anche sul mercato discografico, con classifiche di vendita suddivise per genere, recensioni, finestre sulle nuove tendenze, ecc. Ebbene, alla fine di quell’anno vidi che arrivò al numero 1 della classifica di vendita generale, scalzando i Metallica, un artista che non avevo mai neanche sentito nominare, un certo Garth Brooks. Il fatto che quel disco avesse esordito al primo posto in classifica USA, vendendo circa 900.000 copie in una settimana (!), mi indusse a ordinarlo all’istante, morso dalla curiosità. Non sapevo neanche che si trattasse di un artista “country”, genere del quale conoscevo a malapena John Denver, Willie Nelson e Johnny Cash… Ovviamente, fu una specie di folgorazione e di amore a prima vista: iniziai a comprare dischi su dischi, a informarmi abbonandomi a due riviste americane di settore, compilando a mano i tagliandini, preistoria… – una si chiamava “Country Music People”, l’altra solamente “Country Music” – e cercare libri in libreria, ricerca che fu purtroppo poco fruttuosa. Mi sono innamorato del suo forte senso melodico, pur in contesti armonici abbastanza semplici, della sua malinconia senza essere triste, della sua energia senza essere troppo “casinara”… Venendo alla tua domanda sulla Filosofia, potrebbe sembrare fin quasi ardita, tuttavia vi è, in effetti, qualcosa di profondamente filosofico nella musica country, nelle sue domande semplici ma disarmanti, nelle sue storie di solitudine, nella sua capacità di trasformare il percorrere una strada sterrata in una metafora dell’esistenza. I volti scavati dal lavoro, i corpi stanchi, la speranza indomita e i bicchieri semivuoti; tutti questi sono temi fortemente esistenzialisti. Nel profondissimo e intimo rapporto con la Natura si respirano invece i temi dei Trascendentalisti americani, da Emerson a Thoreau, passando per Whitman. Il Pragmatismo di Peirce e Dewey è un’altra corrente filosofica statunitense che ha molto permeato i temi presenti in diverse canzoni country. E poi, ovviamente, c’è tutta la tematica religiosa, ma lì si andrebbe troppo oltre…

La seconda domanda, anzi, richiesta, è d’obbligo: ci puoi fornire una definizione di country music (e le differenze con il western e la bluegrass, per esempio) e una breve descrizione delle sue radici musicali/culturali più profonde?

Trovare un terreno concettuale comune è sempre necessario per calibrare le proprie osservazioni e farle recepire efficacemente da un potenziale lettore: in estrema sintesi direi questo: la musica country è un genere musicale sviluppatosi nel Sud-Est degli Stati Uniti, in particolar modo nella zona dei Monti Appalachi, all’inizio del XX secolo, all’interno di relativamente piccole comunità montane, come sintesi di quattro principali forme musicali preesistenti: la musica tradizionale anglo-scoto-celtica, il Blues afroamericano, la musica di ispirazione religiosa, sia “bianca” sia “nera” e infine il folk autoctono. La sua diffusione verso Ovest, prima in Alabama e Louisiana, poi in Texas e Oklahoma, fino ad arrivare alla California, lo ha arricchito e mescolato con altre forme e stili, in particolare le “western cowboy songs” e lo swing di derivazione ragtime e jazzistica. Altra fase fondamentale riguarda il processo di elettrificazione degli strumenti, avvenuto tra gli anni Trenta e Cinquanta del Novecento, processo che ha anche sancito la separazione tra la Country Music e il Bluegrass, genere di taglio più acustico e tradizionale. Lo so di operare qualche eccessiva semplificazione, tuttavia, giusto per farsi capire, mentre la Country Music proseguiva un’inarrestabile marcia di avvicinamento all’urbanizzazione e alla commercializzazione di tipo industriale, il Bluegrass si incardinava in uno stile quasi esclusivamente acustico, legato al tema dell’autenticità rurale, il Western Swing prendeva piede soprattutto in Texas, grazie a compagini numerose e virtuosistiche e, per finire, le Western Cowboy Songs andavano a completare tutta l’iconografia dell’eroe cowboy hollywoodiano, un po’ pistolero, un po’ cantante malinconico.

Beh, chi vorrà approfondire quelle che definisci “eccessive semplificazioni” avrà modo di farlo, se lo vorrà, leggendo il tuo libro. Ma passiamo dalle radici alle “foglie”: da quali altri generi musicali americani è stato contaminato il country?

Beh, sai, anche un po’ tutta la storia della musica cosiddetta “leggera”, legata all’intrattenimento e subordinata alla circolazione veloce di canzoni, personaggi, situazioni artistico-musicali in genere, ha quasi sempre avuto il destino di essere fortemente soggetta alle più svariate e impreviste contaminazioni, portate da altri generi e stili, e la musica country ovviamente non ha fatto e non fa eccezione. Ma ti dirò di più, la Country Music ha sempre vissuto – forse anche patito – la discrasia del considerarsi una forma d’arte musicale “autentica”, legata a stilemi tradizionali, quasi passatistici ma, allo stesso tempo, lasciarsi bellamente attraversare dalla modernità, dai suoni sintetici del pop, dal nervosismo del rock e, ultimamente, addirittura dalle sonorità più urbane della cultura hip hop. È quindi molto difficile individuare dei prototipi contemporanei che ti facciano dire, cavolo! Questo è il “vero” country… è il concetto stesso di “tradizione” a essere mobile, spostabile a seconda della sua collocazione temporale: ciò che poteva essere considerato abbastanza rivoluzionario all’inizio degli anni Novanta – per esempio proprio Garth Brooks che mutuava le posture dell’Arena Rock sfasciando la sua chitarra a fine concerto e suonando negli stadi – ora è considerato quasi un iper-tradizionalista…

C’è “country e country”? Ne esistono, cioè, forme più commerciali e altre più “impegnate” (anche nei temi trattati nei testi, oltre che musicalmente) e meno assoggettate alle “leggi” dell’industria discografica?

Come si può facilmente intuire, anche senza esserne “esperti”, la Country Music è una enorme famiglia allargata, dotata di tantissime anime e approcci differenti. Il tema dell’ “impegno” contrapposto a quello del “puro intrattenimento” è ormai decennale, nonché trasversale a praticamente tutti gli altri generi dello scibile musicale. Come ti dicevo prima, nell’alveo della Country Music, viene vissuta però una distonia più marcata, in quanto nei suoi oramai oltre cento anni di storia, è sempre stata presente l’antinomia di dover conciliare la necessità di uno sguardo “amichevole” verso il mercato – con tutti i compromessi artistici che ne conseguono – con una forte collocazione identitaria, legata a doppio filo al tema dell’ “autenticità”, tema che essa stessa ha sempre veicolato con forza. Quindi la risposta è sì: unitamente al country più commerciale, quello che guarda con minor sospetto al pop, alla sintesi dei suoni, alle sonorità più “radiofoniche”, c’è tutto un filone, più o meno sotterraneo, che manifesta totale idiosincrasia per le logiche che potremmo definire “industriali”, volendo mantenere una sua angolazione artistica più genuina, più svincolata dall’occorrenza di dover fare business a tutti i costi, più libera dal punto di vista espressivo e testuale. Lo Alternative Country, la Red Dirt, il Country-Rap, e mille altri sottogeneri, cercano di mantenere un profilo artigianale, più genuino, a tratti, più radicale.

Quattro storici e imprescindibili nomi di musicisti/e country (comprese le ragioni delle tue scelte) e quelli di coloro che ritieni lo rappresentino al meglio oggi…

Questa è la classica domanda da due milioni di dollari: la musica country ha il doppio degli anni del Rock, quasi il triplo della Dance, quasi il quadruplo del Rap; ha dimostrato una longevità incredibile, attraversando indenne crisi e rinascite. Però ci provo. Per cominciare, ineludibili Hank Williams ed Ernest Tubb; sul versante femminile Patsy Cline e Connie Smith. Assoluti pionieri della musica country negli anni in cui si affermava a livello nazionale, moderni e innovativi dal punto di vista dell’interpretazione. I quattro assoluti campioni della Country Music contemporanea potrebbero essere identificati in Luke Combs, Cody Johnson, Chris Stapleton e Lainey Wilson, per la personalità, la qualità dei brani e l’inimitabilità delle interpretazioni.

Sei anche un organizzatore di eventi country: dove e quando i prossimi appuntamenti?

Sono nel “giro” della Country Music da circa vent’anni, anche con ruoli operativi, sia come dj, sia come organizzatore di eventi. Da quindici anni, infatti, sono nel comitato direttivo del più importante festival di musica e ballo country d’Italia, Il Voghera Country Festival, storico appuntamento annuale che richiama appassionati da tutta Europa. Stiamo organizzando per il giugno del 2026 anche una grande kermesse di quattro giorni alla Fiera di Bologna, che sarà gemellata con il mondo dell’equitazione, con concerti, stand a tema, balli in linea e concorsi di ballo a squadre.

 

Figlio di un violinista e professore di Educazione Musicale, Stefano “Steve” Frapolli ha studiato violino e pianoforte, oltre a suonare anche la chitarra e la batteria. Ha iniziato giovanissimo anche a fare il dj, mettendo musica Disco alle feste nei garage e nelle cantine, alla fine degli anni Settanta. Attualmente, è insegnante di Scuola Primaria, ma ha lavorato in passato, per dieci anni, nella catena Ricordi come direttore di negozio. Si è laureato in Filosofia nel 1991 con una tesi sull’estetica musicale di Nietzsche e Wagner. Ha così cercato di combinare tutte queste sue esperienze di vita nello studio della musica country, della sua estetica e dei suoi artisti.

 

Stefano Frapolli, Country Music

Editore: Independently published

Anno di edizione: 2025

Pagine: 473, brossura, € 27,00

 

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