Gorni KRAMER (1913 – 1995) – prima parte
BREVE BIOGRAFIA
Come abbiamo già sottolineato parlando in questa rubrica di L.O. Anzaghi, Milano negli anni ’30 e ’40 rappresentava il centro nazionale del mondo fisarmonicistico e di quello artistico in generale, grazie anche alla presenza tuttora illustre del conservatorio “G. Verdi”, del Teatro alla Scala e delle edizioni Ricordi, ossia istituzioni tra le più importanti a livello europeo. Ebbene nella città meneghina in quello stesso periodo in cui Anzaghi intraprendeva la sua intensa attività didattica, un giovane fisarmonicista proveniente dalla provincia mantovana stava iniziando una luminosa carriera. Ci riferiamo al Rivarolese Gorni Kramer, figlio d’arte in quanto il padre Francesco (detto Gallo sembra per le sue virtù amatorie…), era uno dei fisarmonicisti più popolari della sua zona, autore anche di vari brani ballabili. Tanto che, proprio L. O. Anzaghi nel 1940, per le edizioni Carisch, pubblicò una “revisione” di una raccolta di pezzi composti da Gallo, dal titolo Festa sull’aia, 12 ballabili. Francesco Gorni, alias Gallo – che si presentava al pubblico, soprattutto delle balere, interpretando valzer, mazurche, tanghi, ma anche le celebri arie del melodramma -, fu dunque il primo maestro di Kramer, il quale inevitabilmente si cimentò all’inizio proprio con quel repertorio.
Ma il giovane Gorni, pur amando la “classica” – si diplomò in contrabbasso al conservatorio di Parma e lo suonò anche nell’orchestra sinfonica del Teatro Regio parmense – era sempre più attratto da un altro genere musicale: il jazz. I suoi miti, più che Johann Sebastian Bach, Ludwig van Beethoven o Igor Stravinsky, che pure in seguito amò molto, erano George Gershwin e Louis Armstrong piuttosto che Cole Porter o Duke Ellington.
Iniziò quindi a provare quelle armonie e quei ritmi particolari al piano, ma soprattutto li sperimentò sul suo strumento principale: la fisarmonica, nella quale man mano, alla ricerca di un suo stile, trasferisce tecniche e stilemi di un linguaggio ancora piuttosto sconosciuto allo strumento ad ance, proveniente da altri strumenti soprattutto a fiato. Disse a tal proposito lo stesso Kramer in una intervista rilasciata a Vittorio Franchini, uno dei padri della critica jazz in Italia: «Così avevo cominciato a suonare il mio strumento come fosse una tromba o un clarinetto. Eseguivo la melodia con delle note singole. Poi, a poco a poco, avevo iniziato a cercare gli accordi giusti e mi ero accorto che la mia fisa poteva essere usata come una intera orchestra: con la mano sinistra armonizzavo pensando alle sezioni dei fiati e con la destra facevo la melodia. Deve essere nato in questo modo lo stile che ha poi distinto il suono del mio strumento». (Cfr. V. Franchini, Gorni Kramer. Una vita per la musica, Rivarolo Mantovano, Fondazione Sanguanini, 1995). Ed infatti lo stile ed il suono di Kramer erano – e rimangono – unici ed inconfondibili, come unico era il suo strumento. Già perché, in barba alle sterili polemiche “sistema a piano vs. sistema cromatico”, la fisarmonica del musicista mantovano – una Savoia Luigi di Palvareto (San Giovanni in Croce, Cremona) – in realtà non apparteneva a nessuno dei due sistemi, essendo una “semitonata”, ovvero uno strumento che si potrebbe definire “anello di congiunzione” tra le arcaiche fisarmoniche bitoniche (due note/toni corrispondenti a ogni tasto) e le attuali unitoniche (una nota/tono per ogni tasto); a metà quindi tra un organetto diatonico ed una fisarmonica standard a bottoni, avente perciò una tastiera destra diatonica, o per meglio dire bitonica, e un manuale sinistro unitonico, simile a quelli standard, oltretutto disposto a lato della cassa sinistra, un po’ come nel bandoneon.
Ripercorriamo ora brevemente la luminosa carriera di questo autentico personaggio.
Negli anni Trenta inizia a comporre canzoni ancor oggi celebri ed eseguite (Un giorno ti dirò, Crapa pelada, Pippo non lo sa, ecc.) e brani per orchestrina, dove naturalmente è sempre presente il suo strumento; suona come leader in piccoli gruppi (combo), arrangia proprie musiche e brani più o meno celebri, anche americani, alcuni dei quali si stavano consolidando come “standard” del jazz; registra molti dischi, per la “Columbia” e la “Fonit”: i cosiddetti 78 giri. Tutto ciò in anni in cui il fascismo vieta il jazz (per esempio l’EIAR, la prima radio italiana in regime di monopolio, per un periodo gli dà l’ostracismo), ma Kramer, in un modo o nell’altro, va avanti per la sua strada.
Adriano Mazzoletti, noto giornalista e conduttore radiofonico – decano dei musicologi del jazz, ha descritto giustamente il quintetto di Kramer che si esibì all’Embassy di Milano, nel 1934-’35, come «la prima band swing italiana». Una recensione delle registrazioni di quel periodo, apparsa su “Il disco” (aprile 1936), presentava Kramer come «la rivelazione del jazz italiano»; ed Ezio Levi, due mesi dopo, commentava che alcune interpretazioni del musicista servivano come «prova ancora una volta che in Italia si può, e c’è chi lo fa bene, fare del vero jazz.» (cfr. A. Harwell Celenza, Jazz Italian Style. From its Origins in New Orleans to Fascist Italy, Cambridge University Press, Sheridan Books, 2017).
I Quaranta sono gli anni in cui fiorisce in pieno tutta la creatività di Kramer: continua a comporre e/o arrangiare canzoni che hanno sempre più successo, tra cui: Op! Op! Trotta cavallino, Ho un sassolino nella scarpa, Black and Johnny, Caramba (io songo spagnolo), Nella vecchia fattoria; scrive brani per orchestrina e per il suo strumento (come Tre sincopati, Carovana negra, Tarantella Boogie). Dirige orchestre e big band, delle quali cura personalmente con grande maestria gli arrangiamenti, sempre più personali ed originali. Oltre a suonare come leader in vari gruppi, continua a registrare moltissimi dischi, consolidando la fama di grande fisarmonicista.
Scrisse nel 1941 Vittorio Mussolini – sceneggiatore, pubblicista e produttore cinematografico, secondogenito di Benito – riguardo a un disco del duo Kramer-Semprini (fis./pf.): «Il pianoforte di Semprini e la fisarmonica di Kramer si uniscono in un felice matrimonio per interpretare i temi più belli e famosi di film recenti. […] la fisarmonica suona la melodia con effetti che ricordano prima un sassofono e poi un violino. […] Alcuni motivi ritmici ci trasportano in un’atmosfera piena degli aromi speziati di un quartiere di Harlem. Kramer ha davvero creato un nuovo modo di suonare la fisarmonica e di ottenere effetti inediti e inaspettati che sono estremamente interessanti.».
La sua attività, già pienissima – era anche editore e discografico – diventa quasi frenetica e senza soste tanto che alcuni amici e collaboratori parlano addirittura di “furia creativa”! Nel 1958 gli viene assegnato, a Pavia, l’Oscar mondiale della fisarmonica, il primo di una serie che, negli anni successivi, premierà i migliori fisarmonicisti della scena internazionale.
Quindi il nostro, fino agli anni Settanta, partecipa a varie trasmissioni televisive, alcune anche molto fortunate. Ricordiamo: Il Musichiere con Mario Riva dal 1957 al 1960, con cui l’Italia televisiva, dopo il telequiz con Mike Bongiorno, scopre la canzone: indimenticabile la sua sigla, Domenica è sempre domenica; Canzonissima, dal 1958, con i più celebri cantanti e showgirl; Giardino d’inverno, dal 1961 una sorta di viaggio musicale alla ricerca dei diversi linguaggi, dal jazz ai ritmi sudamericani; L’amico del giaguaro (1961), in cui presentava in chiave umoristica, la storia degli strumenti musicali. E poi varie altre trasmissioni fino a Kappadue del 1978, interamente dedicata alle sue musiche, in cui avvenne la sua ultima esibizione in TV. Aveva 65 anni e già, da tempo, si stava progressivamente ritirando dalle scene. I tempi stavano mutando, così come i gusti musicali, sin dagli anni Sessanta; da una parte l’ascesa dei cantautori e dall’altra il rock! Kramer si sentiva “di troppo”, non era quella la sua musica. Forse, come ha scritto Franchini, fu anche una crisi di saturazione. Una delle ultime apparizioni televisive avvenne nel 1988, partecipando per una intera settimana, al programma Uno Mattina in una sorta di “amarcord”.
Verso la fine della carriera Kramer ebbe anche una grande idea… “pazzesca” – che purtroppo poi non decollò come avrebbe voluto e meritato – la quale dimostra il suo amore per la musica ed il jazz in particolare, ma anche un suo pensiero verso i giovani cultori di quest’arte musicale. Volenterosamente rilevò a Milano il Teatro “Olimpia”, che aveva chiuso i battenti, per farne una sorta di music-hall, dove organizzare concerti e spettacoli, riunendo di volta in volta musicisti e artisti diversi. Aveva quindi iniziato a chiamare le nuove generazioni di jazzisti: da Gianni Basso a Oscar Valdambrini, da Giorgio Gaslini (che aveva inciso delle tracce con Kramer) a Enrico Intra, Renato Sellani, Bruno De Filippi, ecc, Perfino Chet Baker! Ma nonostante l’entusiasmo e l’appoggio dei (pochi!) jazzfans il locale non riuscì a trovare un pareggio economico e così questa bella avventura finì per essere presto interrotta. In breve ciò coincise con l’inizio del suo progressivo distacco dalla vita musicale pubblica… ma non dalla musica, e tanto meno dal jazz, che continuò a coltivare ed ascoltare in privato.
(continua)